Nella toràh è scritto (Ber.7:11) che il Diluvio è iniziato il diciassettesimo giorno del secondo mese, senza che sia precisato secondo mese a partire da quando. Sia Rashi sia Ramban concordano che il conto parte da Tishrì e che quindi si parla del 17 di MarChesvàn. Nella Mishnàh (Chag. 1:4) è detto che quando, in un anno di siccità, le piogge non sono ancora cadute, il 17 di MarChesvan le singole persone cominciano a digiunare ( e cioè che i digiuni individuali debbono precedere quelli collettivi).
E’ una coincidenza straordinaria: si comincia a digiunare per far cadere la pioggia lo stesso giorno in cui è iniziato il Diluvio. La preghiera per una pioggia di vita si contrappone drammaticamente, nel pensiero talmudico, al ricordo incancellabile di una pioggia di morte. Questo incontro tra due piccoli particolari midrashici, uno narrativo-haggadico legato al ricordare e l’altro normativo-halachico legato al fare, può aiutarci a studiare, sottovoce, alcune questioni etiche, enormi per le loro implicazioni.
Per comprendere la portata del nostro studio, è necessario individuare il significato forte che il Diluvio ha nella tradizione biblico-talmudica.
Nell’esperienza ebraica, il Diluvio è, per definizione, il modello della catastrofe universale, della rottura assoluta nei rapporti tra D-o e tutta l’umanità e del silenzio praticato dagli uomini mezzo-giusti che si salvano.
L’arca di Nòach è un piccolo universo che si salva in una piccola grande solidarietà mentre tutto il creato vivente si suicida contro D-o. Prima del Diluvio, D-o si pente di aver creato l’uomo. Dopo il Diluvio, D-o si impegna, forse pentito, a non portare più una catastrofe universale. Nella memoria ebraica, il Diluvio si chiama anche Acque di Nòach , perché Nòach rimanendo in silenzio davanti alla distruzione di tutto il mondo, si è assunto la responsabilità umana di questa catastrofe.
Esaminiamo queste ipotesi, ampliandole in un’altra prospettiva:
1) il Diluvio non riguarda la crisi e la ribellione, comunque limitate di un singolo essere umano o di una singola coppia uomo-donna come bene o male sono Adàm e Chavàh;
2) il Diluvio non riguarda la tragedia umana di un singolo popolo o di una singola identità religiosa, come risulta essere la colpa ebraica del Vitello d’Oro, che si sviluppa mentre D-o dona la toràh;
3) il Diluvio solleva il problema della Giustizia e della Misericordia divine nella realtà dell’universo umano, laddove non esistono differenze religiose, etniche, nazionali. Nòach discende da Shet il figlio che Adam ha dopo lo scontro tra Qàin ed Hèvel; Na’amàh, che secondo il Midràsh (BerR 23:22) è la moglie di Nòach, discende da Qàin il primo omicida.
4) Il Diluvio impedisce di anteporre la garanzia di incontri celestiali con D-o alla contestazione del diritto divino a portare (oppure accettare, oppure subire) la catastrofe dell’umanità. Nello scenario biblico-talmudico, le controversie tra gli uomini e D-o tendono ad essere discusse, in parallelo, come problemi tra uomini ed uomini e viceversa.
In quale modo il midràsh affronta la catastrofe del Diluvio come un problema esistenziale degli ebrei? Quali sono i pensieri che hanno portato i Maestri a scoprire che il Diluvio è iniziato il giorno in cui si deve cominciare a digiunare perché la pioggia porti la vita a tutti gli uomini?
Secondo il midràsh, Avrahàm è stato perseguitato per tutta la sua vita dal tormento di non capire e di non accettare la logica del Diluvio.
Avrahàm avrebbe scoperto la sua identità ebraica, contrapponendosi al Dor haPelagàh ( generazione della separazione) che voleva costruire la Torre di Bavèl per impedire a D-o di portare un altro Diluvio, ribellandosi e dividendosi per non affrontare il problema etico del Diluvio.
Secondo i Maestri, Avrahàm avrebbe affrontato il problema del Diluvio, discutendo e contrastando l’intenzione divina di distruggere le cinque città di Sodoma.
” Tu fai una profanazione! Il giudice di tutta la terra non farà giustizia?” (Ber 18:26). Questo grido di Avrahàm, che è forse la più forte provocazione teologica della toràh, secondo i Maestri fa parte di una sofferenza etica profonda e complessa.
E’ interessante approfondire questo argomento esaminando tre diverse riflessioni midrashiche, la prima che attribuisce a D-o la responsabilità etica universale, la seconda che attribuisce questa responsabilità al rapporto tra singolo uomo e collettività umana e la terza che definisce l’etica universale come un prodotto del rapporto tra uomo e D-o.
