Parashà di Vayakkèl-Pekudè – Hachòdesh
Mosè convocò tutta la radunanza dei figli d’Israele, e disse loro: ‘Queste sono le cose che l’Eterno ha ordinato di fare. Sei giorni sarà fatta Melakhà (lavoro creativo), ma il settimo giorno sarà per voi un giorno santo, un sabato di totale cessazione (dal lavoro), consacrato all’Eterno. Chiunque farà Melakhà (lavoro creativo) in esso sarà messo a morte. Non accenderete fuoco in alcuna delle vostre abitazioni il giorno del sabato. (Esodo 35: 1- 3)
Il sabato viene ricordato non meno di 15 volte nella Torà in contesti diversi. In questo caso il rapporto è chiaro: l’imminenza della costruzione del Tabernacolo necessitava di una dichiarazione chiara e univoca. La costruzione del luogo in cui il popolo doveva incontrare il Signore avrebbe potuto far pensare che era più importante dell’osservanza del sabato: questa dichiarazione (come la precedente fatta alla fine della descrizione del progetto del Tabernacolo in Esodo 31: 12 -17)) dimostra che la santità del sabato ha la precedenza sulla costruzione del luogo che per definizione potremmo considerare il più sacro.
Molti anni fa, la Comunità di Torino aveva incaricato una società non ebraica a provvedere ai restaurari del Tempio della Comunità. Ricordo la forte polemica che contrappose a suo tempo Rav Sergio Sierra z.l., rabbino capo di Torino, a quella parte della Comunità che voleva che i lavori si svolgessero anche di sabato: alla fine rav Sierra ebbe la meglio e possiamo dire che, oltre ad averne ragione, poteva portare come esempio proprio la costruzione del Tabernacolo, certo più sacro di una Sinagoga. “En melèkhet hamishkàn dochà et hashabbàt”, il lavoro per la costruzione del Tabernacolo non respinge il sabato (cioè non è più importante del sabato). Sappiamo viceversa che “Pikkùach nèfesh dokhè et hashabbàt” il pericolo di vita ha la precedenza sul sabato e quindi il modo migliore per continuare ad osservarlo è quello di privilegiare la vita.
E’ noto che i lavori necessari per la costruzione del Tabernacolo sono stati presi a modello delle 39 Melakhot (opere creative) proibiti di shabbat e che tra questi c’è anche l’accensione di un fuoco e non si capisce quale sia il motivo per cui venga ricordato in maniera specifica.
In aggiunta a quanto dice la tradizione orale, voglio qui citare un insegnamento del mio Maestro Rav Elia Samuel Artom z.z.l., che ho poi ritrovato sia nel suo commento in ebraico alla Bibbia che nel suo discorso sullo Shabbat pubblicato su “Il Decalogo”.
Il fuoco e l’elettricità alla base dello sviluppo creativo
In tutte le vostre abitazioni: non soltanto nel lavoro della costruzione del Tabernacolo è proibita l’accensione del fuoco, ma in tutti i luoghi delle vostre abitazioni, anche se l’intenzione sarà soltanto per la preparazione del cibo o della luce in onore dello shabbat.(pag. 132 הוצ’ יבנה,שמות),
In maniera più diffusa nel Decalogo rav Artom scrive tra l’altro:
L’accensione del fuoco è lavoro essenzialmente domestico: se a qualcuno passasse per la mente l’amena idea di spiegare la parola della Torà come riferentesi alle industrie metallurgiche o simili, la Torà stessa starebbe lì a confutarlo: lo tebha’arù esh bechòl moshevotecèm: non accendete il fuoco nelle vostre abitazioni nel giorno del sabato ..…….. Come il focolare è il centro e simbolo della vita domestica, così l’accensione del fuoco è il centro del lavoro domestico. … se l’accensione del fuoco, simbolo e centro del lavoro domestico, non costituisse violazione del riposo sabbatico, una parte notevole della popolazione sarebbe privata del beneficio di questo, tutti coloro cioè che al lavoro domestico si dedicano. In modo particolare le donne, alle quali non meno che agli uomini il Decalogo è rivolto, sarebbero di fatto escluse dal sabato, secondo i suggerimenti dello spirito della Torà, non può non vedere che esso non sarebbe che ben piccola cosa in confronto di quello che è se in esso si accendesse il fuoco nelle case, e se quindi ci si occupasse della preparazione dei cibi.(Il Decalogo pag.57)
I Maestri hanno dato due spiegazioni e le riporta Rashi nel suo commento:
Vi sono Maestri che dicono che l’accensione viene a insegnarci che chi accende è colpevole solo per un Lav (una mizvà negativa per la quale si è colpevoli, ma non con la pena di Karet o di morte di cui ha appena parlato il testo) e c’è chi dice che Lechallek Yatzà, cioè ha la funzione di dividere tra loro le Melakhòt, tanto che se si sono trasgredite involontariamente varie Melakhòt va replicatala pena per ognuna di esse.
