C’è un proverbio che suona con le parole:
“al cuore non si comanda” ossia non si può imporre ai sentimenti un qualcosa che non ci sta particolarmente cara; così come è impossibile rinnegare qualcun a cui siamo affezionati o abbiamo amato da sempre.
Nella nostra parashà troviamo un brano particolarmente importante e che ci è comandato di recitare almeno per due volte durante la giornata:
lo “Shemà Israel”.
In esso, troviamo scritte le seguenti parole:
“Ve ahavtà et A’ Elokhekha – E amerai il Signore D-o tuo…”
L’espressione “veahavtà” esprime un imperativo “e amerai” ; come è possibile comandare a qualcuno di amare? Come si fa ad amare qualcuno – in questo caso D-o – attraverso un comandamento?
La nostra tradizione si regge tutta sull’azione e poi sullo studio: “Na’asé ve nishmà – Faremo e ascolteremo”.
Se io mi alzo una mattina e non ho voglia di indossare taled e tefillin né di pregare, è meglio non farlo o abbiamo invece il dovere di farlo ugualmente?
I nostri Maestri ci comandano di fare ugualmente una mizvà, anche se non ne abbiamo voglia.
Il brano dello shemà, si conclude con le parole:
“Ukshartam leot al jadekha ve hajù letotafot ben enekha – E lo legherai come segno sul tuo braccio e sarà come frontale fra i tuoi occhi”
Per fare una mizvà dobbiamo legarci ad essa; per quanto riguarda la tefillà (la scatolina dei tefillin) del braccio, abbiamo il dovere legagarci ad essa; soltanto con il fare questa mizvà tutti i giorni scaturirà l’amore per quella cosa.
Per osservare le mizvot – comandamenti, dobbiamo esercitarsi a metterle in pratica, solo dopo ci renderemo conto dell’importanza di farle.
Un esempio può essere di chi va in palestra: le prime volte può sembrare pesante e faticoso; soltanto dopo essercisi abituati si comprende la sua utilità e quanto è importante e vitale farlo.
È per questo che sin da bambini ci si allena ad osservare le mizvot, solo dopo di ciò potremo amarle.
Shabbat Shalom