Introduzione
Lo shabbàt e l’uomo
“Gli ebrei si sono mantenuti in vita grazie all’osservanza dello Shabbàt”. Questo insegnamento dei Maestri non è una esagerazione. Per sei giorni l’uomo deve lavorare duramente, deve compiere ogni tipo di opera creativa e questo lo porta spesso lontano dalla famiglia e gli impedisce di avere un rapporto sereno con i propri simili.
Ma di Shabbàt colui che per tutta la settimana è rimasto schiacciato dalle macchine e dalle produzioni lascia il posto ad un uomo nuovo che cessando ogni attività produttiva si libera dalla schiavitù del lavoro e può così dedicare un intero giorno a se stesso, per stare con i propri familiari, per studiare o per meditare e per riposare.
Di Shabbàt tutti sono uguali: i servi assumono gli stessi diritti dei loro padroni e nessuno può avvalersi dell’opera di un suo simile per cui, grazie ad esso, si può ricostruire quel rapporto con il prossimo che la fremente attività operativa tende sempre più a guastare. A ragione fu scritto che “il riposo dello Shabbàt è la radice di ogni progresso spirituale e sociale ed è legato ai pensieri ed alle aspirazioni più elevate dell’uomo: Dio, la dignità dell’animo umano, la libertà e l’uguaglianza di tutti gli uomini, la supremazia dello spirito sulla materia” (Grunfield).
Il lume dello Shabbàt e la gioia
Ma lo Shabbàt perde tutto il suo significato se lo si considera come un giogo, come un impedimento al divertimento e allo svago. Affinché lo Shabbàt possa realmente servire all’essere umano esso deve essere vissuto in un atmosfera di gioia e di pace soprattutto nell’ambito familiare. Per questo i nostri Maestri stabilirono che in ogni casa ebraica dovessero essere accesi alla vigilia dello Shabbàt alcuni lumi, la cui luce aiuta in modo fondamentale a trascorrere con felicità la santità di questo giorno. Il Talmùd (Shabbàt 25b) ritiene infatti che il buio rattristi l’animo umano, e la tristezza porta spesso alla rabbia e alla violenza a tal punto che in un’abitazione priva di luce non vi può regnare una vera pace e il vero rispetto tra le persone. Diversa è invece l’atmosfera che si crea in una casa luminosa, soprattutto quando la luce che si trova in essa è la luce naturale che scaturisce dai lumi accesi apposta per lo Shabbàt, una luce che emana calore e che è diversa dalla luce fornita dall’elettricità alla quale l’uomo si è ormai abituato.
I lumi dello Shabbàt ci donano così non solo la gioia della luce ma anche il modo per valorizzare la natura che spesso l’uomo, con le proprie invenzioni, non riesce veramente ad apprezzare. È dunque ovvio che il compito dell’accensione dei lumi spetti soprattutto alla donna. È la donna, infatti, che più dell’uomo, si adopera per abbellire la casa per lo Shabbàt ed è soprattutto lei che rende gioioso tale giorno preparando i cibi e gli abiti affinché i familiari vivano la sua santità nella giusta maniera, ed è perciò alla donna che viene dato l’onore di completare la sua opera attraverso l’accensione delle neròt Shabbàt.
Il Lume dello Shabbàt e la creazione
L’accensione dei lumi dello Shabbàt, oltre che un motivo pratico, acquista anche un valore simbolico. Secondo la tradizione ebraica, dopo il peccato commesso da Adàm alla vigilia del primo Shabbàt della storia il Signore decise di diminuire gran parte dell’intensità della luce primordiale, e di conservare per l’epoca messianica quanto era stato da essa tolto.
Ma i Maestri del Midràsh ritengono che per amore e per rispetto dello Shabbàt la vera luce creata da Dio rimase nel mondo fino al termine di tale giorno e che solo allora il Creato conobbe la tristezza dell’oscurità.
Attraverso l’accensione dei lumi ogni venerdì sera si vuole così ricordare che fu proprio grazie allo Shabbàt che la luce continuò ad illuminare il mondo e che il creato intero può trovare la forza di esistere e di svilupparsi solo se l’uomo saprà vivere i valori fondamentali racchiusi nello Shabbàt.
