Tehillim 31, 20-21: Quanto è grande il Tuo bene che hai riservato per quelli che Ti temono, hai praticato per quelli che si rifugiano in Te davanti ai figli dell’uomo! Tu li nasconderai nel segreto del Tuo volto lontano dall’alterigia dell’uomo, li preserverai nella Sukkah lontano dalla contesa delle lingue. תצפנם בסכה מריב לשנות.
Gaon di Vilna: Ciascuna lettera della parola Sukkah appartiene ad un gruppo fonetico differente: la sàmekh rappresenta le dentali, la waw le labiali, la kaf le palatali e la he le gutturali. Ciascun suono articola la bocca in modo diverso. Perciò i ns. Maestri hanno affermato che la Mitzwah della Sukkah aiuta a controllare i movimenti della lingua ed è dunque una potente difesa contro la maldicenza…
Alshikh: La Sukkah è un riparo precario. Eppure quando H. vuole proteggere qualcuno, anche il più precario dei ripari è atto allo scopo. Il Midrash racconta che una volta il re David domandò a D.: “A cosa serve il ragno? Tesse la sua ragnatela ogni giorno, eppure non indossa mai il frutto delle sue fatiche!” Il S.B. gli rispose: “Per la vita tua, verrà il giorno in cui avrai tu stesso bisogno dei suoi servizi!”. Allorché David e i suoi uomini si rifugiarono in una caverna mentre fuggivano da Shaul e dal suo esercito (come risultato di una “contesa delle lingue”), H. chiamò un ragno affinché ne chiudesse l’ingresso mediante la tessitura rapida di una ragnatela. Shaul vide la rete e pensò: “Certamente David non è entrato qui dentro, altrimenti avrebbe rotto la ragnatela!”. In questo modo H. dimostrò a David che nessun componente della creazione è superfluo: la minuscola creatura che aveva svilito gli salvò la vita!
Rav Kook, Maamar ha-Sukkah: La Sukkah è per noi uno strumento di difesa. Degli Uomini della Grande Assemblea con i reduci dal Primo Esilio è detto che “fecero… Sukkot e vi risedettero come i Figli d’Israel non avevano mai più fatto dall’epoca di Yehoshua’ figlio di Nun fino a quel giorno: e ci fu una grande gioia” (Neh. 8,17). Che cos’avevano di speciale quelle magnifiche Sukkot? Spiega il Talmud che s i pregava affinché l’istinto della ‘Avodah Zarah fosse soppresso e i meriti proteggessero Israele come una Sukkah.
R. Chayim Cohen (il “lattaio”), Talelè Chayim ‘al Chagghè Tishrì, p. 331 sgg.: La gioia traeva origine dalla forza della soppressione dell’istinto idolatra che faceva avvertire loro un grande senso di protezione, come si prova nella Sukkah. L’idolatria simboleggia anzitutto la dimenticanza del Nome del Cielo, per cui l’uomo si affida alle creature pensando che si reggano su forze proprie. Il fondamento dell’idolatria è la considerazione di questo mondo come dotato di una stabilità sua propria. La Mitzwah della Sukkah ci ricorda, per contro, che il mondo è precario e dunque elimina l’idolatria alla sua fonte. La domanda è: perché proprio la consapevolezza che il mondo è precario diviene fonte di gioia? Al contrario: l’idea stessa di precarietà dovrebbe piuttosto deprimerci! La risposta è che la precarietà di questo mondo rappresenta solo un lato della medaglia. Se noi mettiamo questo mondo precario in relazione con la sua radice superiore che invece è stabile, ciò è per noi fonte di gioia. Infatti questo mondo è precario solo in se stesso, ma se lo consideriamo in quanto legato a H. esso è saldo e stabile.
Lo stesso vale per la condizione dell’uomo, che è come “ una foglia sfrondata”[1], che qualsiasi onda marina, anche piccola, può travolgere. Ma se egli si mette in relazione con la Fonte di tutto, H., si riempie di forza. Con questo non si pensi che Sukkot, con il suo richiamo alla precarietà, voglia raccomandare il distacco dal mondo: non c’è festa più di Sukkot radicata nella natura! In realtà il richiamo non vuole annullare questo mondo: vuole invece dirci che questo mondo è precario solo se lo consideriamo per se stesso, ma se presupponiamo invece la sua unità con H. esso è stabile e proficuo. Se da un lato l’idea di precarietà “fa disperare” l’uomo della sua personale forza, dall’altro lo unisce a H. E quando l’uomo è consapevole di questa sua unione si riempie di gioia e di benedizione. La tristezza, invece, è il risultato della vana confidenza dell’uomo in se stesso. Non è un caso che in ebraico uno dei termini per definire gli idoli è ‘atzabbim (cfr. Tehillim 115,4: ‘atzabbeyhem kessef we-zahav), dalla stessa radice di ‘atzvut =”tristezza”. L’idolatria, si è detto, è anzitutto perdita del contatto con H. che genera tristezza. La Sukkah è il tiqqùn (“riparazione” mistica) della ‘Avodah Zarah e per questo è fonte di “grande gioia”.
