Da una derashà di Rav Sacks
Una buona parte del mondo oggi non sa cosa significhi la libertà. Varie nazioni intraprendono una lotta per la libertà, e Pesach ancora oggi ha molto da insegnarci sulla natura di questa lotta. Il revival di questa storia, ogni anno, ispira l’immaginazione del popolo ebraico, generazione dopo generazione. E’ un’esperienza viva, piena di elementi concreti. Un rito che non si svolge in Sinagoga, ma in casa propria, a sottolineare quanto la dimensione domestica e familiare sia fondamentale.
L’aspetto più innovativo e sorprendente è che si tratta dall’inizio alla fine di una costruzione volta a coinvolgere e ad appassionare la mente di un bambino. I chakhamim, che hanno sviluppato questo rituale, sono stati guidati dalla narrazione assolutamente controintuitiva che caratterizza i capitoli 12 e 13 del libro di Shemot. Mosheh ha appena radunato il popolo ebraico, per annunciare che di lì a poco saranno liberi. Il popolo schiavizzato ha assistito ad una serie di miracoli compiuti per loro. Quello di Mosheh è un discorso storico. Ma dovremmo fermarci un attimo e chiederci di cosa avremmo parlato noi nella stessa situazione: della libertà, dell’obiettivo che abbiamo, raggiungere la terra stillante latte e miele, della difficoltà del cammino che ci attende, a confronto con la natura selvaggia? Questi argomenti sarebbero degni dei discorsi di grandi leader, ma Mosheh non parla di tutto questo, e questo lo rende un leader unico. Nel testo in Shemot si torna più volte sullo stesso tema: i bambini, l’istruzione e il futuro lontano.
Mosheh non parla di libertà, ma di educazione. Non guarda alla situazione immediata, ma al lontano futuro, non si concentra sugli adulti, ma sui bambini. Questo passaggio è fondamentale, forse in questo modo non si sarebbe contrastata adeguatamente il rischio di cadere in una tirannide, ma costruire una società libera si sarebbe rivelato quasi impossibile. Alle lunghe c’è solo un modo per farlo: per difendere un paese serve un esercito, per salvaguardare una cultura serve educazione. Per questo Rousseau considera Mosheh uno dei grandi architetti della libertà. Ciascun genitore ha il compito di educare i propri figli sul perché la libertà è importante e su come sia stata raggiunta. Per raggiungere la libertà non è sufficiente rovesciare un regime tirannico. Questo normalmente è solo il preludio ad una nuova tirannide. Gli attori cambiano, ma non la sceneggiatura. Per raggiungere la vera libertà è indispensabile avere uno stato di diritto e giustizia, un sistema giudiziario in cui i diritti di alcuni non siano garantiti dalla negazione dei diritti di altri. Ma il primo passo, ci dice Mosheh, è ciò che insegniamo ai nostri figli. La passione del popolo ebraico è lo studio e l’educazione, i suoi eroi sono maestri, le sue roccaforti sono le scuole. In nessun altro passaggio questo è evidente come in Pesach, quando il processo di trasmissione scaturisce dalla domanda di un bambino. Ciascuno deve essere educato in quello che Toqueville chiamava l’apprendistato della libertà. La libertà non si conquista sui campi di battaglia, ma anzitutto a scuola e a casa propria.