Discorso per la giornata europea della Cultura Ebraica
Il tema della giornata della cultura ebraica 2015 è “Ponti e attraversaMenti”. Desideravo dedicare questa breve riflessione ad un termine che usiamo sovente, il termine Ebreo, in ebraico ‘Ivrì. Questo termine compare per la prima volta nella parashàh di Lekh Lekhà (vai via per te), nella quale ha inizio la grandiosa esperienza spirituale del nostro padre Avraham, chiamato “Avraham ha-‘ivrì”, Abramo l’ebreo (Genesi 14,13), quando per salvare il cugino Lot, che era stato catturato, intraprende una guerra, apparentemente senza alcuna speranza di vittoria.
In italiano e poche altre lingue come il persiano ed il russo, siamo chiamati ebrei. In molte altre lingue in cui gli Ebrei sono chiamati Giudei, a sottolinearne la provenienza geografica, dal regno di Giuda, la parte meridionale di Israele.
Cosa vuol dire in generale ed oggi essere ebreo? Il Midrash (Bereshit Rabbàh 42,8)fornisce un’affascinante spiegazione, nostro malgrado molto attuale, dall’assonanza con il termine ‘ever – lato: “tutto quanto il mondo è da una parte, e lui è dall’altra parte”. Avraham è stato capace di andare contro tutto il suo mondo, abbandonando la sua terra, la sua casa, la sua famiglia, rinnegando insomma tutto ciò che conosceva, per operare la forma suprema di attraversamento, quello che conduce a se stessi. Può sembrare semplice, ma non lo è affatto: basti ad esempio pensare che il Talmud (Berakhot 28b) narra che in punto di morte Rabbì Yochanan ben Zakkay benedisse i suoi allievi dicendo loro: “sia volontà del Signore che possiate avere timore del Cielo come temete gli uomini”. Nella sua esperienza Lot porta degli elementi di “abramitudine” nel suo mondo, ma soprattutto quando lo ritroviamo a Sodoma, sebbene mantenga tali elementi, ci troviamo di fronte a un personaggio ben calato nelle perverse logiche della città. Ed è quello che dobbiamo cercare di non fare noi! Ogni giorno, numerose volte, vorrebbero assuefarci alle peggiori crudeltà ed efferatezze. Ma questo non è il mondo che vorremmo!
Non dobbiamo sottostare a quelle logiche, e siamo tenuti a schierarci da una parte. E se non c’è una parte dobbiamo crearla. Per fare questo è necessario un grande coraggio, essere ivrì come lo è stato Avraham. Nelle scienze sociali l’influenza dell’ambiente in cui viviamo è cruciale, e questo in una società come la nostra, dove siamo sovraesposti a informazioni e pubblicità di ogni sorta, senza avere il tempo materiale per fermarci e farci un’idea su nulla, questo è ancora più vero. Avraham in quell’occasione però si spinse oltre: intraprendere una guerra, oltre ad essere pericoloso, non era certamente politically correct, visto che la campagna aveva come obiettivo il salvataggio di un parente. Questa scelta rischiava di mettere in discussione l’universalità della figura di Avraham, compromettendo la sua missione. Cosa avrebbe detto la collettività? Che Avraham compie azioni contrarie ai dettami dell’etica e al senso comune.
La figura di Avraham ci insegna che ciascun individuo, se ne ha la volontà, può essere assolutamente unico ed irripetibile, può costruire nuove strade mai battute, e nuovi ponti: da un singolo che non doveva avere figli e sarebbe dovuto sparire dalla storia nasce un popolo, che ancora oggi, oltre tremila anni dopo, vuole fare proprio il suo messaggio, quello di avere il coraggio di andare dall’altra parte, ed invita il resto dell’umanità ad attraversare quel ponte. Dice il rabbino Shimshon Refael Hirsch: mentre le altre popolazioni vengono paragonate ad esseri viventi, il popolo ebraico viene paragonato ad un albero. Per sopprimere un animale basta sapere dove colpire, e si può strappare la sua vita senza possibilità di tornare indietro. Se si taglia una parte dell’albero, e persino si sradica, è sufficiente un ramo o una foglia, per restituirgli la vitalità. Per via dei tanti Avraham che hanno caratterizzato la nostra storia siamo qui.