Lezione a Dar al Hikma 10/3
“Il Signore gli apparve presso le querce di Mamrè mentre egli era seduto all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Alzò gli occhi, ed ecco tre uomini erano là vicini a lui; come li vide, corse loro incontro dalla porta della tenda, si prostrò a terra, e disse: Signor mio, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, ti prego, non passare oltre al tuo servo. Si prenderà un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Prenderò un pezzo di pane, vi ristorerete, poi proseguirete, giacché siete passati presso al vostro servo. Essi risposero: Fa’ pure come hai detto. Abramo corse verso la tenda da Sara e le disse: Presto, prendi tre seà di fior di farina, impastala e fanne focacce. Corse poi all’armento, prese un vitello tenero e bello, e lo diede al garzone che si affrettò a prepararlo. Prese poi della crema e del latte, il vitello che aveva preparato, e pose tutto dinanzi a loro; essi mangiarono mentre egli stava in piedi vicino a loro sotto l’albero (Genesi 18, 1-8)
I Maestri del Talmud (Shabbat 127a) hanno affermato, in maniera sconcertante, che “l’accoglienza degli ospiti è più grande dell’accogliere la Presenza divina”. Questa affermazione ci pare molto strana: infatti il contatto con la divinità dovrebbe ispirare completamente la nostra esperienza religiosa, e nulla dovrebbe essere maggiormente importante. Invece l’etica acquisisce un primato sull’esperienza mistica. L’accoglienza degli ospiti è l’esempio per antonomasia dei precetti che riguardano la sfera dei rapporti interpersonali, che viene considerato un ambito superiore rispetto a ciò che costituisce l’aspirazione di ogni religioso, il contatto con la Divinità.
La preoccupazione nei confronti del prossimo è l’aspetto principale del servizio divino. Da dove si apprende tale principio? Dall’inizio del cap. 18 della Genesi. Avraham, novantanovenne, aveva appena eseguito il precetto della circoncisione, ed era comprensibilmente dolorante. Anzi, i Maestri sostengono che il terzo giorno dopo la circoncisione è proprio quello più doloroso! Il Signore apparve ad Avraham, e da qui si impara un altro precetto fondamentale, quello di visitare i malati. Da questo passo, come da svariati altri, impariamo che possiamo apprendere direttamente dal Signore i comportamenti virtuosi, per mettere in pratica il precetto che impone di “andare nelle Sue vie”. Il Signore veste gli ignudi, visita i malati, consola coloro che sono in lutto, seppellisce i morti, e noi siamo tenuti a fare altrettanto, come è scritto nel Talmud (Sotàh 14a). Avraham si trovava sulla porta della sua tenda, nonostante il caldo tremendo, ed era dispiaciuto perché, proprio per via del grande caldo, che il Signore aveva provocato appositamente per permettere ad Avraham di stare tranquillo, non vi erano viandanti da ospitare, ed il Signore fece pertanto apparire tre figure angeliche che Avraham ospitò, mostrando, nonostante l’età avanzata ed il precario stato di salute, un’incredibile abnegazione per servirli al meglio.
Avraham, per così dire, abbandona la Presenza divina, tant’è che dice “Signor mio, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, ti prego, non passare oltre al tuo servo”, per ospitare i viandanti, e lo fa nonostante il grande dolore fisico. Molto spesso si è portati ad evitare di ospitare qualcuno per via del disagio che l’ospite può portare al padrone di casa, ma i benefici dell’accoglienza, impariamo da Avraham, lo superano di gran lunga. Lo spazio che la Toràh dedica a questo precetto è esemplificativo della sua grande importanza, in quanto è uno dei comportamenti che fanno parte della categoria più ampia della ghemilut chasadim, l’assistenza del prossimo con i propri beni e la propria persona, che fa parte a sua volta del precetto fondamentale “ama il prossimo tuo come te stesso” (Waiqrà 19,18). La ghemilut chasadim, in quanto viene rivolta ai vivi ai morti, ricchi o poveri, con la propria persona e le proprie sostanze, supera persino il precetto fondamentale della beneficenza (tzedaqàh, TB Sukkàh 49b). Rav Desler in Mikhtav MeElihau (quntres ha-Chesed) scrive che questo precetto ha il potere di modificare la natura dell’uomo, che è portato a prendere, e per mezzo di essa si abitua a dare. Come scrive il Qad ha-qemakh (lemma evel) l’uomo quando nasce ha i pugni chiusi, come se volesse affermare “il mondo mi appartiene”. Se dovessimo individuare una parola chiave nel brano in questione sarebbe sicuramente correre, affrettarsi, che ricorre numerose volte. Quando Eli’ezer, servo di Avraham, dovrà cercare una moglie adatta per Ytzchaq, il suo “esame”, che porterà all’individuazione di Rivqàh, sarà basato sulla capacità della futura sposa di accogliere, abbeverando vari cammelli, operazione non certo agevole, appartenenti a uno straniero sconosciuto e giunto da lontano. Questo episodio è talmente tanto centrale per capire la scala di valori che ad esso viene dedicato un intero capitolo della Toràh, il capitolo 24 di Bereshit.
