Una “chaqirah” halakhica
Qualche giorno fa un membro della mia Comunità mi ha posto un quesito interessante: se Yom Kippur cade di Shabbat, come quest’anno, che cosa ne è della Mitzwah di ‘Oneg Shabbat (“delizia del Sabato”)? E’ possibile che questo aspetto del “settimo giorno” venga del tutto messo da parte a fronte della Teshuvah e del digiuno? La domanda richiede una “chaqirah” (indagine, disamina) delle Halakhòt di Yom Kippur, ed ecco per sommi capi gli elementi che ho ritenuto rilevanti.
1. Chiamate a Sefer
Aldilà delle numerose menzioni di Shabbat nelle Tefillòt di Yom Kippur, il numero minimale dei chiamati a Sefer per la Parashah di Shachrit sarà quest’anno elevato da sei a sette. Il Talmud (Meghillah 22) spiega infatti che questo numero aumenta progressivamente di uno proporzionalmente alla qedushah delle giornate. Quest’ultima è a sua volta misurata in rapporto al permesso di lavorare. Nei giorni feriali, in cui non c’è limitazione, i chiamati sono tre: il minimo indispensabile per consentire a tutti di recarsi al lavoro per tempo. Di Chol ha-Mo’ed e Rosh Chòdesh, in cui si prolunga comunque la Tefillah recitando il Mussàf, i chiamati sono portati a quattro. Di Yom Tov, in cui è proibito lavorare con la sola eccezione della preparazione dei cibi, i chiamati sono cinque. Che differenza c’è, a questo punto, fra Yom Kippur e Shabbat, in cui è ugualmente proibita anche la preparazione dei cibi?
Non sussistendo differenza pratica, si rileva che c’è distinzione nelle sanzioni. A differenza di ogni altro Yom Tov, chi di Yom Kippur infrange il divieto di compiere melakhòt è punito in ogni caso con il karèt (pena divina), per cui i chiamati sono sei. Di Shabbat invece si incorre nel karèt solo se si è trasgredito in assenza di testimoni, mentre se due persone prima di assistere all’atto hanno ammonito il colpevole della gravità di ciò che si accingeva a fare (hatraah) e questi ha trasgredito comunque, egli viene punito con la pena di morte per lapidazione comminata dal Tribunale. Questo elemento in più eleva i chiamati dello Shabbat a sette, il numero massimo del calendario.
Se Yom Kippur viene di Shabbat il numero dei chiamati è portato a sette come in ogni altro Shabbat, a testimonianza del fatto che, almeno sotto il profilo delle sanzioni per eventuali lavori proibiti, lo Shabbat fa sentire la propria “presenza” nella qedushah della giornata. Ma non stiamo ancora parlando di ‘Oneg Shabbat…
2. Qiddush
Lo Shulchan ‘Arukh (Orach Chayim 618, 10) prescrive che chi è costretto, per motivi di salute, a consumare un pasto completo di Yom Kippur deve recitare la Birkat ha-Mazòn con l’aggiunta Ya’aleh we-Yavò, come in ogni altro giorno festivo e se è Shabbat aggiungerà anche Retzeh we-hachalitzènu. La ragione sta nel fatto che, essendo esentato dal digiuno, il suo modo di celebrare Yom Kippur consiste nel mangiare, e di ciò deve comunque esprimere gratitudine al Santo Benedetto. In altre parole, una volta che mangia deve comunque assolvere alla Mitzwah della Birkat ha-Mazòn, e dal momento che lo fa, inserirà anche il ringraziamento relativo alla ricorrenza.
La domanda che i commentatori dello S.A. pongono a questo punto è se l’ammalato ha anche l’obbligo di recitare il Qiddush prima di mangiare. Se Yom Kippur cade di giorno feriale l’obbligo non sussiste, perché i Chakhamim, che hanno istituito l’obbligo del Qiddush nelle feste, se ne sono astenuti riguardo a Yom Kippur, in quanto per la maggior parte degli individui, che sono sani, la Torah prescrive il digiuno.
E se Yom Kippur cade di Shabbat? Su questo c’è controversia. Rabbì ‘Aqiva Eiger sostiene che l’ammalato deve recitare il Qiddush di Shabbat, perché esso è stato stabilito come obbligo indistintamente per tutti gli Shabbatòt dell’anno e questo, una volta che gli è permesso mangiare, non fa eccezione. Il Maghen Avraham, invece, sostiene che anche in questo caso non si recita Qiddush, benché sia Shabbat. Commentando quest’ultima opinione, il Miqraè Qòdesh osserva che, per il Maghen Avraham, nel nostro caso la qedushah dello Shabbat si esprime attraverso il digiuno. All’atto pratico si segue quest’ultima opinione, in quanto “dove è dubbio se si debba recitare una benedizione, ci si astiene”.
3. Havdalah
Lo Shulchan ‘Arukh stabilisce che durante la Havdalah al termine di Yom Kippur non si recita la Berakhah sui profumi. La ragione sta nel fatto che questa Berakhah è stata istituita il Sabato Sera per compensare la dipartita della neshamah yeterah, l’anima addizionale dello Shabbat. Ma l’anima addizionale non si instaura di Yom Kippur, in quanto è giorno di digiuno. L’opinione dello Shulchan ‘Arukh (O.Ch. 624, 3) è che la stessa procedura deve essere seguita anche se Yom Kippur cade di Shabbat.
Molti Acharonim (decisori posteriori allo S.A.) esprimono invece parere diverso in questo caso e sostengono che la Berakhah dei profumi debba essere recitata (Mishnah Berurah). A ben vedere, la controversia riguarda la questione se durante Yom Kippur che cade di Shabbat è presente la Neshamah Yeterah come in tutti gli altri Shabbatòt, nonostante il digiuno, oppure no.
Come comportarsi in pratica? La Mishnah Berurah scrive che è opportuno seguire in questo caso l’opinione più rigorosa e includere la Berakhah senza temere di recitarla inutilmente, perché in ogni caso si gode del profumo, a meno che l’uso della Comunità non sia differente (come a Torino, dove si segue l’opinione dello Shulchan ‘Arukh), nel qual caso non si modifica il minhag corrente, salvo poi recitare la Berakhah sui profumi durante la Havdalah in casa propria.
Un’altra interessante questione è sollevata dal Taz. Se noi inseriamo la Berakhah sui profumi nel corso della Havdalah, c’è il rischio, se essa non è strettamente necessaria, di interrompere la sequenza della Havdalah stessa. Il Kaf ha-Chayim risponde che è preferibile comunque uscire d’obbligo secondo tutte le opinioni recitando la Berakhah. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di recitare la Berakhah dei profumi per ultima.
4. La risposta dello Sfat Emet
Vorrei concludere questa chaqirah riportando una riflessione dello Sfat Emet di Gur a proposito del ‘Oneg Shabbat. Egli cita lo Zohar, P. Wayaqhel, in cui si dice che ogni Shabbat una scintilla Divina scende dal Cielo a partecipare e a godere del nostro ‘Oneg Shabbat quando si mangia e si beve. L’atteggiamento dell’uomo dinanzi a D. è insomma passivo, in quanto è D. che prende l’iniziativa di recarsi incontro all’uomo.
In questo speciale Shabbat è tutto diverso, in un certo senso opposto: siamo noi ad essere chiamati a salire verso D., a dargli una risposta. Questo è precisamente il significato del verbo we-‘innitèm, che significa sì “affliggerete (le vostre persone)” nel senso di “digiunerete”, ma può anche essere interpretato come “risponderete” (dalla radice ???).
Gmar Chatimah Tovah
Rav Dott. Alberto Moshe Somekh