Molti scrittori firmano i loro libri con uno pseudonimo. Non dobbiamo pensare che lo facciano per sottrarsi alla responsabilità di ciò che hanno scritto. Al contrario. Dobbiamo presumere che si tratti di persone oneste. In tal caso lo faranno piuttosto per umiltà: non volere comparire con il proprio nome scritto per esteso, come se ciò volesse dire: “guardate come sono stato bravo!”. In tal caso ci si potrebbe ancora domandare perché non preferire l’anonimato del tutto! Qui subentra proprio l’idea di non rifuggire dalle proprie responsabilità. E’ giusto che chi scrive si firmi, in un modo o nell’altro.
Anche il Santo Benedetto ha firmato la Torah crittando il proprio Nome. In che modo? Attraverso la Ghematriyà, che consente di dare alle parole un diverso significato basato sul valore numerico delle lettere. Dove lo troviamo? Normalmente all’inizio o alla fine di un libro e così è anche nel nostro caso. Anzi, il S.B. volendo uscire d’obbligo secondo tutte le opinioni, ha scelto di firmarsi parte alla fine e parte all’inizio: comprendiamo così l’importanza di ricominciare la lettura della Torah daccapo subito dopo averla conclusa. Prendiamo il valore delle lettere iniziali delle ultime tre parole della Torah (le-‘eyney kol Israel) e sommiamo a esse il valore delle iniziali delle prime tre parole (Bereshit barà Eloqim. Il valore che otteniamo da lamed-kaf-yod-bet-bet-alef è 65, ovvero lo stesso valore dello Shem Adnut (alef-daled-nun-yod) con cui siamo abituati a “chiamare” D. durante le Tefillot.
Prima di interrogarci perché H. abbia scelto di firmarsi proprio con questo Nome rispetto agli altri, voglio ancora domandare quale sia il Cognome del S.B. Sì, perché come ognuno di noi anch’Egli ha un cognome! Siamo talmente abituati alla Sua confidenza, a sentirlo vicino a noi e quindi a chiamarlo per Nome, che quasi non ci accorgiamo del Suo Cognome e ce ne dimentichiamo. Eppure c’è. Se il Nome è formato dalle iniziali, il Cognome sarà dato dalle finali. Se osserviamo le lettere finali delle prime tre parole della Torah, esse formano la parola emèt, verità! Il Talmud (Shabbat 55b) dice che chotamò shel HQBH emèt, il sigillo (cioé il Cognome, con cui si chiude la firma) del S.B. è la parola verità. Yom ha-Chotam, il “giorno del Sigillo” era ieri, Hosha’anà Rabbà, in cui il S.B. ha apposto la Sua firma definitiva al nostro destino per quest’anno; oggi, Sheminì ‘Atzeret, è il giorno dell’Unità di D.: infatti in questo giorno si offriva in sacrificio nel Bet ha-Miqdash Un solo toro; domani, Simchat Torah, sarà la festa della Torah che è chiamata appunto Torat Emèt!
Ma torniamo al Nome alef-daled-nun-yod. HQBH ha scelto di firmarsi con esso perché comprende entrambe le sue middot: il rigore (middat ha-din, lett. giustizia) e la Misericordia (middat ha-rachamim). La giustizia riguarda il ricevere: la pioggia che invochiamo da oggi, per esempio. In alcune Comunità si usa affiancare i due seganim al Chazan durante il Tiqqun ha-Gheshem come a Kippur, a formare un simbolico Bet Din. Dobbiamo sapere che ogni volta che preghiamo per ricevere qualcosa veniamo giudicati: D. vuole sapere se davvero ce la meritiamo. La Misericordia riguarda invece la disponibilità a dare.
Le quattro lettere alef-daled-nun-yod rappresentano la Misericordia che nasce dalla Giustizia. E’ la middah più alta, perché le comprende entrambe: dare e ricevere insieme. Più esattamente la Misericordia racchiude, ingloba la Giustizia: le due lettere centrali, infatti, formano la parola din, Giustizia. La quarta lettera è a sua volta l’iniziale di yid-he-waw-he, lo Shem Hawayah che rappresenta la Misericordia. E la alef all’inizio, quale Nome rappresenta? Ehyeh, sarò. Ricordate l’espressione ehyeh asher ehyeh (Sarò Colui che sarò, Shemot 3,13), pronunciata da D. al roveto ardente? E’ il Nome con cui D. si è rivelato a Moshe per la prima volta affidandogli la missione di liberarci dall’Egitto. Esso è Misericordia per eccellenza! Ma a chi esattamente si riferisce quell’ehyeh alla prima persona? D. parla a noi uomini. Cosa significa “sarò”? Sarò più buono. Mi impegnerò per quest’anno a essere più buono con gli altri. Ora che il periodo di teshuvah è felicemente concluso, sono pronto non solo a ricevere, ma anche e soprattutto a dare.