I wish to welcome to our Synagogue all our dear guests from Columbia University who attend a special seminar in journalism in Turin together with their teacher. People representing different faiths who have joined us for Shabbat service tonight. Enjoy Your stay and be proficient and successful in Your activity. Today we are celebrating a very special Shabbat in Jewish calendar. It is called Shabbat Zakhor, a Memorial Shabbat which occurs once a year preceding the festival of Purim. On Purim we are going to celebrate our upheaval on Haman. Haman, a Prime Minister of the Persian Empire, was a descendant of Amalek, our enemy par excellence whose memory the Torah commanded us to erase.
He planned to exterminate all the Jewish people, but the courage and determination of Jewish Queen Esther and a cousin of her, Mordekhay, averted his plans and avoided destruction. It is maybe the first time in history we hear of mass-media. As it is written in the Scroll of Esther: “The king’s scribes were summoned at that time… All that Mordekhay dictated was written to the Jews, as well as to the satraps, governors, and officials of the provinces, from India to Ethipoia, a hundred and twenty-seven provinces, to each province in its script and to each people in its language, and to the Jews in their script and language. He wrote in the name of king Ahasuerus… stating that the king has given authority to the Jews in every city to assemble and defend themselves” (Est. 8, 9-11). Salvation was made possible for the Jews only by mass communication! At the happy end of the story Mordekhay and Esther sent a second letter to all the Jews of the Empire “with words of peace and truth”. Be always messengers of justice, peace and truth!
Tre sono le parti della Tefillah: brani biblici (Shemà’, Salmi), berakhot istituite da ‘Ezrà e il suo Tribunale al ritorno dall’esilio di Babilonia e i Piyutim. Il Piyut (parola greca!) nacque in Eretz Israel: Yossi ben Yossi e El’azar ha-Qalir, Yannay, che da solo compose dalle 150 alle 170 poesie per la Tefillah. Il Piyut è un genere letterario che sembra aver avuto origine all’epoca dell’Imperatore Giustiniano (VI sec.) il quale aveva proibito lo studio della Torah. Gli Ebrei escogitarono allora il sistema di adombrare concetti ed insegnamenti attraverso la poesia, genere letterario allusivo per eccellenza. Si dànno due ragioni per la fortuna del Piyut: 1) reagire alla fissità della Tefillah (in polemica con le scuole babilonesi, che perlopiù si opposero al Piyut); 2) contrapporsi all’inventiva liturgica dei Cristiani: in questo senso il Piyut è visto in continuità con il Midrash.
Lo Yotzer di Shabbat Zakhor si trova anche nel rito askenazita ed è quasi sicuramente opera di El’azar ha-Qalir, uno dei più antichi Paytanim conosciuti, vissuto probabilmente nel VII secolo. Ipotesi diverse sono state formulate sul suo nome. Per alcuni Qalir deriverebbe dal latino celer, “veloce”, riferito forse alla facilità con cui scriveva (si confronti il versetto dei Salmi leshonì ‘et sofèr mahìr, “la mia lingua è come il calamo di uno scriba veloce”), mentre altri lo interpretano come “il cagliaritano”: originario cioè dalla Sardegna, dove per varie ragioni si era formata in epoca romana una cospicua colonia ebraica.
Come nota Rav Artom, Qalir fu probabilmente il primo a costringersi a usare nei suoi componimenti poetici una grande quantità di artifici stilistici che rendono spesso difficile la comprensione del testo. Altra difficoltà nell’interpretarlo sta nel fatto che spesso suole indicare un certo avvenimento o un certo personaggio con un accenno, non sempre comprensibile a prima vista. Questo stile involuto servì da modello a molti paytanim dei secoli successivi che lo emularono senza tuttavia sempre raggiungere l’alto livello poetico di Qalir.
Il nostro inno è diviso in 7 strofe, ciascuna delle quali comincia con l’imperativo zakhor o zekhor, “ricorda”. Ma rispetto alla fonte biblica, il destinatario della Mitzwah è invertito: il dovere di ricordare non è più dato da H. a noi Ebrei, ma è dato da noi Ebrei a H. Nelle prime cinque strofe (con la sola eccezione dell’ultimo stico della prima) chiediamo a H. di ricordarsi di distruggere i nostri nemici, mentre nelle ultime due l’invocazione si raddolcisce: ricordati H. del tuo popolo e di Yerushalaim, garantisci il ritorno degli esuli e ricostituisci il Regno nelle mani dei suoi veri detentori.
Non è questo l’unico capovolgimento. All’inizio della terza strofa la distruzione di Israele nell’intento di Amalek è paragonata ki-m’ì mappalah, “ad un mucchio di rovine”. Mi risulta che questa espressione sia un hapax legomenon, adoperata cioè un’unica volta in tutto il Tanakh, dal Profeta Yesha’ayah in 17,1 dove pronostica la caduta di Damasco, capitale di Aram (Siria) sotto i colpi degli Assiri. La profezia di Yesha’yahu si verificò puntualmente nel 732 a.E.V. Gli Aramei furono così puniti per aver ordito un’alleanza contro Gerusalemme che invece resistette tanto a loro che agli Assiri e si salvò. Insomma, chi attenta alla vita del popolo ebraico in ogni epoca non solo non realizza il proprio progetto, ma è destinato prima o poi a una severissima punizione. Un messaggio di grande attualità!