A differenza di quasi tutti gli altri che prendono il nome dalla parashà che si legge in esso, questo Shabbat prende il nome della prima parola con cui inizia la Haftarà che leggeremo in esso: “chazon Jeshajahu ben Amotz – visione di Isaia figlio di Amotz” (Isaia 1;1)
Isaia profetizza sul Regno di Giuda che verrà sopraffatto a causa del comportamento del popolo che trasgredisce le regole della Torà culminando con la sua rovina e la conseguente distruzione del primo e del secondo Tempio di Gerusalemme e le due Diaspore.
Isaia profetizza circa cento anni prima della distruzione di Gerusalemme e del suo Bet ha Miqdash ma, visto l’atteggiamento poco ortodosso degli ebrei che non osserva le regole della Torà, non ha difficoltà a profetizzare loro quale sarà la loro sorte.
Il sabato che precede Tishà be-Av è appunto chiamato “Shabbat chazon” ed ha assunto, nel corso dei secoli una caratteristica che lo distingue dagli altri.
La settimana che precede il giorno del digiuno, inizia proprio da questo sabato e, dal giorno successivo fino al 9 del mese, il lutto per la distruzione dei due Templi di Gerusalemme si intensifica sempre di più. C’è l’uso italiano di non mangiare più carne e non bere vino, fino al 10 del mese (giorno che segue il digiuno) dopo mezzogiorno e, addirittura secondo gli usi più rigorosi, non fare nemmeno il bucato né riordinare la propria abitazione. Molti si astengono dal mangiare carne e bere vino, già dal primo del mese di Av, come usiamo fare nella nostra comunità.
Quest’anno sarà diverso, in quanto la settimana inizia con motzaé shabbat e la particolarità di esso è che motzaé Shabbat è il momento dell’inizio del digiuno stesso.
Paradossalmente, quest’anno capita che non c’è la “settimana di Tishà be Av” e quindi, anche nel pasto che precede il digiuno la “se’udat ha mafseqet” possiamo mangiare carne e bere vino a volontà, cosa invece proibita all’uscita del digiuno.
Un’altra peculiarità di quest’anno è che, la sera all’inizio del digiuno, motzaé Shabbat (17 luglio), non si fa la havdalà (la cerimonia di separazione tra lo Shabbat e i giorni feriali, ma si reciterà invece soltanto la benedizione “boré meoré ha esh – creatore delle fonti del fuoco” accedendo una candela, con la quale verrà poi letta, alla sua luce la Meghillat Echà – Lamentazioni. La havdalà verrà fatta invece la sera all’uscita del digiuno seguita dalla “bircat ha chammà – benedizione sulla luna” in quanto trattando essa di un argomento lieto, non viene recitata all’uscita del primo sabato dopo Rosh chodesh av (come avviene per gli altri mesi), bensì immediatamente dopo la fine del digiuno.
Sabato sera, per dar modo di arrivare in tempio dopo l’uscita di Shabbat, inizieremo la tefillà di arvit alle ore 21,50. Il digiuno però dovrà essere iniziato prima che faccia notte, precisamente, non oltre le ore 20,55.
Bisognerà quindi consumare regolarmente il terzo pasto sabbatico – seudà shelishit, fintanto che è giorno e al termine di essa smettere di mangiare.
Durante la giornata di Tishà be Av, sono proibite cinque particolari azioni:
Mangiare e bere.
Lavarsi.
Profumarsi o ungersi con particolari unguenti profumati.
Indossare scarpe di cuoio.
E avere rapporti coniugali.
Sono gli stessi divieto in uso anche per Kippur, mentre per questa giornata è proibito anche salutarsi.
Durante la tefillà della mattina “shachrit” non si indossano taled né tefillin, che però verranno indossati nella tefillà del pomeriggio “minchà”.
Durante tutta la giornata è proibito anche studiare Torà e il resto del Tanakh ma vi è l’uso di studiare le parti più tristi di esso come il libro di Giobbe o alcuni capitoli del libro di Geremia.
Vige in molte comunità l’uso di recarsi, dopo la tefillà di shachrit, al cimitero a visitare le tombe dei propri cari.
Se il mese di Av è considerato particolarmente luttuoso nei suoi primi dieci giorni, al quindicesimo giorno cambia totalmente la sua atmosfera.
Infatti nella mishnà di Ta’anit, al termine del suo ultimo capitolo, troviamo scritto che:
“Non vi erano giorni più belli durante l’anno di Yom Kippur e del quindici di Av, durante i quali, le ragazze da marito uscivano per le strade di Gerusalemme, indossando abiti bianchi e cantando accompagnate da strumenti musicali e cercando di catturare l’attenzione di qualche giovane ragazzo che si innamorasse di loro, sposando le e costituendo una famiglia”.
Possa il Signore D-o ricostruire Yerushalaim e il suo Bet ha Miqdash rendendoci meritevoli di gioire in esso dopo il lutto fatto per millenni, per la loro distruzione e per la nostra sofferenza.
Shabbat Shalom e Tzom qal