Nel trattato di Rosh ha-shanàh (cap. 3, 3-5) troviamo un’interessante discussione fra i Chakhamim e R. Yehudàh sulla forma dello shofar di Rosh ha-shanàh. La domanda è se utilizzare corna di animali femmine o maschi, e quindi se usare corni dritti o curvi. La ghemarà (26b) spiega la natura della disputa: per i Chakhamim “più una persona si raddrizza interiormente, meglio è”, per R. Yehudàh “più una persona si contorce interiormente, meglio è”. Il Talmud Yerushalmì (Rosh ha-shanàh 3,3-4) collega il raddrizzamento alla teshuwàh e la curvatura alla tefillàh. Nel processo della teshuwàh è molto importante essere franchi con se stessi e avere una percezione non distorta della realtà. Se abbiamo peccato non è utile andare in cerca di giustificazioni, dando una versione tutta nostra dei fatti.
Nella tefillàh invece è fondamentale la sottomissione. Nel trattato di Yevamot (105b) troviamo una discussione simile: chi prega deve volgere lo sguardo e il cuore verso l’alto o in basso? La ghemarà conclude che gli occhi devono essere rivolti in basso e il cuore verso l’alto. Fra l’altro i versi che sostengono le opinioni nel trattato di Yevamot e quelli che riporta Rashì nella discussione in Rosh ha-shanàh sono i medesimi; quindi possiamo affermare che esiste un rapporto stretto fra suono dello shofar e tefillàh. Proprio per via di questo legame Rav Soloveitchik spiegava un fatto apparentemente strano: non ci capita mai di interrompere la ‘amidàh per compiere delle altre mitzwoth; non interrompiamo la ripetizione della ‘amidàh per mettere i tefillin o agitare il lulav. Chi facesse una cosa del genere al Bet ha-kneset sarebbe certamente ripreso! Perché allora interrompiamo la ripetizione della ’amidàh di Rosh ha-shanàh per suonare lo shofar? Non si tratta di una interruzione, perché in realtà continuiamo a pregare! Il suono dello shofar è parte integrante della tefillàh.
Come sovente avviene, da particolari derivanti dalla sfera rituale e apparentemente non sostanziali, possiamo individuare delle affermazioni di carattere teologico e filosofico. Lo shofar con la sua forma rappresenta l’animo umano nel momento del giudizio. Entrambi i punti di vista della ghemarà in Rosh ha-shanàh sono rappresentati anche nei suoni dello shofar. La teqi’àh è un suono piano, che lo Zohar paragona ai “giusti completi”, che nel momento del giudizio sono tranquilli perché non hanno di che temere, mentre la teru’àh è un suono frammentato, l’uomo che si arrovella per via del suo comportamento, si curva e tende verso il basso. La domanda fondamentale è: come dobbiamo comportarci nel momento del giudizio? Un possibile approccio è quello di riconoscere la nostra colpevolezza affidandoci completamente alla misericordia Divina, ammettere che non abbiamo alcun merito chiedendo candidamente di annullare il processo e ottenere la grazia. L’alternativa è quella di affrontare il processo, senza aspettarci la grazia, convinti di avere delle ragioni, in particolare a livello collettivo nei confronti degli altri popoli. Sarà banale, ma nel mondo attuale, in Diaspora e non, è difficile essere ebrei. Non chiediamo perdono per via dei meriti acquisiti con la legatura di Ytzchaq, ma ci identifichiamo del tutto con Ytzchaq. La nostra esperienza storica, con i suoi innumerevoli travagli, non va vista come una punizione, ma come la manifestazione della volontà Divina di metterci alla prova, o piuttosto come sofferenze che arrivano da un padre amorevole. Pertanto possiamo dire che non è detto che i sentimenti di colpevolezza siano l’elemento fondamentale degli Yamim noraim, e questo è vero sia a livello personale che collettivo.
Negli ultimi mesi ci sono state nel mondo ebraico vivaci discussioni circa vari esecrabili episodi che sono avvenuti in terra d’Israele, e l’opinione pubblica ha maturato varie idee che sarà difficile sradicare quando sarà opportuno. Il risultato di questo esercizio dell’arte di farsi male da soli è che ci siamo costituiti di fronte al mondo intero riconoscendoci come un popolo di peccatori, e nessuno credo che pensi che siamo dei santi, ma ciò che è emerso che questa è la Toràh di Israele. Tanto per capirci, e scusate per l’immagine molto terra-terra, in tante altre parti del mondo, anziché un processo ed il perseguimento della giustizia, di fronte ad analoghi episodi si sarebbe tutt’al più fatta una festa! Tante volte nella storia, e ci sarebbero numerosi esempi di questo fenomeno, gli ebrei si sono tramutati nei nemici principali del popolo ebraico. Il Satan, o l’istinto malvagio, ha molteplici e differenti strategie per ottenere quello che vuole. Una di queste è particolarmente subdola: non riuscendo o non volendo farci peccare nel modo “tradizionale”, ci fa un lavaggio del cervello, facendoci credere di avere sistematicamente torto, anche quando ciò è tutt’altro che ovvio.