La parashà che leggeremo questo shabbat è piena di contenuti, ma forse quello più intrigante è il nazireato.
Il nazir è colui che per sua volontà o per quella dei suoi genitori, si astiene dal compiere alcuni atti della sua vita, per sempre o temporaneamente, come forma di dedizione a D-o.
Secondo il talmud, il termine nazir vuole indicare una espressione votiva: “neder – voto”, che ha assonanza proprio con il nostro termine.
Il nazir infatti sacrificava una serie di azioni della sua vita, privandosi di esse, per elevarsi spiritualmente verso il Signore: non poteva tagliare i capelli né la barba, bere vino né sostanze inebrianti, né cibarsi di uva – fresca o secca – durante tutta la sua vita o per il periodo che si era preposto di mantenere la sua condizione di nazir.
La torà però ammonisce chiunque si accingeva a fare ciò, dicendo che, dal momento in cui iniziava questo stile di vita, non poteva interrompere fino al termine.
Per questo motivo, i Maestri del Talmud hanno decretato che, forse, se non si era sicuri di portarlo a termine era meglio non iniziarlo affatto.
Tutti gli eccessi di zelo, non sono ben visti dell’ebraismo: meglio comportarsi da buon ebreo, osservando le mizvot (e già basta) piuttosto che tentare di far di più e non portare a termine né l’una né l’altra cosa.
Infatti, quando il nazir, per qualsiasi evenienza (come la morte improvvisa di un consanguineo) fosse stato costretto ad interrompe questo voto, doveva offrire due sacrifici: uno per l’interruzione del voto, l’altro come espiazione per averlo interrotto bruscamente.
La torà, con questa legge vuole mandare un forte messaggio: un ebreo non è più ebreo di un altro e lo è solo se si attiene alle regole della Torà, senza dover dimostrare a nessuno – tantomeno a D-o, più devozione di un altro.
Tanto più, l’attaccamento alla vita materiale e ai suoi piaceri, deve essere uno dei requisiti fondamentali alla gratitudine verso Colui che ci ha donato la vita, intesa nella sua globalità – materiale e spirituale.
Shabbat shalom