A) Secondo R. Achà (Ber.R. 39:6) Avrahàm avrebbe detto: ” Tu hai giurato che non avresti mai più portato il diluvio sul mondo. E come fai a tirarti fuori da un giuramento? Mi meraviglio! Vuoi portare un diluvio di fuoco invece che un diluvio di acqua? Beh, mancheresti al tuo giuramento, con questo trucco formale. Secondo R.Levi, Avrahàm avrebbe detto: “…se desideri che esista il mondo non puoi pretendere il Din (il rigore della Giustizia); se desideri che esista il Din, non puoi pensare che il mondo possa sussistere. Non puoi tenere la corda dai due capi. Prendi uno dei capi della corda (e tira)….” E D-o avrebbe risposto:”…tu hai amato il Zèdeq ( la Giustizia che contiene e modera il Diritto) ed hai odiato la malvagità più dei tuoi compagni…da Nòach a te ci sono state dieci generazioni ed Io non ho potuto parlare con nessuno se non con te…”
B) Rashi ( cfr Ber.18:32) cerca di spiegare perché Avrahàm, dopo aver chiesto a D-o di salvare le città di Sodoma se ci fossero stati 50 giusti, è sceso nella contrattazione sino a 10 giusti e non è andato sotto i dieci. ” Avrahàm ha fatto un conto (…) al tempo del Diluvio c’erano Nòach e sua moglie (…) ; i loro tre figli con le rispettive mogli (…) e siamo ad otto (…) D-o si è aggiunto al numero e siamo a nove (…) quindi per il Diluvio è mancato soltanto un uomo per arrivare a dieci e salvare l’universo (…) anche per Sodoma non posso chiedere meno di dieci”.
C) Secondo il Midrash Tanchumà (T.IashànVaierà 10) Avrahàm avrebbe detto “…Signore del mondo (…) tutti quelli che passano per il mondo diranno che il tuo mestiere è di distruggere l’umanità generazione dopo generazione (…) diranno che hai distrutto la generazione di Enòsh, la generazione del Diluvio e la generazione della Torre (…) e che non lasci perdere questa tua arte (…)” e D-o avrebbe risposto: “…verifichiamo generazione per generazione (…) e se ti sale in mente che non ho agito secondo la vera giustizia (…) insegnami tu ed Io farò come tu dici.”
La provocazione morale delle tre interpretazioni midrashiche che abbiamo esaminato può essere riassunta in questi termini:
1) di fronte alla malvagità nel mondo. D-o si deve assumere al pieno tutte le sue responsabilità, e deve esercitare la Giustizia senza lasciare neppure il sospetto che possa esistere una sua crudeltà. Il problema etico di D-o è di dover accettare la sopravvivenza dei malvagi piuttosto che aggiungere ingiustizia ad ingiustizia rischiando di far soccombere anche i giusti. Di più: finchè esiste una collettività minimale di giusti, D-o deve lasciare aperta l’ipotesi che tutta l’umanità possa cambiare e sopravvivere;
2) D-o fa parte della collettività minimale di giusti ( il miniàn) che può mantenere vivo l’universo; ma in questo miniàn, D-o conta solo per uno; per bloccare la catastrofe del Diluvio mancava soltanto un singolo uomo; il mondo può essere distrutto, momento per momento, se ogni singolo essere umano non comprende di poter e dover essere il decimo uomo che completa il miniàn ( con o senza D-o);
3) D-o afferma di esercitare assieme Giustizia e Misericordia, ma ritiene che gli uomini hanno diritto di verificare questa affermazione se sono mossi dalla passione per il Zèdeq; questo potere di verifica è un particolare aspetto della responsabilità umana; l’uomo è libero e responsabile non solo perché ha la piena libertà delle sue azioni, ma anche perché ha la sua sensibilità e la sua capacità di giudizio; nel patto con Avrahàm D-o accetta di dover imparare dall’uomo che cosa è la Giustizia per l’uomo.
Due riflessioni conclusive.
A) Secondo il midràsh, Avrahàm ha ricevuto la sua investitura di primo padre del popolo ebraico, incontrando un importante sopravvissuto del Diluvio e cioè Shèm, figlio di Nòach, che i maestri identificano con MalkìZèdeq re di Shalèm. La toràh definisce MalkìZèdeq come Kohèn del D-o Eccelso. Il midràsh ritiene che in questo incontro vi è stato un passaggio di consegne rispetto alla carica sacerdotale. MalkìZèdeq avrebbe istruito Avrahàm sulle diverse mizvòth che appartengono ai Kohanim. Una di queste mizvòth è l’offerta delle acque (TB Sukkàh 48a). Per chi vive nel mondo del midràsh è difficile non pensare che Avrahàm e Shem-MalkìZedèq si siano dimenticati di parlare del Diluvio e che Avrahàm non abbia ritenuto giusto digiunare il giorno in cui è iniziato il Diluvio, come preghiera perché le acque della Distruzione possano trasformarsi in acque di Benedizione.
B) Secondo R. Ioèl Teitelbaum le anime degli uomini del Diluvio e della Torre, le anime degli uomini di Sodoma e le anime dei 600.000 ebrei usciti dall’Egitto sono le stesse anime. La preghiera di Avrahàm per Sodoma è una preghiera perché ogni uomo veda dentro se stesso ( e non fuori se stesso) il male che può diventare bene.
Settembre 1998 – Shalom