Intervista a Walker Meghnagi, neopresidente della Comunità Ebraica di Milano
Ariela Piattelli
Come considera il risultato dalle elezioni della CEM?
«Bisogna trovare risorse per i giovani e riacquistare l’armonia all’interno della nostra comunità» Walker Meghnagi dosa bene franchezza e diplomazia mentre parla con Shalom a poche ore dalla sua elezione come Presidente della Comunità Ebraica di Milano (CEM). La sua lista “Beyachad” ha vinto con 300 voti di scarto, mentre “Milano Ebraica”, guidata dal Presidente uscente Milo Hasbani, è arrivata seconda. «Abbiamo vinto con uno scarto minimo, ma che ci permette di governare» commenta Meghnagi, nato a Tripoli nel 1950, imprenditore immobiliare, con 3 figli, e impegnato nelle istituzioni comunitarie da più di un decennio. Meghnagi ha già guidato la CEM dal 2012 al 2014, e adesso torna in pista con nuovi obiettivi, perché le sfide, come ci spiega, sono cambiate.
Noi siamo chiaramente contenti del risultato raggiunto. Siamo preoccupati però per la scarsa affluenza, sintomo di allontanamento degli iscritti alla comunità. Questo lo consideriamo un grave sintomo al quale bisogna porre rimedio.
Da cosa è causato l’allontanamento degli iscritti alla comunità milanese?
La comunità di Milano è diventata troppo “politica” in questi anni. È una comunità spaccata. Una parte di essa tiene prima alla politica, poi all’ebraismo. E la politica c’è chi la fa anche su Israele, mettendo in discussione le sue scelte, lo abbiamo visto anche in tempi recenti. Io credo che chi entra nella dirigenza comunitaria debba mettere da parte la politica e portare avanti i valori ebraici. E l’appoggio a Israele è per me un valore ebraico. Insomma, bisogna recuperare l’unità attorno a questi valori.
Questa sua visione ha a che fare con il fatto che lei sia un ebreo di origine libica? Cosa le ha insegnato la storia in questo senso?
Assolutamente sì. Io sono andato via prima del ’67, quando ci fu la cacciata degli ebrei dalla Libia con la Guerra dei Sei Giorni, ma la storia ci ha insegnato che l’antisemitismo e l’antisionismo sono la stessa cosa. In Libia abbiamo perso molto, e tanti di noi hanno perso tutto e tutti, affetti, sentimenti, luoghi. E abbiamo ancora le ferite, in tutti i sensi, anche sul corpo, io per esempio ne ho molte.
Come è il dialogo con Milano Ebraica, lista arrivata seconda alla tornata elettorale?
Siamo molto distanti, c’è all’interno una deriva politica. Non voglio governare da solo, e gli offrirò dei posti in giunta, perché è giusto così. Io credo che il dialogo aiuti a crescere. Per questo parlo con tutti i politici, tranne con quelli che si esprimono contro Israele.
La sua famiglia è impegnata molto nella vita comunitaria. Ad esempio suo nipote Ilan Boni è appena entrato con Beyachad nel nuovo Consiglio. Da dove arriva questa volontà di mettersi in gioco?
Si tratta di un’eredità di mio padre, che metteva sempre Israele e l’ebraismo al primo posto. Mi ha insegnato i valori che deve avere un ebreo. È un impegno in cui credo, e che ho cercato di trasmettere a figli e nipoti.
La comunità milanese, come quella di Roma, è composta da varie anime. Anche a Milano c’è una presenza molto importante dei Chabad.
I Chabad per me sono importantissimi, nell’aiuto del prossimo, nella cucina sociale, sono sempre presenti nelle ricorrenze, nell’educazione dei giovani, sono impegnati in prima linea. Oggi è una presenza essenziale, senza di loro non ci sarebbe una vita veramente ebraica in questa città.
Lei è già stato Presidente della CEM. Quali sono le nuove sfide della Milano ebraica rispetto al suo primo mandato?
Bisogna ritrovare la concordia, spegnere l’animosità tra i diversi gruppi, recuperare chi si è allontanato. Vorremmo aumentare i servizi sociali, sono molte le famiglie che non ce la fanno. I giovani non sanno cosa fare, e dobbiamo occuparcene, facendo ritrovare i ragazzi anche tra diverse comunità, come Torino, Milano, Genova etc. Servono risorse per i giovani, per aiutarli a crescere, e qui entra in gioco l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che stanzia pochi fondi: bisogna investire sul futuro, questo è l’importante. L’Unione ha realizzato alcuni progetti, ma non è abbastanza. Bisogna fare di più.
La lista Beyachad è vicina, sia per visione che per valori condivisi, a Per Israele, che a Roma è arrivata prima alle elezioni del nuovo Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Come vede questo risultato?
Noi siamo vicini a coloro che condividono i nostri ideali e i nostri valori. Il successo di Per Israele e di Dor va Dor, alla sua prima tornata elettorale in Ucei, è molto importante, e credo che insieme possiamo fare molto. Il contesto dell’Ucei è fondamentale per l’ebraismo, perché ci rappresenta tutti, e proprio per questo andrebbe “restaurato” nei suoi meccanismi. Io vorrei alleggerire la burocrazia e creare un sistema più snello e più rappresentativo. Dovremmo guardare a modelli organizzativi più moderni, e spero di trovare una sponda negli amici romani.