Inoltre, secondo l’insegnamento dei Maestri, ancora oggi una parte del calore che emanava dalla luce che Dio tolse all’umanità ritorna nell’animo dell’ebreo ogni venerdì sera, per permettergli di assaporare almeno per un giorno alla settimana una piccola parte della vera beatitudine che il Creatore riservò per il mondo futuro. L’accensione dei lumi simboleggia così anche quella luce che si trova dentro ognuno di noi e che ci accompagna per tutto lo Shabbàt.
Il lume dello Shabbàt, il Bet Hamikdàsh e l’evento messianico
Secondo alcuni Maestri, attraverso i lumi dello Shabbàt, si vuole ricordare anche il Bet Hamikdàsh.
Nel Santuario, vi era infatti un lume perpetuo che aveva lo scopo di insegnare al popolo ebraico che la presenza divina, simboleggiata appunto da un lume il cui fuoco è sempre rivolto verso il cielo, non si sarebbe mai staccata da Israele.
Al giorno d’oggi il Santuario non è ancora stato ricostruito ma la “Shekhinà” (presenza divina) continua a restare unita al popolo ebraico proprio grazie all’osservanza dello Shabbàt e attraverso l’accensione dei lumi ogni ebreo cerca di esprimere tutto ciò in modo simbolico. Ma un noto Midràsh si spinge ancora oltre e vede nell’accensione dei lumi addirittura la promessa del futuro evento messianico. Leggiamo questo breve passo: “Se osserverete il precetto dell’accensione dei lumi io vi farò vedere i lumi di Siòn, come è detto: “In quel giorno Io cercherò Gerusalemme alla luce di un lume”.
Allora non vi servirà la luce del sole per veder ma Io stesso vi illuminerò come è detto: “Il sole non sarà più per te la luce del giorno e la luna non illuminerà la tua notte ma Sarà il Signore la vera luce per il mondo”… E tutto questo grazie a che cosa? Grazie ai lumi che voi accendete per lo Shabbàt” (Yalkùt Shim’onì – Beha’alotekhà).
Il senso del Midràsh è chiaro. I valori che caratterizzano lo Shabbàt sono i soli che possono avvicinare la venuta del Messia ed è per questo che secondo un famoso insegnamento dei Maestri, il “figlio di Davìd” arriverà proprio quando gli ebrei avranno imparato a rispettare lo Shabbàt. Ma ciò non succederà mai se non sapremo gioire e onorare lo Shabbàt così come uno sposo adora la propria sposa, e i lumi dello Shabbàt, come abbiamo già detto, ci potranno aiutare in questo compito.
Le norme
(Le seguenti norme seguono l’opinione di rav ‘Ovadià Yosèf e sono state liberamente tratte dal libro “Yalkùt Yosèf” riguardante le regole dello Shabbàt)
L’accensione dei lumi dello Shabbàt
a) Accendere i lumi alla vigilia dello Shabbàt è un precetto affermativo comandato dagli antichi Maestri.
b) Di norma basta accendere un solo lume ma è d’uso accendere almeno due lumi, in rapporto alle espressioni: “Zakhòr et yom hashabbàt – Ricorda il giorno del Sabato” e “Shamòr et yom hashabbàt – Osserva il giorno del Sabato” presenti nella Torà. Alcuni usano accendere sette lumi e altri ancora accendere un numero di lumi equivalente a quello dei componenti della famiglia.
c) Chi usa accendere sette lumi (o comunque un numero superiore ai due lumi che di solito si accendono) non potrà cambiare tale usanza a meno che non si tratti di un caso di forza maggiore, come ad esempio in mancanza di un numero sufficiente di lumi o in caso di ristrettezze economiche che non permettono di affrontare la spesa per l’acquisto dei lumi bastanti. Alcuni Maestri permettono di cambiare la propria consuetudine e di accendere un minor numero di lumi dopo aver espresso la propria intenzione di fronte a tre maschi adulti (Bet Din).
