נשמע קולך יונה \ ונרצית אל אדונייך \ ותעבור הרנה במחנה צור קונייך \ ועוד תהיי לראש פנה \ ורב שלום בנייך.
“E’ stata esaudita la Tua voce, o Colomba: sei stata gradita dal Tuo S. E passerà il giubilo nel campo del Potente tuo Fattore. Ancora sarai pietra angolare e grande sarà la pace dei tuoi figli” (trad. Bonfil).
Così comincia l’ultima strofa di una delle Selichot che canteremo da domani mattina fino a Yom Kippur, per chiedere a H. il perdono delle nostre trasgressioni come ogni anno in questo periodo. I sallachim –così sono chiamati i poeti delle Selichot- sono un po’ come gli antichi Profeti. Esordiscono il loro messaggio con una reprimenda anche dura nei confronti del popolo d’Israel, ma concedono nelle ultime parole di ogni composizione spazio a motivi di consolazione, incoraggiandoci ad intraprendere il cammino sia pur difficile della Teshuvah. Ma il testo non si limita a questo. Esso è il risultato di citazioni bibliche che non ci permettono una comprensione approfondita senza una sia pur breve disamina del loro contesto originale. L’espressione “E passerà il giubilo nel campo”, in particolare, è tratta da un versetto del libro dei Melakhim (1Re 22,36) in cui si descrive l’assassinio di Ach’av figlio di ‘Omrì re d’Israele.
Che cosa autorizza il versetto a scrivere che la fine violenta di Ach’av provocò giubilo? Ach’av era tutto fuorché uno stinco di santo. I Maestri del Talmud (Sanhedrin 39b) collegano questa espressione di giubilo ad un’altra: ba-avòd resha’im rinnah (“quando i malvagi vengono meno è giubilo” (Mishlè 11,10). Peraltro Binyamin min ha-‘Anavim da Roma, l’autore della nostra Selichah, capovolge l’uso dei termini: il giubilo non è più la reazione delle schiere terrene d’Israele alla severa punizione del loro monarca malvagio, ma la risposta delle schiere angeliche alla Teshuvah del popolo ebraico, che il poeta medioevale immagina sia già avvenuta e in quanto tale costituisce motivo di gioia vera per tutti. La nostra Parashah contiene una lunga lista di qelalot, maledizioni, per chi trascura la Torah. Non è la prima del genere. Avevamo già letto un brano analogo nella Parashat Bechuqqotay. Perché il tono ora si ripete? Osservano i nostri Maestri che mentre lì i verbi sono al plurale, qui essi sono al singolare e se ne ricava che mentre in Bechuqqotay si tratta di minacce rivolte alla collettività d’Israele, qui sono invece indirizzate a ciascuno di noi come individuo. Le qelalot formano un climax e trovano il loro apice in un versetto che recita: “Per il fatto che non hai servito H. tuo D. con gioia e buon cuore, avendo abbondanza di tutto, servirai allora i tuoi nemici che H. ti invierà contro, con fame, sete, mancanza d’abiti e penuria di tutto” (Devarim 28, 47-48). L’accento non è tanto sulle trasgressioni in sé. Al contrario, il versetto ammette che possiamo anche essere stati leali nel servire H. Solo che non lo abbiamo fatto con gioia. La punizione sarà di contrappasso. “E sarà come H. ha gioito per causa vostra nel farvi del bene e nel moltiplicarvi, così H. provocherà ora la gioia dei vostri nemici nel perseguire la vostra distruzione” (v. 63). L’Or ha-Chayim, commentando questi versetti scrive che “l’uomo, per sua natura, non disprezza la gioia”. Essendo la gioia connaturata all’essere umano e non reprimibile, i casi a questo punto sono due: o ci dedichiamo al nostro dovere con gioia, o saremo consegnati nelle mani di persone che con almeno altrettanta gioia da parte loro ci infliggeranno sofferenze.
