Poco prima di morire, nella parashah di Nitzavim (Devarim 30,19) Mosheh Rabbenu dice al popolo ebraico le seguenti parole: “Io chiamo a testimoni per voi oggi il cielo e la terra: io ho posto davanti a voi la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita onde viviate tu e la tua discendenza”. Questo discorso non riguarda solo il popolo ebraico, ma anche l’umanità nel suo complesso. Tuttavia non si capisce perché Mosheh debba dire ciò.
Non siamo in grado di capire da soli che dobbiamo scegliere la vita? Di fronte all’alternativa, non comprendiamo che è preferibile cercare la benedizione, piuttosto che la maledizione? La risposta a questa domanda la troviamo nel libro di Qohelet, che leggiamo durante Sukkot, una delle più profonde riflessioni nella nostra tradizione sulla vita e sulla morte. Come è noto, la parola chiave nel libro è Hevel, che compare ben cinque volte in un unico versetto: Vanità di vanità, dice Qohelet, vanità di vanità, tutto è vanità. Tuttavia il senso primario del termine Hevel è respiro. Tutti i termini ebraici che designano l’anima, nefesh, ruach, neshamah hanno a che fare con la respirazione. Hevel è un breve respiro fugace. Qohelet è ossessionato dalla fragilità e dalla vulnerabilità della vita umana. L’essere umano è una creatura di una complessità sconvolgente, ma ciò che separa l’essere dal non essere, la vita dalla morte, non è complesso. E’ solo un respiro. Alla fine del Re Lear, tenendo fra le braccia il corpo senza vita della figlia Cordelia, il re piangendo dice: “ma perché un cane, un cavallo, un topo devono avere vita, e tu non ne devi avere più nemmeno un soffio?”. Qohelet richiama per mezzo del termine Hevel il primo omicidio della storia. Ciò che ci rende essere viventi è il soffio vitale che il Signore ci ha conferito. E’ vero siamo un respiro, ma un respiro divino. Hevel è stato ucciso da Qain.
La Torah spiega esplicitamente l’origine e il senso di questo nome: “Ho acquistato un uomo con D.”. Qain rappresenta il possesso, e il possesso inevitabilmente conduce al conflitto, un conflitto a somma zero: tanto più hai, tanto meno ho io. Dal momento che tutti desideriamo avere di più, il risultato sarà la violenza, una guerra senza quartiere fra uomini, nella quale domina la legge del più forte, e come dice Hobbes, “la vita è solitaria, povera, brutta, brutale e corta”. Questa condizione ha fatto maturare in D. la convinzione di mandare il diluvio universale, e per questo nella Torah diviene fondamentale l’idea che non possediamo nulla. Tutto, la terra, i suoi prodotti, il potere, i figli, la vita stessa, appartengono a D. Siamo dei tutori, che hanno a disposizione la facoltà di agire per mezzo di queste cose, ma non le possediamo. Questa è la base su cui poggia l’idea ebraica della giustizia sociale, che la rende un modello valido ancora oggi. Qain è il frutto dell’equazione secondo cui io sono ciò che posseggo, e questo mi fornisce il potere.
Migliaia di anni prima di Nietzche, la religione come volontà di potenza, e questo spiega perché H. rifiutò la sua offerta e accettò invece quella di Hevel, che si presentò con la consapevolezza e l’umiltà di un essere mortale. Sono solo respiro, e persino il respiro che mi anima, non è mio, ma Tuo. Se la religiosità diviene ricerca del potere, il risultato è lo spargimento di sangue. Anche il re Shelomò cercò inizialmente la felicità e la realizzazione in quello che possedeva, palazzi, giardini, servi e ricchezza. Ma nulla di tutto questo portò quanto sperava, perché nulla di tutto questo può contrastare la morte. Siamo solo respiro, e il valore supremo diviene la vita stessa. Cose semplici, mangiare, bere, lavorare, trascorrere la vita con la donna che ami. La gioia non deriva da ciò che possediamo, ma da ciò che siamo. Serviamo H. celebrando la vita.
Per questo Sukkot viene subito dopo Kippur, quando chiediamo di essere scritti nel libro della vita. La Sukkah rappresenta quanto questa vita sia vulnerabile, ma tuttavia dobbiamo gioire. In ogni epoca l’umanità si trova di fronte allo stesso dilemma, scegliere il potere o la vita, e per avere un futuro di speranza, dobbiamo fare la scelta giusta.