d) Se i lumi si sono spenti dopo essere stati accesi (per esempio a causa del vento), e non è ancora iniziato lo Shabbàt, si può ripetere l’accensione ma senza recitare la benedizione ad essi relativa. Se la donna che ha adempiuto alla mitzvà aveva l’intenzione di accettare su di sé lo Shabbàt al momento dell’accensione, non potrà ovviamente riaccendere i lumi nel caso di un loro spegnimento, per cui dovrà chiedere ad un altro componente della famiglia di adempiere nuovamente al precetto ma senza recitare alcuna benedizione.
e) È bene vestire gli abiti dello Shabbàt prima di adempiere all’accensione, ma non è il caso di ritardare per questo l’adempimento della mitzvà, con il rischio di accendere i lumi dopo l’inizio dello Shabbàt.
f) Le donne sposate devono obbligatoriamente coprire i loro capelli al momento dell’accensione.
Chi è tenuto ad accendere
a) Sia gli uomini che le donne sono obbligati ad accendere i lumi dello Shabbàt, ma è bene che sia una donna sposata ad adempiere a questa mitzvà anche a nome del marito. È infatti la donna che di solito si occupa di abbellire la casa per lo Shabbàt e di cucinare delle pietanze particolari per deliziare questo giorno, per cui è giusto che sia lei ad accendere i lumi la cui luce aiuta la famiglia a vivere in un’atmosfera di pace e di felicità.
b) È consuetudine che sia il marito a preparare l’occorrente per l’accensione, in modo da partecipare all’adempimento del precetto.
c) Anche le donne adulte nubili che vivono per proprio conto devono adempiere al precetto dell’accensione recitando l’apposita benedizione.
d) Se una donna è impossibilitata ad accendere i lumi dello Shabbàt per qualsiasi motivo (ad esempio se ella si trova all’ospedale), dovrà essere il marito ad adempiere al precetto recitando l’apposita benedizione, anche se in casa è presente una figlia già adulta.
e) Un uomo sposato che per qualsiasi motivo è costretto a passare lo Shabbàt fuori di casa senza la propria famiglia (per esempio per motivi di lavoro), è tenuto ad accendere i lumi dello Shabbàt recitando l’apposita benedizione nel posto in cui si trova.
f) Le ragazze (adulte o ancora bambine) che si trovano in casa dei propri genitori possono accendere i lumi dello Shabbàt ma è assolutamente vietato a loro recitare la benedizione relativa a questo precetto per cui esse si devono limitare a rispondere “Amèn” alla benedizione sentita dalla madre o, all’occorrenza, dal padre.
g) Ragazzi o ragazze adulti e non ancora sposati che vivono per conto proprio (per esempio degli studenti), devono accendere i lumi dello Shabbàt e recitare l’apposita benedizione nella loro abitazione o nella loro stanza.
h) Una donna sposata che passa tutto lo Shabbàt assieme al marito nella casa della propria suocera o della propria madre, o comunque presso un’altra famiglia, dovrà accendere i lumi nella propria camera da letto e recitare l’apposita benedizione. Se la moglie e il marito (o al limite solo la donna) sono invitati per la sola cena sabbatica, la donna dovrà accendere i lumi nella propria casa prima di recarsi al posto in cui si terrà la cena (questa regola è valida solo se ella esce dalla propria abitazione entro un’ora e un quarto prima dello spuntare delle stelle, in quanto prima di tale periodo è vietato accendere i lumi dello Shabbàt).
i) Un uomo sposato (oppure celibe ma che vive per conto proprio) che è costretto a passare lo Shabbàt lontano dalla propria moglie, e viene invitato per la cena sabbatica presso un’altra famiglia, dovrà accendere i lumi nella propria abitazione (o nella propria camera d’albergo) e recitare l’apposita benedizione. Se egli non ha però l’intenzione di tornare a casa nel corso dello Shabbàt, dovrà accendere i lumi nella stanza in cui dormirà, nell’abitazione della famiglia che gli fornisce l’ospitalità. La regola qui scritta è valida anche per le donne che vengono invitate per lo Shabbàt prive del relativo consorte.
l) Una donna o un uomo che si trovano all’ospedale devono, se possibile, accendere i lumi dello Shabbàt nella stanza in cui sono ricoverati e recitare l’apposita benedizione.
