Rosh haShanah 5779
Rosh ha-shanah è una festa piena di significati simbolici. I Chakhamìm hanno attribuito tanti differenti significati alle varie azioni che compiamo durante queste giornate, compresi gli aspetti che derivano direttamente dalla Torà. Fra questi un ruolo speciale è affidato al consumo di cibi particolari durante il Seder di Rosh ha-shanah. Il rito è conosciuto a tutti, la sua fonte forse meno.
E’ opportuno ricordare che non si tratta di un’innovazione recente, anche per l’ebraismo italiano, dal momento che quest’uso è ricordato nell’Arùkh e nello Shibolè ha-Lèqet, opere medievali romane, con una particolarità, dovuta ad una versione leggermente diversa del testo della ghemarà: l’uso riportato nella tradizione italiana è quello di guardare solamente i cibi, senza mangiarli. La ghemarà nel trattato di Horaiòt (12a) riporta una interessante discussione sulle cose che una persona dovrebbe fare se vuole sapere se avrà un buon anno. Alcune di queste pratiche, ad esempio quella di lasciare un lume acceso in una stanza nella quale non soffi vento nei dieci giorni fra Rosh ha-shanah e Kippur e vedere se rimarrà acceso, sembrano avere poco di ebraico.
In quel brano Abbayè afferma un importante principio, riportato anche in TB, Keritòt 6a: simanà mìlta hi, i segni hanno un significato reale. In generale, spiega il Maharshà, si dovrebbero evitare quei segni che potrebbero influenzarci negativamente, perché effettivamente questi presagi hanno il potere di fare in modo che le cose vadano male, per via di un nostro atteggiamento negativo, ed anzi è proibito affidarsi a cose del genere per via del divieto di nichush (divinazione). Non si applica però a segni beneauguranti, e questo è il motivo per cui si dovrebbe adottare l’abitudine di mangiare, o secondo alcune versioni della ghemarà guardare, di Rosh ha-shanah alcuni cibi particolari. Lo scopo non certamente quello di riconoscere in questi cibi dei segni celesti, che determinano la realtà in una certa direzione, ma piuttosto quello di esprimere il tentativo da parte nostra di influenzare la realtà, senza tuttavia avere la certezza di riuscire in questo intento.
I commentatori hanno riportato varie ragioni per cui questi cibi dovrebbero essere mangiati:
a) Rashì scrive che crescono più velocemente degli altri;
b) il Perush Aggadot di Rabbènu Yedaià Ha-Peninì offre una spiegazione intrigante: tutti i giardinieri sanno bene che questi cibi crescono meglio in presenza di rumori forti attorno, perché questi rumori scuotono il terreno e permettono ai raggi solari di penetrare meglio. Allo stesso modo noi dovremmo essere maggiormente ricettivi al suono dello shofàr e dare modo ai sentimenti di introspezione e pentimento che affiorano in noi e dar loro modo di esprimersi a pieno;
c) il Mordekhài, ripreso dal Tur e dallo Shulchàn Arùkh, si concentra invece sui nomi di questi cibi. Il Maghèn Avraham riporta in merito un fatto interessante: è possibile mangiare qualsiasi cibo che contenga una benedizione nella lingua parlata in quel posto. Per avvalorare questa idea si fonda su un brano della ghemarà nel trattato di Berakhòt (56b), che affronta il tema dei sogni premonitori, in particolare quando si sogna un gatto: il significato del sogno dipenderà da dove si vive, poiché il gatto viene chiamato in vari modi nelle varie zone della Babilonia. Per questo, alcuni usano mangiare cibi in base al loro nome in Yiddish. Non parlando al giorno d’oggi aramaico, augurarci che i nostri nemici vengano sterminati, ikkaretù soneènu, potrebbe essere opportuno, per via dell’assonanza nella nostra lingua, mangiare carote.
Il Maharil, il padre del minhàg ashkenazita, individua la fonte nell’uso già nella tradizione scritta, nella Torà, nei neviìm e nei ketuvìm. Ad esempio nella Torà il riferimento si trova nella parashà di Beshallach, quando vennero addolcite le acque di Marà, archetipo dei cibi dolci che vengono mangiati a Rosh ha-shanà. In quella occasione è detto che il Signore impose al popolo ebraico choq e mishpàt, ed è noto come Rosh ha-shanah sia il giorno del mishpàt.