Tratto principalmente da una lezione di Rav Ari Kahn
I giorno Rosh haShanah 5779
Nelle ultime parashot del libro di Devarim Mosheh Rabbenu mette in guardia il popolo ebraico circa le implicazioni dell’abbandono della parola divina. Il possesso della terra di Israele richiede che vi sia moralità nei comportamenti: la terra stessa non sopporta le iniquità, e una cattiva condotta porta all’esilio. Cosa ne sarà allora del patto fra D. e il popolo ebraico? Tutto finisce così? Avremmo potuto pensare così, ma questo non è il caso. La Torah ci spiega che è possibile riattivare questa relazione e fare ritorno nella terra. Ed è quanto sta avvenendo negli ultimi decenni. Non si tratta però di un semplice spostamento fisico, lo scopo evidentemente è un altro: portare ad un rinascimento nazionale, al raduno degli ebrei da ogni parte del mondo e alla piena ricostituzione del rapporto fra D. e il popolo ebraico.
Le parashot che leggiamo in queste settimane, nel periodo dei mo’adim, sono sempre le stesse. Anche se le letture dei mo’adim seguono una logica indipendente dal ciclo settimanale, c’è la preoccupazione che la lettura dell’ultima parashah della Torah sia effettuata di Simchat Torah, subito dopo Sukkot. In questo modo il sistema di letture settimanali e il ciclo festivo vengono riallineati. La conseguenza è che quando si avvicina Rosh ha-shanah i temi che affrontiamo sono quelli del pentimento e della rinascita nazionale. In realtà questi due fenomeni sono vicini: la Teshuvah è a livello individuale ciò che è rappresentato dal qibutz galuiot, la riunificazione delle Diaspore.
Ciascuno di noi durante questi giorni è preso da pensieri che lo invitano a fare teshuvah. Ciascuno di noi aspira a migliorarsi, a tornare ad una versione più pura di sé. Preghiamo di ricevere la benedizione divina, noi e i nostri cari. Nella maggior parte dei casi queste aspirazioni corrispondono veramente ai nostri desideri più intimi, vogliamo veramente migliorare, essere più portati alla spiritualità, più fedeli alla nostra vera indole, più vicini a D. Spesso però siamo confusi rispetto al modo più efficace di cambiare.
Il musar nella propria riflessione dedica molto spazio all’auto-miglioramento morale e alla riattivazione di lati che paiono sopiti all’interno della nostra coscienza. Uno dei maestri del musar, conosciuto come l’Alter di Novardok, affrontò il tema della confusione nel percorso di Teshuvah con una parabola, che possiamo aggiornare prendendo come riferimento Israele.
Ci sono due grandi città in Israele, una è Yerushalaim, l’altra è una grande metropoli moderna, Tel Aviv. Molte persone decidono di vivere in una città o nell’altra, ma è innegabile che Yerushalaim sia assolutamente unica nel proprio genere. Fra le due città, più o meno a meno a metà strada, si trova Modi’in. Un giorno un uomo, che intendeva recarsi a Yerushalaim, prese un treno dalla stazione di Modi’in. Da lì si poteva già vedere la meta tanto agognata. Sapeva bene cosa stesse cercando. Sapeva cosa fosse la santità ed era pieno di aspettative. Tuttavia, pochi minuti dopo la partenza del treno, si rese conto di essere diretto nella direzione sbagliata. Per sbaglio aveva preso il treno per Tel Aviv. La strategia più logica sarebbe stata quella di scendere alla prima fermata, e prendere il treno per Yerushalaim, ma per il nostro viaggiatore era troppo doloroso, si sarebbe trattata di un’ammissione imbarazzante di avere sbagliato strada.
Quanti di noi sono in grado di ammettere di aver commesso degli errori?
Il nostro viaggiatore decide pertanto di cambiare posto, e di viaggiare in un posto rivolto verso Yerushalaim, e così potrà vedere durante il viaggio Yerushalaim, che sarà sempre più lontana, piuttosto che Tel Aviv. Avrà l’impressione di viaggiare verso la propria meta, verso l’incontro con la santità, ma in realtà si allontanerà sempre di più.
Questo purtroppo è l’approccio che molte persone mostrano verso Rosh hashanah. Piuttosto che cambiare treno, cambiano posto, rimanendo sullo stesso treno. Senza ammettere i propri errori, senza cambiare direzione, ciò a cui aspiriamo continua a scivolare, sempre più lontano. Per tornare a noi stessi e a D., a volte dobbiamo riconoscere che abbiamo sbagliato strada. A volte dobbiamo cambiare treno. Avere un posto comodo su un treno che non porta da nessuna parte non ci porterà soddisfazione.
All’interno del nostro calendario questi sono i giorni più adatti per prendere il treno giusto.
Ci potremmo chiedere perché nel nostro calendario Rosh ha-shanah venga prima di Yom Kippur. Sembrerebbe più logico ottenere prima il perdono divino durante Kippur, diventare delle persone nuove, e avere quindi maggiori probabilità di ottenere un giudizio favorevole da D. per l’anno che sta inziando.
Questo sarebbe vero se il giudizio di Rosh ha-shanah fosse un giudizio solo sul passato, ma di Rosh ha-shanah veniamo giudicati anche per i nostri propositi.
Rosh ha-shanah ricorda anzitutto un inizio, quando non c’era ancora un passato da ricostruire. In base alle nostre aspettative viene modellato il nostro potenziale spirituale per l’anno che verrà, ma, una volta chiarita la nostra visione, possiamo affrontare Yom Kippur con uno spirito nuovo.
Per raggiungere l’obiettivo dovremo superare molti ostacoli, ma, avendo tracciato una strada, cambiare e correggere i nostri difetti sarà più agevole.
Rav Chayim Friedlander individuava il peggiore ostacolo nel progresso spirituale nella forza di inerzia. Se ci troviamo su una macchina in corsa e spegniamo repentinamente il motore, il mezzo continuerà a muoversi nella direzione che stava seguendo.
Lo stesso è per noi, le nostre abitudini ci guidano. Per rompere la forza esercitata dall’abitudine dobbiamo esercitare un nuovo stimolo, in modo particolare durante i giorni fra Rosh ha-shanah e Kippur.
Nella halakhah troviamo una traduzione di questa attitudine, quando viene prescritto di assumere durante quei giorni degli standard comportamentali più rigorosi di quelli che normalmente adottiamo. Può sembrare ipocrisia, ma non è così. In realtà si sta effettuando un cambiamento di indirizzo, si sta attutendo la forza esercitata dall’abitudine.
Pensiamo quindi a cosa vorremmo essere, e iniziamo a tradurre in pratica le nostre aspirazioni. Una piccola spinta dal basso verrà amplificata dall’alto, ma il primo passo è solo nostro.
Shanah tovah e ghemar chatimah tovah a voi tutti e ai vostri cari!