La benedizione
a) La benedizione per l’accensione dei lumi è la seguente:
Barùkh attà Adon-i Eloh-nu mèlekh ha’olàm ashèr kiddeshànu bemitzvotàv vetzivànu lehadlìk ner shel Shabbàt.
(È dunque sbagliato concludere la benedizione dicendo “Shel Shabbàt Kòdesh” come molti usano fare)
b) I sefarditi e gli ebrei di rito italiano usano recitare la benedizione prima di accendere i lumi, mentre gli ashkenaziti usano pronunciarla dopo l’accensione.
c) Una donna (o un uomo) sefardita che si è dimenticata di recitare la benedizione prima di accendere tutti i lumi, non potrà più recitarla dopo l’accensione, neppure mettendo le mano sul volto per non vedere la luce dei lumi (come usano fare gli ebrei ashkenaziti). Se ella si accorge della dimenticanza durante l’accensione, potrà però recitare la benedizione prima di accendere l’ultimo lume di quelli che ella usa accendere di solito.
d) Non si può discorrere di argomenti non inerenti all’accensione dei lumi tra la benedizione e l’inizio della mitzvà (ed è bene non parlare affatto fino alla fine dell’accensione), per cui, se ci si fosse interrotti parlando sarà necessario ripetere la benedizione.
Il tempo dell’accensione
a) L’accensione dei lumi va fatta di norma venti minuti prima del tramonto del sole e in caso di necessità, dieci minuti prima del tramonto. Abbiamo già visto che l’accensione può, all’occorrenza, essere anticipata, ma non può per nessun motivo essere fatta prima di un’ora e un quarto dal momento dello spuntare delle stelle.
b) Secondo l’usanza degli ebrei sefarditi, la donna (o l’uomo) non è obbligata a iniziare l’osservanza dello Shabbàt fin dal momento dell’accensione dei lumi (ed è bene che ella affermi esplicitamente — o almeno pensi — di non voler iniziare lo Shabbàt al momento dell’accensione).
Gli ashkenaziti, però, accettano lo Shabbàt nell’istante stesso dell’accensione per cui una donna che segue tale usanza non può spegnere il cerino o lo stoppino adoperato per l’accensione dei lumi e deve limitarsi ad appoggiare tali oggetti ancora accesi con cura su di un vassoio in modo che essi si consumino totalmente.
c) La donna (o l’uomo) non deve ritardare il momento dell’accensione con il rischio di adempiere alla mitzvà quando lo Shabbàt è ormai iniziato per cui, se ha il dubbio che il sole sia già tramontato è preferibile non accendere i lumi oppure chiedere ad un non ebreo di accenderli senza ovviamente recitare alcuna benedizione.
Se si è certi che lo Shabbàt ha già avuto inizio, è assolutamente vietato chiedere ad un non ebreo di accendere i lumi o di fare qualsiasi altro lavoro vietato ad un ebreo.
d) Dopo aver acceso i lumi (se non si è accettato lo Shabbàt) è possibile bere fino al tramonto del sole.
Il luogo dell’accensione
a) È bene accendere i lumi nel luogo in cui avverrà il pasto sabbatico ma questo non è strettamente obbligatorio, per cui è permesso cenare in terrazza o in una stanza diversa da quella in cui sono posti i lumi.
b) Alcuni usano accendere dei lumi in ogni stanza dell’abitazione, ma anche chi segue tale consuetudine dovrà limitarsi a recitare la benedizione solo sui lumi che si accendono nella sala da pranzo.
c) Dopo l’accensione, i lumi non possono più essere spostati a meno che non vi sia una reale necessità. Per cui, non è possibile accendere i lumi in una stanza dell’abitazione e poi trasportarli nella sala da pranzo, ma è permesso, ad esempio, portare dei lumi spenti nella camera di una donna ammalata affinché ella possa accenderli, e poi trasportarli nel posto in cui la famiglia si riunirà alla sera per desinare.