Rav Kook, loc. cit.: Come può una dimora precaria qual è la Sukkah diventare il simbolo della nostra fiducia e della nostra difesa contro ogni nemico? Dobbiamo affermare al cospetto del mondo intero che proprio la Sukkah, costruzione provvisoria e temporanea per eccellenza al punto di non meritare quasi di essere chiamata casa, è destinata a divenire la nostra roccaforte contro qualsiasi nemico. La sua forza non è legata alle sue pareti fisiche, ma al fatto che la Legge, la Parola Divina, ha decretato che essa dovesse diventare la nostra casa nei giorni sacri della festa di Sukkot. Allo stesso modo per trovare il coraggio necessario a ricostruire la nostra casa nazionale abbiamo bisogno del coraggio spirituale che questa festa ci comunica, il coraggio della Parola Divina. E se le armi più sofisticate di ultima generazione riescono ad aprire brecce anche nei muri più resistenti, non hanno peraltro la forza né esse, né altra “arma forgiata”[2] al mondo, di abbattere il muro fortificato della Legge Divina. Sappiamo da qui che la Legge Divina è la nostra fortezza e lo sarà in eterno. Anche oggi giorno che ci apprestiamo a ricostruire la nostra casa nazionale nella Terra dei Padri, dobbiamo riconoscere come verità assoluta che la Legge spirituale, la Parola Divina che ha stabilito che Israele venga ricostruito è la nostra roccaforte, a dispetto di ciò che l’occhio debole dell’uomo stenta a riconoscere. Ed essendo ora giunti a ricostruire la nostra Sukkah protettrice, anche attraverso la soppressione dell’istinto idolatra in tutti i sensi antichi e moderni, sarà chiaro ai nostri occhi che la nostra forza è nella Legge della nostra Torah santa ed eterna.
Peraltro ci compete adornare questa Sukkah, “abbellendola con tappeti disegnati e appendendo al suo interno noci, mandorle, pesche, melograni, grappoli d’uva e serti di spighe, vini, oli e farine” (Betzah 30b). E’ questa la Sukkah tipica di Eretz Israel. Vale a dire: siamo tenuti anche a onorare questa Legge che rappresenta la nostra forza. “Yerushalaim è stata distrutta perché la Legge vi veniva applicata (esattamente)” (Bavà Metzi’à 30b) e non si andava oltre la sua lettera. Noi siamo ora pronti a mantenere il livello superiore della Parola Divina nella Sua purezza più elevata. La nostra Sukkah sarà la nostra roccaforte contro il nemico e la Casa d’Israele sarà ricostruita nella sua Terra in tutta la forza del suo splendore, tanto che “la Sukkah caduta di David” (Am. 9,11) tornerà a ergersi per noi, presto ai nostri giorni, Amèn.
Wayqrà 26,36: Il versetto parla dell’esilio inflitto a Israele trasgressore, allorché “li perseguiterà (persino) il rumore di una foglia sfrondata”. Il Kelì Yeqàr commenta che l’espressione allude alla “separazione dei cuori”. Come le foglie, anche una volta sospinte dal vento, continuano poi a respingersi a vicenda così noi Ebrei una volta mandati in esilio, anziché consolarci continuiamo a perseguitarci a vicenda soprattutto con la maldicenza. Il versetto ricorda l’effetto sonoro dell’agitazione del Lulav, che forse costituisce un’espiazione e un monito per questo.
[2] Yesha’yahu 54,16: “Qualsiasi arma forgiata contro di te non avrà successo, e qualunque lingua che si levi su di te in giudizio condannerai. Questa è l’eredità dei servi di H. e la loro innocenza davanti a Me, dice H.“ Abrabanel commenta: “Oggi ci sono da un lato religioni i cui campioni non si accontentano di affermare la supremazia della loro fede mediante il dibattito verbale ma mettono a morte chiunque ripudia il loro credo. Gli Ismaeliti entrano in questa categoria. Altri invece impongono agli altri la loro religione mediante il dibattito e il “dialogo”: questi sono gli Edomiti. Il profeta allude prima agli uni, parlando di “armi” e poi agli altri parlando di “lingua”: né la forza fisica, né quella argomentativa (la “contesa delle lingue”!) avrà alcun potere su di noi”. Nel Minhag sefardita il versetto viene recitato dopo i suoni dello Shofàr le mattine di Rosh ha-Shanah.