A insistere molto sull’importanza della Simchah shel Mitzwah è il Ben Ish Chay di Baghdad. Egli scrive fra l’altro che dalla gioia prescritta nell’esecuzione di qualsiasi Mitzwah “impariamo quanto sia cara la gioia al cospetto del S.B. e quanto dobbiamo starci attenti. Uno non deve dire: dal momento che ho compiuto una certa Mitzwah di H. come richiesto, che vantaggio me ne può derivare se l’ho eseguita con gioia e che perdita me ne può derivare se invece l’ho eseguita con tristezza? Sappi invece che la Simchah è una Mitzwah per conto suo e se manca la gioia viene meno qualcosa anche alla Mitzwah. Tanto più la tristezza sarà fonte di danno” (anno I, P. Reeh, introd.). C’è in particolare una Mitzwah cui il Ben Ish Chay si riferisce a questo proposito ed è l’osservanza delle feste. Egli si domanda perché la Torah comandi esplicitamente la Simchah nei giorni di Yom Tov, cosa in apparenza superflua e risponde che vi sono persone che pur osservando i Mo’adim in tutti i loro aspetti, lo fanno tuttavia a malincuore per due ordini di motivi: il pensiero del tempo perduto per il loro lavoro cui sentono di aver dovuto rinunciare e le spese in più per il vitto e per gli abiti della festa.
Pertanto –scrive il Ben Ish Chay- la Torah scrive che nei giorni festivi “dal momento che H. ti benedirà in tutto il tuo prodotto agricolo e in tutta l’opera delle tue mani, dovrai essere semplicemente felice” (Devarim 16,15: il verso è riferito all’osservanza di Sukkot, una delle prossime festività). Insomma, dedicati a Yom Tov con entusiasmo senza preoccuparti di eventuali ripercussioni materiali nella vita di tutti i giorni. Siamo ormai alla vigilia dei Mo’adim del mese di Tishrì. Queste giornate speciali sono un’occasione di gioia. I nostri Maestri insegnano che i sei giorni lavorativi della settimana guardano allo Shabbat e gli Shabbatot guardano proprio agli Yamim Tovim. Queste giornate speciali sono date alla Comunità perché ritrovi la partecipazione dei singoli e ai singoli affinché rafforzino il loro legame con gli altri correligionari e la Comunità. Ma agli occhi di molti c’è quest’anno un problema apparentemente insormontabile. Il primo giorno di Rosh ha-Shanah coincide con il primo giorno di scuola e, a detta di genitori e figli, il primo giorno di scuola non si può perdere, perché è un’occasione unica di incontro con gli insegnanti, i compagni e il nuovo ambiente di studi.
Questa scusa mi ricorda quanto mi ha riferito proprio in questi giorni un nonno a proposito del suo nipotino di tre anni alle prese con il suo primo giorno di scuola materna. La mattina dopo i genitori lo hanno svegliato spiegandogli che avrebbe dovuto tornare all’asilo. “Tornare all’asilo? Ma se ci sono già andato ieri!” Non diversamente da questo bimbo, anche ragazzi e ragazze assai più cresciuti e con ben altri anni di esperienza scolastica alle spalle ricadono apparentemente nello stesso errore: che la scuola sia il primo giorno, come se il seguito non contasse nulla. Quanto è invece più importante non perdere Rosh ha-Shanah e Yom Kippur! “Ricercate H. quando è dato trovarlo”, ammonisce il Profeta Yesha’yahu (55,6). I nostri Maestri spiegano che si riferisce agli Yamim Noraim, in cui H. è effettivamente più vicino a ciascuno di noi di quanto non accada nel resto dell’anno. Rosh ha-Shanah è lo Yom ha-Din, il Giorno del Giudizio. Queste sono le occasioni davvero irripetibili, da non perdere. L’autore della Selichah diceva: we-rav shelom banayikh, “grande sarà la pace dei tuoi figli”.
Anche questa è una citazione di Yesha’yahu (54,13). Commentano i nostri Maestri con un gioco di parole: al tiqrè banayikh ellà bonayikh, “non leggere ‘tuoi figli’, bensì ‘tuoi costruttori’”. Tutti noi vogliamo che l’Ebraismo Italiano continui ad esistere. E’ peraltro difficile immaginare non dico di costruire una Comunità, ma anche solo di mantenerla in vita, se non se ne condividono a livello di coscienza personale gli ideali basilari. Il nostro non è un club del quale si possono disertare le riunioni se riteniamo di avere qualcosa di più urgente da fare. Come se l’Ebraismo non toccasse la sfera più intima di ciascuno di noi. La verità è che faremo dei nostri figli i nostri costruttori solo se sapremo dare loro noi per primi il buon esempio. Un esempio di impegno, di fedeltà, ma soprattutto di coerenza sincera al servizio di valori che sentiamo profondamente nostri, parte integrante della nostra personalità.