I lumi
a) È bene adoperare dei lumi ad olio ma in loro mancanza si possono adoperare delle candele di cera. I lumi vanno posti preferibilmente in fila (alcuni però usano disporli a cerchio) e distanti l’uno dall’altro, in modo che le loro fiamme non si possano toccare.
b) Non si possono toccare i lumi o porre sotto di essi dei recipienti per raccogliere la cera o l’olio che cola da essi se lo Shabbàt è già iniziato.
L’accensione dei lumi di Yom Tov
a) È un precetto positivo accendere dei lumi prima dell’inizio di ogni festa solenne e recitare, prima dell’accensione (come per lo Shabbàt), la seguente benedizione:
Barùkh attà Adon-i Eloh-nu mèlekh ha’olàm ashèr kiddeshànu bemitzvotàv vetzivànu lehadlìk ner shel Yom Tov.
Se il Yom Tov capita invece di Shabbàt, si dovrà recitare la seguente benedizione.
Barùkh attà Adon-i Eloh-nu mèlekh ha’olàm ashèr kiddeshànu bemitzvotàv vetzivànu lehadlìk ner shel Shabbàt veshèl Yom Tov.
b) È bene non recitare la benedizione di “Shehecheyànu” dopo l’accensione dei lumi poiché tale usanza non ha nessuna base nella Halakhà, per cui, è preferibile che le donne (o gli uomini) che usano recitare tale benedizione interrompano questa consuetudine e recitino la sola benedizione di “Shehecheyànu” che si trova dopo il Kiddùsh (chi usa recitare la benedizione di “Shehecheyànu” dopo l’accensione dei lumi di Yom Tov, e non vuole interrompere tale consuetudine, non dovrà rispondere Amèn alla benedizione di Shehecheyànu che sentirà dopo il Kiddùsh).
c) Riguardo al tempo dell’accensione dei lumi del Yom Tov, vi sono due diverse usanze. Molti hanno la consuetudine di accendere tali lumi dopo lo spuntare delle stelle, prima del Kiddùsh. Altri, invece, accendono i lumi del Yom Tov prima del tramonto. Se possibile, si segua questa seconda opinione.
Il testo della Hadlkakàt Neròt
Barùkh attà Adon-i Eloh-nu mèlekh ha’olàm ashèr kiddeshànu bemitzvotàv vetzivànu lehadlìk ner shel Shabbàt.
Barùkh attà Adon-i Eloh-nu mèlekh ha’olàm ashèr kiddeshànu bemitzvotàv vetzivànu lehadlìk ner shel Yom Tov.
Barùkh attà Adon-i Eloh-nu mèlekh ha’olàm ashèr kiddeshànu bemitzvotàv vetzivànu lehadlìk ner shel Shabbàt veshèl Yom Tov.
Tefillàt em ’al habbanìm
Ribbonò shel ’olàm. Zakkènu sheyihyù banènu meirìm battorà veyihyù beriìm begufàm vesikhlàm, ba’alè midòt tovòt ve’osekìm battorà lishmà vetèn lahèm chayìm arukìm vetovìm veyihyù memulaìm battorà uvachokhmà uviràt shamàyim veyihyù ahuvìm lemà’la venechmadìm lemàta vetatzilèm me’àin harà’ umiyètzer harà’ umikòl minè pur’ànuiòt veyihyù lahèm chushìm beriìm la’avodatèkha vezakkènu berachamèkha harabbìm shetemalè mispàr yamènu baarikhùt yamìm veshanìm. Betùv uvne’imùt veahavà veshalòm, venizkè legaddèl kol echàd mibbanènu vekhòl achàt mibbenotènu lattorà velachuppà ulma’asìm tovìm; vetazmìn lekhòl echàd mibbanènu et bat zivugò ulkhòl achàt mibbenotènu et ben zivugà. Velò yidachù lifnè acherìm chas veshalòm, uvarèkh ma’asè yadènu littèn lahèm mohàr umatàn be’àin yaffà venukhàl lekayèm ma sheànu mavtichìm littèn lahèm, ulhasiàm ’im zivugàm bimè hanne’urìm benàchat uvrùach uvsimchà umehèm yetzeù peròt tovìm uvanìm tzaddikìm zokhìm umezakkìm lekhòl Israèl, velò yitchallèl shimkhà haggadòl ’al yadènu, velò ’al yedè zar’ènu, chas veshalòm umalè kòl mishalòt libbènu letovà bivriùt behatzlachà vekhòl tuv vehitgadàl kevòd shimkhà haggadòl ukhvòd toratèkha, ’al yadènu ve’àl yedè zar’ènu.
