Rosh Ha Shanà segna il periodo della riflessione e del pentimento
La domanda ” Adamo, dove stai ?” – che Dio rivolge a Adamo che si nasconde dopo aver trasgredito all’ordine di non mangiare dei frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male – è in fondo la domanda che viene posta a ognuno di noi ogni giorno, ma alla quale non si ha sempre il tempo e la voglia di rispondere. Il calendario ebraico offre all’uomo una serie di occasioni per riflettere sulla sua esistenza e, in particolare, per cercare di valutare a quale punto del suo cammino egli si trovi.
Per l’ebreo, il periodo che inizia con Rosh ha-Shanà e termina con Kippur è il momento dell’anno più opportuno per fare una valutazione sia delle azioni compiute nell’anno trascorso, sia dei progetti di vita per il futuro. L’analisi e i progetti devono riguardare la vita individuale e quella collettiva dell’ebreo, ma anche la sua partecipazione al dramma dell’ homo technologicus , con cui l’ebreo condivide l’esperienza che è, a un tempo, di grande potenza e di impotenza, come è emerso in quest’ultimo anno, con gli eventi dell’11 settembre 2001.
Vediamo di analizzare questi tre momenti attraverso le preghiere di Capodanno.
Hajom haràth olàm: oggi è il giorno in cui è stato creato il mondo , questa la traduzione di una frase che ripetiamo più volte, dopo aver ascoltato il suono dello shofàr , il corno di ariete che accompagna le preghiere stesse e che è, anch’esso, preghiera. Quest’affermazione, che si riferisce in particolare alla creazione del primo uomo (perché ogni uomo rappresenta un mondo intero), che sarebbe stato creato proprio il primo giorno di tishrì , è tuttavia ambigua. L’espressione haràth olàm , tratta da Geremia (20: 17) che vorrebbe non essere mai venuto al mondo, suggerisce ben altra traduzione: “oggi è il concepimento del mondo”, o ancora meglio – nello stesso senso che ha nell’espressione Mélekh ha’olàm (Re eterno, e non solo Re del Mondo) – “oggi è il concepimento eterno “. In sostanza, il testo afferma che sarebbe stato preferibile che il mondo, per come lo conosciamo noi oggi , fosse rimasto solo allo stadio del concepimento, forse del puro progetto, e non si fosse mai sviluppato fino a divenire quella realtà che sta davanti ai nostri occhi.
Come si può integrare con la visione ebraica, in genere sempre aperta alla speranza in un uomo migliore, questa interpretazione pessimistica del mondo e della vita?
Una risposta la si può forse trovare in uno di quei brani che recitiamo prima di ascoltare il suono dello shofàr :
In quel giorno verrà suonato un grande shofàr, e i dispersi (ovedìm) in terra di Assiria e i reietti (niddachìm) in terra di Egitto verranno e si prostreranno al Signore sul Sacro Monte, a Gerusalemme. Tutti gli abitanti del mondo e coloro che risiedono sulla terra vedranno un vessillo (nes) sollevato sui monti (Kinsò nes harim) e sentiranno un suono di shofàr.
Il primo verso (tratto da Is. 27: 13) è rivolto al popolo d’Israele, il secondo (tratto da Is. 18: 3) agli abitanti del globo terrestre.
Ognuno sperimenta, nel corso della sua vita, momenti in cui si sente disperso o reietto: gli ovedìm sono coloro che vagano erranti in terra straniera, si sono assimilati, hanno perso l’orientamento e non sanno più come tornare a casa, alla propria casa, la Casa d’Israele; i niddachìm sono coloro che, pur continuando a mantenere la propria identità, avevano cercato rifugio in altre terre, ma sono stati fisicamente respinti, rigettati dagli altri popoli: in quel momento i dispersi e i reietti ritroveranno l’orientamento e torneranno tutti a Gerusalemme, ad inchinarsi sul Sacro Monte.
Nell’anno appena trascorso (a Durban prima, in altre sedi internazionali, poi), c’è stato un tentativo, quasi unanime, di respingere Israele e gli ebrei ai bordi dell’Umanità. Ma gli ebrei dispersi in Assiria , che avevano tentato la via dell’assimilazione, e gli ebrei respinti in Egitto , dove avevano continuato a esprimere pubblicamente il proprio attaccamento all’ebraismo, si sono uniti per ritornare a Gerusalemme.
Il secondo verso annuncia che in futuro sarà innalzato un vessillo e verrà suonato uno shofàr : mentre l’ebreo suonerà lo shofàr più volte e nelle sue varie intonazioni – teki’à, shevarìm, teru’à – il Signore farà suonare un “grande shofàr “. Entrambi appartengono all’ariete che fu sacrificato in sostituzione di Isacco. Una sola teki’à , un solo semplice suono dovrà bastare per richiamare tutti – Israele e le altre nazioni – al rispetto dei principi più elementari che emergono dal mancato sacrificio di Isacco.
Se il primo corno ha la funzione di ricordare e insegnare a Israele ad allontanarsi dalle tentazioni di sacrificare esseri umani a Dio e a qualsiasi ideologia, tanto da richiedere ad Abramo di allontanare la lama dal corpo del figlio, il secondo corno – il grande shofàr – richiamerà al rispetto di questo principio tutta l’Umanità . Ecco allora perché il secondo verso è rivolto a tutti. Come abbiamo appena ricordato, secondo i Maestri, l’uomo fu creato il primo di tishrì , Capodanno, mentre la creazione del Mondo iniziò il 26 di elùl . Rosh ha-Shanà ricorda quindi la creazione dell’uomo, un uomo la cui dignità e la cui immagine divina devono essere rispettate e difese, senza alcuna distinzione di popolo, di religione, di cultura, contro ogni violenza, anche quando un insegnamento erroneo le vorrebbe far credere espressioni della volontà divina.
Questa idea, che è alla base dell’insegnamento anti-idolatrico dell’ebraismo, è stata sempre la bandiera del popolo ebraico: Dio mise alla prova ( nissà ) Abramo perché il comportamento del nostro patriarca potesse divenire una bandiera ( nes ) per tutti i popoli.
Abramo ha avuto la forza di vincere la tentazione di adeguarsi ai costumi degli altri popoli: il nostro patriarca – che è riconosciuto come tale anche da cristiani e musulmani – non ha ascoltato solo la voce che gli imponeva di sacrificare il suo unico figlio sull’altare, ma soprattutto quella, apparentemente più confusa e controcorrente, che gli ordinava di non macchiarsi le mani con il suo sangue. Proprio in quest’ultimo anno abbiamo invece visto, purtroppo, quanto sangue umano è stato versato e sacrificato sull’altare di una ideologia o in nome di Dio, come mezzo per raggiungere il paradiso, scegliendo una via che è la negazione di Dio stesso e costituisce un atto di blasfemia, specie per chi pretende di richiamarsi all’insegnamento di Abramo.
Kinsò nes harìm, un vessillo innalzato sui monti, quindi è la sfida per l’uomo moderno. Ognuno ha il dovere di sollevare il proprio vessillo e prepararsi per quando verrà innalzato l’altro vessillo. Quando sui monti verrà sollevato il nes – il vessillo della prova a cui è stato sottoposto Abramo – allora potrà essere ascoltato anche il suono del “grande shofàr “, custodito accanto al piccolo shofàr suonato dalle labbra umane dei dispersi e dei reietti , e finalmente potremo affermare hajom haràth ‘olam, il concepimento e la nascita del mondo e dell’uomo sono finalmente arrivati a compimento.
Agosto 2002 – Pubblicato su Shalom