Rav Scialom Bahbout
Le polemiche che hanno accompagnato la pandemia e poi la somministrazione dei vari vaccini prodotti da vari centri di ricerca e l’attribuzione del Nobel per la Fisica a Parisi hanno nuovamente rilanciato la riflessione su quale debba o possa essere la relazione tra Ebraismo e Scienza. Per quanto riguarda l’ultimo premio Nobel per la Fisica, mi sembra che l’argomento che lo ha appassionato sia nell’alveo di quella che possiamo considerare una tradizione ebraica. Scrive Giorgio Parisi, che ebbi la ventura di incrociare anni fa nei miei studi alla Facoltà di Fisica di Roma, che “la passione della mia vita è stata mettere ordine nel caos”. Da qui la passione per la ricerca. Proprio in queste settimane abbiamo appena letto nel testo biblico “ la terra era tohu vavohu”, cioè un caos. Viene quindi da pensare che l’uomo, la cui creazione a “immagine divina” viene narrata successivamente abbia tra l’altro tra i propri compiti anche che quello di mettere ordine nella natura. Questo vale per il mondo fisico, ma anche per quello della società dove ci sono spesso cellule impazzite che creano disordine. L’interesse dell’ebraismo per la scienza è dovuto proprio alla missione iniziale assegnata all’uomo: penso che la presenza di molti ebrei tra i vincitori del premio Nobel, specie nel campo della Fisica, sia in parte dovuta a una delle caratteristiche fondamentali della tradizione ebraica: lo studio della Torà come prioritario rispetto a molti altri precetti.
E’ innegabile che l’uscita dai Ghetti sia stata vissuta come una opportunità proprio per entrare a pieno titolo nel mondo in generale e in quello della scienza in particolare. Il fatto di porre lo studio al centro della vita quotidiana ha fatto sì che l’applicazione continua allo studio influisse nelle scelte e poi nei successi delle persone che si sono dedicate alle scienze.
Quando si parla di studio tuttavia la domanda che si pongono i Maestri è se si debba intendere solo “studio della Torà” o anche studio delle altre materie e in particolare delle scienze e delle arti che non sono immediatamente riconducibili alla Torà. Il dibattito su questo tema è sempre stato molto ampio e dura tuttora.
Già Rabbi Ishmael e Rabbi Shimon Bar Yochai discutono (Talmud Berakhot 35b) su questo tema ed esprimono due posizioni contrastanti: il primo sostiene che lo studio della Torà debba essere accompagnato anche dalle attività “profane” per le quali bisogna comunque avere acquisto le capacità tecniche necessarie per avere successo; il secondo ritiene che se l’uomo dedicasse tutto il proprio tempo al soddisfacimento delle esigenze mondane, non gli rimarrebbe tempo per lo studio della Torà. La conclusione del Talmud è che comunque poche sono le persone che hanno seguito l’insegnamento di Rabbi Shimon Bar Yochai e che abbiano avuto successo nella propria vita: mentre per la maggior parte delle persone lo studio deve essere accompagnato sempre da un’attività e quindi dallo studio necessario per poterla applicare.
Questa divisione in due settori dello studio e della sua applicazione non può essere giustificata da chi ritiene invece che la Torà debba dare risposte a tutti gli aspetti dell’esistenza. Questa è un’altra faccia di quella che viene considerata la distinzione tra cioè che è considerato kòdesh (sacro) e ciò che definiamo per comodità chol (mondano, profano). Tutti i settori della vita ebraica che trovano espressione nella Halakhà necessitano di una conoscenza ampia in tutte le direzioni e per questo lo stesso Sinedrio doveva conoscere tutte le scienze per poter prendere la decisione giusta caso per caso. La conoscenza dei principi della Fisica è necessaria per decidere se e a quali condizioni determinati strumenti che funzionano utilizzando l’energia elettrica, possono essere usati di shabbat.
Quindi anche oggi un Posèk, un Maestro che risponde a quesiti di Halakhà, per dare un parere su questioni che riguardano la fisica, l’astronomia, la botanica, ecc, si rivolge ad esperti, che è opportuno siano ebrei e osservanti, in quanto più consapevoli e sensibili alle decisioni che verranno assunte.
Tutto ciò che viene classificato come chol, in realtà è una manifestazione a un livello diverso di santità e sta all’uomo elevarlo. Dedicare il proprio tempo a quelle che la tradizione classifica come Hochmòth hizzoniòt (sapienze esterne) sarebbe quindi non solo legittimo ma doveroso.
Lo studio delle leggi che regolano la natura è quindi essenziale per creare le condizioni necessarie per garantire un miglioramento delle condizioni di vita, secondo quanto è scritto nella Genesi “Dio li benedisse e disse loro prolificate e moltiplicatevi, riempite la terra e conquistatela.” Questa ultima operazione è possibile solo se si è in grado di conoscere le leggi che regolano il creato e la possibilità di riprodurle.
Dedicare il proprio tempo allo studio e allo sviluppo delle scienze è in ultima analisi una forma di Kiddush Hashem, santificazione del Nome, in quanto è proprio ciò che Hashem si aspetta dall’umanità.
Scialom Bahbout