Alla base della nostra parashà c’è il comportamento che il popolo, nella Terra che ha ereditato e che ha il dovere di custodire, deve avere. Rashì, nel commentare la prima parola di essa “ve hajà – e avverrà”, dice che l’espressione “Ve hajà” è espressione di simchà – di gioia”.
La gioia di vivere nella terra di Israele è legata al comportamento retto e morale del popolo che la vive.
Questa espressione è seguita da una importante mizvà: il “viddui bikkurim”.
È una formula che veniva recitata dal Cohen mentre offriva l’offerta delle primizie da ogni ebreo che la offriva una volta all’anno.
Nella formula è riportata tutta la storia del nostro popolo, sin dai suoi albori: “Arammì oved avì va jered mitzraima vajagor sham bimté meat, vahì sham le goi gadol atzum va rav – Mio padre ha servito l’arameo (Giacobbe che ha lavorato gratuitamente per Labano venti anni), dopo di che scese in Egitto, con un numero esiguo di persone e lì divenne un grande popolo”.
L’espressione verbale “ve hajà – e sarà” è un passato cambiato in futuro, consono di tutto il testo della Torà. Infatti “hajà” esprime la terza persona singolare del verbo essere al passato.
Il motivo di questa formula e il messaggio della Torà è che l’indole umana è quella che nel benessere ci si dimentica di quando si era poveri.
Il vero ricco che gioisce di ciò che ha, è colui che nel presente ricorda e apprezza il suo passato.
Shabbat shalom