La distruzione di Sodoma ci fornisce un’opportunità unica di interrogarci relativamente alla giustizia divina. H. sceglie Avraham come intermediario per indirizzare il mondo lungo i sentieri della giustizia. Apparentemente Avraham discute con H., ma esaminando più attentamente i versi è H. a spingere Avraham a porre domande, affinché H. possa rispondergli, chiarendo il Suo modo di operare. Anche l’impressione iniziale, secondo la quale Sodoma e Gomorra ricevono una punizione collettiva, fatto che suscita lo sdegno di Avraham, verrà smentita dal seguito della storia.
H. si chiede se è possibile nascondere ad Avraham quanto sta per compiere, in base a due ragionamenti a) Avraham sarà padre di un grande popolo; b) Avraham indirizzerà i suoi figli a praticare la giustizia e il diritto. Ma affinché ciò possa verificarsi è necessario fornirgli degli strumenti adeguati. Se qualcuno avesse chiesto ad Avraham: “come mai H. ha distrutto un’intera città, giusti e malvagi, senza giustizia alcuna?”, certamente si sarebbe trovato in imbarazzo a rispondere.
H. dice di voler scendere per verificare se il peccato e il grido di Sodoma corrispondessero a quanto aveva “percepito”. A che serve però “scendere”. D. forse dall’alto dei cieli non sa quanto avviene sulla terra, tanto che bisogna scendere? Sembrerebbe che l’intento di H. non sia tanto quello di scendere per verificare, quanto quello di dare agli abitanti di Sodoma una ulteriore opportunità per cambiare rotta, e di conseguenza non punirli. La “discesa” avviene per mezzo dei malakhim, i quali, sotto veste umane, sottopongono gli abitanti della città ad un ultimo esame. Avraham, di fronte a degli ospiti inaspettati, ha passato l’esame a pieni voti, e non parliamo di quantità di cibo offerto loro, ma dell’enorme sollecitudine nell’ospitalità di Avraham, sulla quale la Torah torna ben cinque volte. Di fronte al medesimo esame gli abitanti di Sodoma come reagiranno? L’accostamento delle due storie non fa altro che rendere più impietoso il giudizio nei confronti dei sodomiti.
Avraham avinu lancia un’accusa, nemmeno troppo velata, di ingiustizia nei confronti di H.; non è giusto sterminare il giusto assieme al malvagio, ma la sua controproposta a ben vedere è altrettanto ingiusta, risparmiare l’intera città per via dei giusti che in essa risiedono. Se la punizione collettiva è ingiusta, altrettanto lo sarà la grazia collettiva! Ma, dice Avraham, se ci sono cinquanta giusti nella città, questo è un motivo sufficiente per salvare, a ragione, l’intera città. D’altro canto però, si potrebbe ribattere, se questi cinquanta giusti non fanno nulla, non censurano dei comportamenti e non si ribellano, non è giusto che periscano assieme ai malvagi? O forse, come poi avverrà alla fine, è giusto dividere gli uni dagli altri, salvare i giusti e punire i malvagi? Se è così, il giusto dovrà però salvarsi con le proprie forze. Se deciderà di rimanere assieme ai malvagi ne condividerà la sorte. Anche quando nel libro di Bemidbar vi sarà la rivolta di Qorach, Mosheh disse a coloro che non erano coinvolti di scostarsi, perché altrimenti sarebbero stati accomunati anche loro nella punizione destinata ai seguaci di Qorach. La gente di Sodoma è molto diversa, sebbene potrebbe sembrare simile, dalla generazione del diluvio. Quella umanità era tormentata da violenza e furti, e non vi era alcuna forma di giustizia, mentre a Sodoma esisteva un sistema giuridico. Lot viene accusato di ergersi a giudice dei Sodomiti, ed effettivamente secondo al midrash, era un loro giudice, risiedendo alle porte della città. Il suo comportamento, il suo voler ospitare qualcuno, non era compatibile però con il loro modo di vivere. Secondo la Mishnah nel Pirqè Avot (5,10) chi dice “ciò che è mio e mio, ciò che è tuo è tuo” segue la middat Sedom. L’enorme pecca del “sistema Sodoma” è che la loro giustizia non aveva nessuna misericordia. Una vita che esclude a priori qualsiasi concessione non può far altro che ingenerare liti a non finire. In un sistema del genere qualsiasi bisognoso, a qualunque livello, è destinato a soccombere.
A questa concezione del mondo si contrappone Avraham, dotato di un profondo senso della giustizia, ma di altrettanta misericordia, la stessa che caratterizza H., disposto a risparmiare la città non solo in presenza di cinquanta tzadiqim, ma anche di quaranta, ecc. sino a dieci. Ma a Sodoma non c’erano dieci giusti. Lot insiste per ospitare i malakhim, e supera l’esame, ma ai Sodomiti che cosa importava di tutto ciò? Nella halakhah c’è un concetto, “kofin al middat Sedom”, “questo ha un vantaggio e l’altro non perde”. Ospitando i malakhim Lot non chiede nulla ai Sodomiti, perché lo fa a proprie spese e loro non perdono nulla, e nonostante questo non lo accettano, tanto che la reazione nei confronti di Lot coinvolge tutti gli abitanti, dai ragazzi agli anziani. Una malvagità così tanto generalizzata non può avere altro effetto che portare alla distruzione dell’intera città. Lot però non era ancora totalmente convinto, tanto che i malakhim lo devono condurre a forza fuori dalla città, ma da allora in poi avrebbe dovuto fare da solo, senza guardarsi indietro, e questo è l’ultimo esame, quello più rilevante. La moglie di Lot non riuscì a superarlo, ma questa è l’ulteriore prova che la punizione di Sodoma è rivolta ai singoli individui, e non alla collettività, e che questo è il modo secondo il quale in quell’occasione operò la giustizia divina.