Sono i protagonisti di ‘Voci d’oro’ su MioCinema
Francesco Gallo
Ci si affeziona subito a questa coppia non più giovane composta da Victor e Raya Frankel e che ricorda un po’ quella di ‘Ginger e Fred’ di Federico Fellini. Loro non sono però ex ballerini di tip tap, ma una coppia di leggendari doppiatori dell’Unione Sovietica che nel 1990 decisero di fare Aliyah (l’emigrazione ebraica in terra di Israele), proprio come centinaia di migliaia di ebrei sovietici. Questi gli straordinari protagonisti di un film israeliano, piccolo e delizioso, come VOCI D’ORO (Golden Voices) di Evgeny Ruman, dal 24 aprile in esclusiva su MioCinema.
Presentato allo scorso Bif&est di Bari – dove ha ricevuto il premio per la miglior regia nella sezione Panorama Internazionale e la menzione speciale della Giuria andata a Maria Belkin – il film racconta come questi due artisti abituati a dare voce ai più grandi attori europei e hollywoodiani, da ‘8 e 1/2 ‘ di Fellini a ‘Kramer vs. Kramer’ di Benton, ora in Israele devono mettere in discussione tutto, ripartire da zero.
Intanto devono imparare la lingua in una una scuola di emigrati, (e specie Victor non è affatto bravo), ma soprattutto cercare un lavoro dignitoso, cosa non facile. Victor non trova di meglio che portare volantini a piedi per la città con un pesante trolley, mentre a Raya va anche peggio. Unico lavoro che le si offre è in una linea erotica dove si fa sesso telefonico.
Inizialmente la gentile e raffinata donna è piena di timidezze, ma la paga è buona e la voce, alla fine, sa come usarla. Anzi dall’iniziale imbarazzo Raya diventa ben presto una star dell’ambiente molto richiesta sotto il nom de plume di Margherita. Certo all’amato e geloso Victor non può dire nulla se non che vende profumi al telefono, una sorta di ossimoro logico a cui lui vuole credere.
Nel film, pieno più di ironia che malinconia, forse non a caso sono tante citazioni del nostro Federico Fellini e del suo ultimo film ‘La voce della Luna’, a cui proprio Victor e Raya avrebbero prestato le loro voci.
“Alla fine degli anni ’80, con il crollo dell’Unione Sovietica, molti ebrei sovietici emigrarono, fecero ‘Aliyah’ in Israele e io ero uno di loro insieme alla mia famiglia immigrata dalla Bielorussia – spiega il regista -. È stata allora una lotta molto dura, perché sai che devi cambiare totalmente la tua vita, che devi rivedere anche te stesso. Bisogna reinventarsi velocemente, soprattutto se adulti. Era come andare su un altro pianeta. Allora – continua Evgeny Ruman – non sapevamo nulla, non c’erano informazioni su ciò che accadeva fuori dall’ex Unione Sovietica”.
Infine, per quanto riguarda i molti riferimenti a Fellini nel film spiega: “Chi è cresciuto in Unione Sovietica sentiva che Fellini era davvero qualcosa di speciale anche perché aveva avuto la possibilità di vedere alcuni dei suoi film in cui si avvertiva il grande cinema. Era come un simbolo, quindi era importante che la storia collegasse questo regista ai due protagonisti, al di là della mia passione personale per lui “.