Gli elementi della devozione
http://www.anzarouth.com/2010/10/mesilat-yesharim-19-devozione-elementi.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Il secondo elemento della devozione riguarda il modo di agire e anch’esso è diviso in due parti, che comprendono a loro volta numerose ramificazioni. Queste due componenti principali sono il timore [di D-o] e l’amore [di D-o], le due colonne dell’autentico servizio divino, senza le quali esso non può sussistere[1]. Il timore include la sottomissione di fronte al Signore benedetto, la soggezione con la quale ci si accinge a servirLo e l’onore che si porta ai Suoi precetti, al Suo Nome benedetto e alla Sua Torà. L’amore include: la gioia, la dedizione e la gelosia. E ora li spiegheremo uno a uno.
Il livello più alto del timore consiste nel temere la Sua immensità, ovvero: quando l’uomo prega[2] o compie una Mitzvà, deve pensare che lo sta facendo davanti al Re, il Re dei re. Questa è la messa in guardia fattaci dal Maestro della Mishnà (Talmud Bavli, trattato Berakhot 28b): “E quando preghi, sappi davanti a Chi stai pregando”. E tre sono le cose cui l’uomo deve fare attenzione e riflettere approfonditamente per conseguire questo timore:
- Che si trova veramente davanti al Creatore, benedetto sia il Suo Nome, e che discute con Lui malgrado ciò sia impercettibile all’occhio umano. E vedrai che questo è ciò che risulta più difficile da raffigurare nella propria mente in modo appropriato, perché non si riceve nessun supporto da parte dei sensi. Ma con un po’ di riflessione e di concentrazione, chi ragiona correttamente può fissare nel proprio cuore la realtà della situazione, cioè che si trova veramente a colloquio con il Signore benedetto, a Lui inoltra la sua supplica, a Lui espone la sua richiesta ed è Lui, benedetto sia il Suo Nome, che lo ascolta e presta orecchio alle sue parole, proprio come quando una persona parla con un amico e questi lo ascolta attentamente[3].
- E dopo essere riusciti a fissare questo nella propria mente, bisogna concentrarsi sulla Sua immensità, sul Suo essere Altissimo e al di sopra di ogni benedizione, di ogni lode e di tutti gli attributi di perfezione che la nostra mente possa immaginare e capire[4].
- E bisogna anche riflettere alla miseria umana, alla sua bassezza rozza e materiale[5], a maggior ragione se si considerano i peccati commessi in passato: in questo modo, non si può non essere terrificati e atterriti quando ci si rivolge a D-o benedetto, si pronuncia il Suo Nome e si cerca di essere bene accetti presso di Lui. È ciò che è detto nelle Scritture (Salmi 2, 11): “Servite D-o con timore e rallegratevi con tremore[6]“. Ed è scritto (ibid. 89, 8): “Il Signore è venerato nella congregazione dei santi; ed è temibile per tutti coloro che Lo attorniano”. Perché è più facile per gli angeli concepire l’esaltazione della Sua immensità, essendo più vicini al Signore benedetto rispetto a chi vive in un corpo materiale, perciò il loro timore di D-o supera quello degli umani. Tuttavia, il re Davide, la pace sia su di lui, esaltava [Hashem] dicendo (ibid. 5, 8): “Mi inchinerò temendo Te verso il palazzo della Tua Santità”. Ed è scritto (Malachia 2, 5): “E [Levi] trepidava davanti al Mio Nome”; e anche (Ezra 9, 6): “Mio Signore, provo onta e vergogna nel sollevare il mio volto verso di Te, mio Signore[7]“.
Comunque, questo timore deve prima rafforzarsi nel cuore[8] affinché in seguito i suoi effetti si manifestino anche nelle altre parti del corpo nel modo seguente: la testa pesante[9] e l’inchino, gli occhi abbassati e le mani piegate come un infimo servitore davanti a un re possente[10]. E così dissero nella Ghemarà (Talmud Bavli, trattato Shabbat 10a): “Rava stringeva le sue mani per pregare, affermando di essere come un servo davanti al suo signore”.
Commento
[1] Il Ramchal ha già spiegato in altri passi che la chassidut accompagna la pratica delle mitzwot, e perciò anche il timore a l’amore riguardano il piano pratico. R. Yonah in Sha’arè teshuvah 3,17 scrive che queste middot sono le più alte, per le quali l’uomo è stato creato, e per questo l’uomo deve dedicarsi ad esse con tutte le proprie forze, oltre a costituire delle mitzwot di per sè.
[2] Nonostante l’obbligo di pregare ricada su tutti, la possibilità di mettere in pratica questo precetto adeguatamente fa parte della chassidut. Difatti scrive R. Chayim di Volozin, oltre all’obbligo di porre la propria concentrazione nella tefillah, cosa che riguarda solo la prima benedizione della ‘amidah, c’è un obbligo di concentrarsi in tutta la tefillah, perché la mancanza di concentrazione degrada la tefillah, tanto che è come se non avessimo pronunciato le parole nelle quali non abbiamo messo concentrazione.
[3] Il Rashbà, spiegando perché le berakhot contengono la seconda e la terza persona scrive che dobbiamo sapere con certezza che l’esistenza di H. è necessaria, e su questo non può esservi alcuni dubbio, ma dall’altra dobbiamo essere altrettanto consapevoli che la conoscenza dell’essenza di H. è per noi inattingibile. Quindi H. relativamente alla sua esistenza è manifesto, ma la Sua essenza è nascosta.
[4] Il Ramà (Orach Chayim 98,1) scrive che prima di pregare l’uomo deve pensare all’elevatezza di H. e alla bassezza degli uomini. Lo Shulchan ‘Aurkh ricorda che i primi chassidim si preparavano tanto da estraniarsi dalla realtà materiale e giungere ad un livello simile alla profezia, e se durante la preghiera incorrevano in un pensiero estraneo, immediatamente tacevano.
[5] Successivamente nel cap. 22 il Ramchal utilizzerà la figura di un allevatore di maiale arrivato a governare, che, pensando da dove arriva, e dove andrà a finire, di certo non potrà essere fiero!
[6] La gioia da sola infatti può condurre l’uomo a desiderare i beni di questo mondo, e dimenticare il Creatore, per questo bisogna mescolare le due cose. Anche se gioia e timore sembrano essere due opposti, nel servizio divino non è così, perché per mezzo del timore l’uomo è portato a osservare le mitzwot, e si rallegra nel metterle in pratica. Quindi bisogna gioire nel timore, e non gioire è una grave colpa, come scritto nella parashah di Ki tavò (R. Yonah Berakhot 30b).
[7] Il detto di Ezrà era stato riportato già nel cap. 10 riguardo alla neqiut, ma qui lo riporta nuovamente, perché tutte le middot vengono nuovamente esaminate nella chassidut.
[8] Il timore è differente da tutti gli altri aspetti del servizio divino all’infuori dell’amore, perché tutti trovano origine nelle azioni e dalle azioni passano al cuore, e per questo ci si deve occupare della Torah anche se lò lishmah, ma il timore deve comparire anzitutto nel cuore e per questo il timore di D. appreso come “mitzwat anashim melumadah” è una punizione, perché il timore non si può apprendere.
[9] Lo Shulchan ‘Arukh (Orach Chayim 95,2) scrive che nel momento della preghiera gli occhi devono essere rivolti verso il basso ed il cuore verso il cielo.
[10] Lo Shulchan ‘Arukh (Orach Chayim 95,3) scrive che nel momento della preghiera le mani devono essere sul cuore, come un servo davanti al proprio padrone, e non sui fianchi, perché sarebbe un atteggiamento altezzoso.