Nel Midrash è scritto che la tenda di Avraham era aperta da quattro lati, in corrispondenza dei quattro punti cardinali, affinché chi entrava potesse uscire da un altro lato, per non vergognarsi per via dei viandanti. Il comportamento di Avraham si pone in netto contrasto con quello degli abitanti di Sodoma, dei quali parlerà poco dopo, che rifiutavano ogni forma di condivisione con gli stranieri, e questo fu il motivo principale che condusse alla loro rovina.
E’ scritto nella Toràh che Avraham piantò un Eshel a Beer Sheva’. In base al senso letterale si tratta di un albero, ma i Maestri lo hanno considerato una sigla (akhilàh, shetiàh, lewaiàh), poiché Avraham dava da mangiare e da bere ai passanti e li accompagnava. Ma non dobbiamo trascurare il legame con il senso letterale: questo precetto viene paragonato ad un albero, perché si tratta di un comportamento fruttifero, la ricompensa del quale riceveremo nel mondo futuro, oltre che in questo mondo (Kad ha-qemakh). Avraham difatti già in questo mondo divenne un albero fruttifero, perché venne ricompensato con la nascita di Ytzchaq.
Abramo da dove aveva appreso questa predisposizione? Secondo il Midrash (Yalqut Shim’onì sui Salmi 728) dal suo incontro con Malqitzedeq, re di Shalem, che tradizionalmente è Shem il figlio di Noach. Secondo i Maestri l’umanità ebbe l’opportunità di ricominciare dopo il diluvio proprio per via del suo comportamento encomiabile. Difatti, quando si trovava nell’arca, si dedicò giorno e notte agli animali che l’arca ospitava, dando dimostrazione di un’enorme misericordia. Avraham, sentito ciò, disse: come questi (Noè ed i suoi figli), se non si fossero comportati con giustizia nei confronti degli animali domestici, di quelli selvatici e dei volatili non sarebbero usciti (dall’arca), e poiché si sono comportati con giustizia sono usciti, io, se facessi lo stesso con gli uomini, che sono ad immagine divina, tanto più!”. E questo è valido indipendentemente dai comportamenti degli uomini: Abramo ospita senza indugio degli individui che potevano ragionevolmente essere degli idolatri, anche se poi non si rivelarono tali. Si narra che il Maghid di Trisk una volta ospitò un uomo, che dava l’impressione di essere un sapiente, ma poi si rivelò un imbroglione, ed i familiari del rabbino erano molto dispiaciuti per quanto avvenuto. Ma il rabbino non si perse d’animo: disse infatti che la Toràh ha bisogno del cuore. Abramo desiderava avere degli ospiti, e il Signore non gli mandò se non degli angeli, che non potevano mangiare. Ciò che veramente conta è la predisposizione del padrone di casa, indipendentemente da quanto può o non può fare l’ospite.
Ma la figura di Avraham ha anche un altro aspetto fondamentale, che è quello di coniugare universale e particolare. Avraham, “padre di una moltitudine di genti” è assurto come modello per le religioni monoteistiche, ma al contempo è iniziatore del patto che il Signore ha stretto con Israele. Tutti noi dovremmo ricordare sempre questa correlazione. L’aspetto più evidente che caratterizza questo gigante è il suo chesed, l’altruismo e l’amore verso il prossimo. E questa caratteristica non è solo sua, ma l’ha indicata a tutta la sua discendenza (Bereshit 18,19): “Io lo prediligo affinché raccomandi ai suoi figli ed alla sua progenie a venire, di osservare la via del Signore operando carità e giustizia”.