Una delle manifestazioni della forza creatrice del S.B. si ritrova nella varietà di colori di cui il creato è costellato. Colori, ma anche sfumature di colori. Quante varietà di rosso ci sono al mondo? Innumerevoli: rosso scarlatto, rosso carminio, rosso vermiglio, rosso Bordeaux, ecc. Quanti blu esistono? Moltissimi! E ora passiamo alle domande più difficili. Quanti tipi di nero sono disponibili? Saremo tentati di rispondere: uno solo. E invece un mio amico tipografo mi ha recentemente informato che esistono non meno di… 55 neri differenti! Lo stesso dicasi per il bianco. Parliamo di bianco candido come la neve, bianco panna, bianco latte…
Quante varietà! Una di queste è il bianco Isabella. Pare che prenda questo nome dalla regina Isabella di Castiglia, co-responsabile della cacciata dalla Spagna. In ossequio alla sua religione, che prescrive il disprezzo del proprio corpo, Isabella limitava al massimo l’igiene personale, o forse se ne asteneva del tutto. Possiamo immaginare di che colore fosse la sua biancheria!
Ma voglio parlarvi di Torah. Il bianco rappresenta nella nostra Tradizione la purezza. Bianchi sono gli abiti dei Rabbini e dei Chazanim a Rosh ha-Shanah e Yom Kippur. Bianca sarà la veste che indosseremo per il nostro ultimo viaggio, sia pure al più tardi possibile. Ebbene, per uno dei paradossi della nostra santa Torah le Parashot di oggi ci insegnano giusto l’inverso. Esse ci parlano di una malattia che si chiama tzara’at, tradotto generalmente con lebbra. Essa consiste in chiazze bianche cosparse per il nostro corpo. Qualora il kohen dovesse accertare che in una di queste chiazze siano presenti almeno due peli bianchi, la persona affetta da tzara’at è dichiarata impura! A ben vedere, più che di un male fisico si tratta di un male spirituale. I nostri Maestri spiegano che si tratta della punizione per aver commesso maldicenza e aver così guastato le relazioni sociali. Il destino del metzorà’ sarà quello di rimanere completamente isolato finché il kohen avrà accertato la completa remissione dei suoi sintomi. Solo allora comincerà la sua purificazione. Il bianco è dunque simbolo tanto di purità che di impurità! La cosa è adeguatamente sottolineata nella lingua ebraica. Bianco si dice lavàn: opportunamente anagrammando le consonanti si otterrà navàl che significa malvagio. Siamo avvertiti che la differenza fra bene e male è spesso molto sottile. Quante volte crediamo di comportarci bene e invece stiamo sbagliando?
La tzara’at è oggetto di un trattato della Mishnah nell’ordine tohorot, “sulle purità”. Il trattato si chiama nega’im, un termine usato già nella Parashah per identificare queste piaghe. Il primo paragrafo del trattato Nega’im esordisce insegnandoci che ci sono quattro bianchi impuri differenti. I primi due sono esplicitamente nominati nei versetti e sono il bianco neve (sheleg) e il bianco lana (tzemer). Gli altri due sono dedotti dai Maestri e sono il bianco come l’intonaco di palazzo (sid ha-heykhal) e il bianco albume d’uovo (kerùm beytzah). I primi due ci interessano qui perché ci ricordano uno dei primi versetti di Yesha’yahu che leggiamo nella Haftarah di Shabbat Chazon, il Sabato che precede il digiuno del 9 Av. Rivolgendosi al popolo a Nome di H. il Profeta dice: “Venite che ne discutiamo, dice H., se anche i vostri peccati fossero rossi come porpora imbiancheranno come la neve; se arrossissero come il verme (della porpora) diventeranno come lana” (1,18). Abbiamo qui un esempio di parallelismo, per cui il medesimo concetto è ripetuto due volte attraverso sinonimi. Almeno in apparenza. Neve e lana, infatti, non contraddistinguono la stessa tonalità di bianco!
Il digiuno del 9 Av commemora la distruzione del Tempio di Yerushalaim. O meglio dei due Templi! Spiega il Meshekh Chokhmah che la ripetizione si riferisce ai due periodi storici. Spiega la Ghemarà in Yomà (9b) che il Primo Tempio fu distrutto per i peccati verso D. Da questi abbiamo fatto teshuvah completa e il secondo Tempio è stato costruito. Lo testimonia il paragone con il candore della neve nella prima espressione. Ma anche il Secondo Tempio fu poi distrutto, questa volta per la sin’at chinnam, l’odio immotivato fra le persone. Anche di questo abbiamo cercato di fare Teshuvah, ma non ci siamo ancora riusciti fino in fondo. Il Terzo Tempio non è ancora stato ricostruito. C’è ancora troppa inimicizia fra di noi da estirpare. Ecco perché nella seconda espressione del versetto il bianco è paragonato alla lana solamente, un bianco più “scuro” di quello della neve.
Anche il verbo che indica rosso è differente nelle due parti del versetto. Nella prima è semplicemente detto “saranno come la porpora”, nella seconda è invece usata una forma verbale che indica non semplicemente una situazione interna al soggetto (se fossero rossi), ma anche un’azione che il soggetto provoca negli altri (yaadimu: se attaccassero il rosso). Non solo abbiamo odiato, ma abbiamo anche fomentato odio. Non ci resta che augurarci di poter presto sostituire l’odio reciproco con l’amore reciproco. Così il bianco della lana diventerà finalmente candido come la neve!