הוי אריאל אריאל קרית חנה דוד
La stele di Meshà’ è conservata al Museo del Louvre di Parigi. E’ un monumento di basalto di un metro per settanta, in cui il re di Moav, vissuto nel IX secolo a.E.V., esalta la liberazione del suo popolo dal dominio israelitico. Oltre a essere un documento dell’antica lingua moabitica, assai affine all’ebraico, costituisce per noi uno dei rari riscontri non ebraici di quanto è detto nel Tanakh. Lo stemma di Yerushalaim, ancora oggi, raffigura un leone rampante. Ariel, il “leone di D.” era chiamato dai Profeti l’Altare del Bet ha-Miqdash e, per metonimia, l’intera città di Yerushalaim. Così leggiamo anche in Yesha’yahu e nella Haftarah di oggi, tratta da Yechezqel. E ce lo conferma il re Meshà’ nella sua stele. Non solo perché l’Altare “divorava” le offerte sacrificali come un leone divora la preda.
Nella Parashah odierna è scritto: “E l’Altare sarà Qodesh qodashim, tutto ciò che tocca l’Altare diverrà qodesh (yiqdàsh) a sua volta”. R. Shimshon Refael Hirsch, con la sua particolare attenzione per la terminologia, spiega che questo è il significato della ripetizione qodesh qodashim: il santo che santifica gli altri. Vale a dire: solleva tutto ciò che viene a contatto con esso nella sfera della Torah. E osserva che nella tradizione di Israel la consacrazione di qualcosa non è mai fine a se stessa, per cui tutto il resto intorno viene lasciato in una condizione di non-qedushah. Si diventa qedoshim allo scopo di irradiare la nostra qedushah e far diventare qedoshim anche gli altri.
A priori può essere ammesso sull’Altare solo ciò che non ha difetti (mum), né motivi invalidanti (pessùl). Cosa succede a posteriori se per errore è stato fatto salire sull’altare qualcosa di passùl? La conseguenza apparente della regola dell’Altare che abbiamo studiato è che tutto ciò che sale su di esso, fosse anche un’offerta pessulah (non valida), “una volta salita non viene più fatta scendere” ed è comunque bruciata sull’Altare. Per questo l’Altare è paragonato al leone: perché il leone, una volta agguantata la preda, non la lascia più. I nostri Maestri si domandano se la regola dell’Altare vale in assoluto o non vi siano eccezioni. E spiegano che le eccezioni ci sono.
Rimane sull’Altare solo ciò che è originariamente raùy (adatto) all’Altare ma è incorso in un pessùl successivamente (nifsàl), secondo alcuni dopo essere stato introdotto nel cortile del Bet ha-Miqdash (Rashì. Per una disamina di altre opinioni, si veda Hirsch ad loc.). E’ quanto si impara dal heqqèsh (accostamento) del nostro versetto con il successivo, che avvia il tema dei sacrifici quotidiani: “E questo farai sull’Altare: due agnelli entro il primo anno d’età, ogni giorno sempre (tamìd)”. Commentano i Maestri, “come la ‘olah quotidiana era adatta all’Altare, così tutto ciò che è originariamente adatto all’Altare se sale su di esso non scende sebbene sia incorso in un pessùl (incidente invalidante) nel frattempo; ciò che invece non è mai stato adatto all’Altare (passul me-‘iqqarò) se è salito viene fatto scendere”. Esempi del primo tipo rauy we-nifsal sono: le offerte avanzate dal giorno precedente, che avrebbero dovuto essere arse sull’Altare entro la giornata. Esempi del passul me-‘iqqarò sono: animali già votati all’idolatria e poi condotti nel Bet ha-Miqdash.
Il Ben Ish Chay di Baghdad osserva che oltre all’Altare, che oggi non abbiamo più, vi sono in particolare due concetti che gli assomigliano sotto il profilo della qedushah: la Torah e lo Shabbat. La Torah e lo Shabbat conferiscono a tutti i membri del popolo ebraico una qedushah originaria: una qedushah dell’anima. Può capitare nella vita di ciascuno che si allontani per qualche tempo da queste fonti di ispirazione. Ma non è perduto per sempre. Se c’è qedushah all’inizio, prima o poi ritorna! Come l’Altare aveva la forza di rendere di nuovo qedoshah un’offerta che aveva perduto la propria qedushah al punto che questa tornava a essere kesherah e una volta salita su di esso non scendeva, così è attraverso la Torah: persino il peggiore dei malvagi, che abbia commesso tutte le trasgressioni di questa terra, se fa Teshuvah e torna a studiare Torah è perdonato e riacquista tutta la qedushah originaria di Israel, perché non c’è trasgressione che la Torah non sia in grado di correggere. Lo stesso avviene tramite la Shemirat Shabbat. Spiegano i nostri Maestri che anche il peggiore dei nostri trasgressori, una volta che torni a osservare lo Shabbat, viene perdonato (Shabbat 118a su Yesha’yahu 56,2). Le stesse consonanti della parola Shabbat si ritrovano nella parola Teshuvah! A sua volta lo Shabbat è stato dato a Israel proprio perché ciascuno di noi abbia un giorno da dedicare alla Torah.
Nessun ebreo è escluso, dunque. Al contrario. Tamìd (“sempre”) diviene l’appellativo dei due sacrifici quotidiani di cui abbiamo parlato. Un commento chassidico osserva che in assenza dell’Altare e dei due Temidin giornalieri ciascun Ebreo deve portare oggi altri due Temidin sul proprio cuore. Sono altri due versetti che contengono la parola tamid: shiwwiti H. le-negdì tamid (“Colloco H. davanti a me sempre”, dal Sal. 16) e we-chattatì negdì tamid (“E la mia trasgressione è davanti a me sempre”, dal Sal. 51). Anche l’esperienza della trasgressione può diventare filtro per una migliore e più intensa comunicazione con D.