Amèn ken yehì ratzòn yihyù leratzòn imrè fi vehegyòn libbì lefanèkha Adon-i tzurì vegoalì.
* Tale formula segue l’opinione del “Kaf Hachayìm”. Altri concludono “shel Shabbàt veyòm Tov”.
Accensione dei lumi
Benedetto, Tu o Signore, Re del Mondo, che ci hai santificato con i tuoi precetti e ci hai comandato di accendere i lumi di Shabbàt.
Benedetto, Tu o Signore, Re del Mondo, che ci hai santificato con i tuoi precetti e ci hai comandato di accendere i lumi di Yom Tov.
Benedetto, Tu o Signore, Re del Mondo, che ci hai santificato con i tuoi precetti e ci hai comandato di accendere i lumi di Shabbàt e di Yom Tov.
È uso che la madre benedica i propri figli subito dopo l’accensione dei lumi dello Shabbàt poiché, secondo una tradizione rabbinica, questo è il momento in cui il Signore ascolta maggiormente le preghiere dei figli d’Israele.
Preghiera della madre per i figli
Padrone del mondo. Dacci il merito di avere figli che illuminano il creato con la Torà e fa che essi siano sani nel corpo e nella mente, che abbiano buone qualità e che si occupino di Torà per amore di essa e senza secondi fini. Dà loro una vita lunga e buona e fa che siano sempre pieni di Torà, di sapienza e di timore di Dio. Fa’ che siano amati in cielo e apprezzati in terra. Preservali dall’invidia, dall’istinto cattivo e da ogni punizione. Dà loro una giusta inclinazione affinché Ti possano servire nel modo desiderato. Concedi a noi, in grazia della Tua misericordia, di avere una lunga e felice vita e che in ogni giorno e in ogni anno di essa vi sia del bene, della felicità, vi sia amore e pace. Fa’ che possiamo avere il merito di crescere ogni nostro figlio e ogni nostra figlia nella strada della Torà, che possano essi creare una famiglia ed essere pieni di buone azioni. Fa’ sì che ognuno di essi trovi il giusto compagno, che non vengano mai rifiutati dai loro simili, ciò non sia mai, e benedici l’opera delle nostre mani affinché possiamo noi avere la possibilità di fornire loro con letizia il necessario, e anche più di ciò che essi realmente necessitano. Fa’ si che possiamo sempre mantenere le promesse che noi facciamo loro. Fa’ in modo che ognuno di noi possa far sposare i propri figli quando essi sono ancora giovani e che essi diano dei buoni frutti. Fa’ che anche loro possano avere dei figli giusti, pieni di merito e capaci di dedicarsi al bene del popolo ebraico. Fa’ sì che il Tuo nome non venga mai profanato per causa nostra o dei nostri figli, ciò non sia mai, ed esaudisci le nostre richieste di salute di felicità e di bontà. Possa l’onore del grande Tuo nome e l’onore della Tua Torà divenire sempre più immenso grazie a noi e all’opera dei nostri figli.
Questa sia dunque la Tua volontà. Possano le mie parole esser grate e così pure l’espressione dei sentimenti del mio cuore davanti a Te, o Signore, mia rupe e mio redentore.
“Molto ho imparato dai miei maestri, ancora di più dai miei compagni, ma più di tutto ho imparato dai miei allievi”. (Talmùd)
Scrivere con te questo piccolo lavoro per me è stato molto importante. Assieme a te ho scoperto motivi e regole che non conoscevo su una mitzvà che da sempre ha caratterizzato l’osservanza dello Shabbàt.
Voglia Iddio che in futuro anche altri Benè Israèl, come me, possano godere dei tuoi insegnamenti e delle tue parole e possa tu diventare una vera Èshet Chàyil e una grande madre per il popolo ebraico.
Rav R. Colombo