Uno dei temi principali in questi giorni, che ci avvicinano agli Yamim noraim, è quello della vicinanza ad H. Il profeta Yeshaiahu descrive un momento in cui H. ci è particolarmente vicino, e i Maestri lo hanno riferito a questo periodo dell’anno. Nella parashah di Nitzavim Mosheh rabbenu ci indica che non dobbiamo credere che “questa mitzwah” sia lontana da noi, ma piuttosto molto vicina. Secondo Ramban la mitzwah di cui si parla è la teshuvah, e per questo è molto appropriato leggere questo brano in questo periodo.
Come si ottiene la vicinanza ad H.? Quando ci troviamo lontani da un luogo fisico, dobbiamo intraprendere un viaggio per raggiungerlo. Allo stesso modo c’è una strada per raggiungere H. Come esistono degli impedimenti per raggiungere una destinazione fisica, ve ne sono per raggiungerne una spirituale. Nel libro di Melakhim si narra del re Yar’ovam, re del regno settentrionale, il quale, per impedire che i suoi sudditi si recassero a Yerushalaim, che si trovava nel regno meridionale, istituì un altro luogo di culto. Questo sistema voleva sottrarre le persone all’influenza di Yerushalaim. Per questo era necessario porre dei posti di blocco e creare un’alternativa a Yerushalaim e al bet ha-miqdash. Quando affrontiamo un viaggio possiamo imbatterci in impedimenti di varia natura, come il traffico, o possiamo persino perderci. Imboccare una strada sbagliata può farci perdere una montagna di tempo. A livello spirituale avviene qualcosa di simile: possiamo sentire che non stiamo raggiungendo i nostri obiettivi, e spesso siamo portati a girarci e tornare indietro. Per via del traffico ci chiediamo se arriveremo mai a destinazione. Ma possiamo anche sbagliare strada: pensando di andare a Yerushalaim, possiamo capitare in posti molto differenti. Oggi fortunatamente grazie alla tecnologia è molto più semplice: un buon navigatore può permetterci di evitare errori fatali, e risparmiare tempo. Ma esiste un navigatore nella dimensione spirituale? Nel mondo spirituale il nostro navigatore è la vicinanza ad H. In questi giorni cerchiamo di essere certi di viaggiare nella giusta direzione e di non avere degli impedimenti per via degli ostacoli disseminati lungo il percorso.
La Torah ci spiega qual è la via da seguire. Il Midrash (Bemidbar rabbà 8,7) paragona la Torah alla figlia di un re, che nessuno conosceva all’infuori di un uomo, caro al re, che aveva accesso al palazzo e poteva vederla continuamente. Il re disse: guarda quanto ti apprezzo! Nessuna creatura conosce mia figlia, ed eccola davanti a te! Così D. dice ad Israele: nessuno nel mio palazzo conosce la Torah e l’ho data a voi. Ma non dovete pensare che sia una cosa lontana: se voi terrete le parole della Torah vicine a voi, Io sarò vicino a voi. Rashì spiega ulteriormente questo passaggio: la Torah scritta, per mezzo della tradizione orale, diviene vicina a noi. Rabbenu Bechayè, commentando l’espressione della Torah “beficha uvilvavechà la’asotò” scrive che le mitzwot della Torah si dividono in tre categorie, quelle della bocca, come lo studio della Torah, quelle del cuore, come il servizio divino, e quelle pratiche, ma il centro, come vediamo nel versetto è costituito dal cuore. In corrispondenza di questi tre ambiti leggiamo nel Pirqè avot che il mondo si regge sulla Torah, la ‘avodah e la ghemilut chasadim. Rabbenu Meyuchas (Grecia, XII sec.) segnala due elementi molto importanti: la Torah non è “in cielo” o “oltre il mare”: la Torah non è compatibile con la superbia o con l’eccessiva cura dei propri affari, ma solo con quelli che la tengono sempre presso di sé e se ne occupano continuamente.
Lo Sfat Emet fornisce uno spunto molto interessante: tutti noi vorremmo fare Teshuvah, ma spesso esprimiamo questo desiderio solo a livello teorico. Nella pratica saremmo disposti ad andare in cielo o oltre il mare? Se la risposta è affermativa, la teshuvah allora è effettivamente molto vicina a noi. Rav Kuk in Orot ha-teshuvah (15,10) scrive che la vera teshuvah è il ritorno dell’uomo a se stesso, alle radici della propria anima. Lo stesso scriveva Hirsch (Devarim 30,14) parlando della Torah, che è celata nella nostra più intima natura. La Torah parla dell’uomo. Basta scrutare dentro noi stessi con gli occhi bene aperti. E se abbiamo qualche dubbio ulteriore, non dobbiamo andare a cercare in cielo, o oltre il mare, ma nella nostra bocca e nel nostro cuore: la tradizione che viene trasmessa di generazione in generazione che è nella nostra bocca, ed il nostro cuore sono la chiave. E lo scopo deve essere quello di mettere in pratica quanto abbiamo studiato. Proprio per via della vicinanza della Torah, questa ha guidato il nostro percorso in tutte le vicissitudini della nostra storia, sebbene spesso abbiamo deviato dalla retta via. Non è corretto dire che la Torah è in cielo. Per studiarla serve sapienza, non la profezia. Questo procedimento di introspezione, scrive Rav Kuk, non serve solo per il singolo individuo, ma per ogni entità, per una famiglia, per una comunità ebraica, per una nazione, per il mondo intero.
Quando non riusciamo a scrutare il nostro interno, tutto ci appare confuso. La radice della corruzione della realtà, della quale dobbiamo operare il tiqqun, deriva dalla dimenticanza da parte della realtà di se stessa. La semplice volontà, se non è accompagnata dalla ferma intenzione di andare a recuperare in giro per il mondo i pezzi perduti, è pronunciare il nome divino invano. All’inizio del nuovo anno riflettiamo su queste parole, sempre valide.