Il Sabato: alla ricerca di un equilibrio tra osserva e ricorda
In ogni caso è chiaro che questa Melakhà ha una caratteristica che la rende diversa dalle altre:
- Secondo quanto scritto da rav Artom, essa ha la funzione di sottolineare la centralità dello shabbath nella vita domestica e rafforza l’idea della famiglia nella società;
- La Melakhà rappresenta meglio delle altre l’idea della creazione dal nulla e rappresenta bene il passaggio dal sacro al profano con l’accensione del fuoco alla fine dello shabbat: la benedizione “Borè meorè haèsh”, creatore dei luminari che fanno fuoco, intende affermare che non siamo noi a creare il fuoco, ma il Signore. Il fuoco è effettivamente il simbolo dello sviluppo industriale, così come lo è oggi l’energia elettrica: a differenza del mito greco per cui Prometeo dovette carpire il fuoco agli Dei, noi accendiamo il fuoco alla fine dello shabbat in ricordo del fuoco che Dio consegnò ad Adamo all’uscita del sabato;
- L’intervallo del tempo sabbatico in cui non si può accendere il fuoco viene delimitato quindi da due atti: il primoall’inizio del sabato con l’accensione delle candele che di norma fanno le donne; il secondo alla fine del sabato durante la Havdalà (la cerimonia di separazione tra sabato e giorno feriale) .
In tutti questi sensi l’accensione è una Melakhà diversa dalle altre perché serve a porre dei limiti e a distinguere in maniera chiara il tempo sacro da quello profano, una casa ebraica in cui il tempo sabbatico viene vissuto intensamente.
Tutto quanto abbiamo scritto mette in evidenza le proibizioni che caratterizzano il sabato: il pericolo è di vivere il sabato come una giornata piena soprattutto di costrizioni e proibizioni.
E’ noto che vi sono due mizvoth relative allo shabbat e vengono espresse nei 10 comandamenti in modo diverso: Zakhor (ricorda il giorno del sabato per santificarlo) e Shamòr (osserva il giorno del sabato per santificarlo). All’inizio dello shabbat, nelle preghiere del venerdì sera, diciamo “shamòr vezakhòr bedibbùr echàd”, cioè l’espressione “osserva e ricorda” del quarto comandamento sono state dette con una sola emissione di voce. Non si tratta di un miracolo fonetico, in quanto in effetti anche per osservare è necessario ricordare. Tuttavia la Halakhà sottolinea che “ricorda” va intesa come mizvà affermativa (cioè comprende i comportamenti positivi che bisogna tenere di shabbath), mentre “osserva” comprende le azioni, cioè le 39 Melakhot, da cui bisogna astenersi
In Zakhor dobbiamo includere tutte le preghiere, lo studio, i cibi speciali del sabato, i vestiti dedicati in maniera specifica al sabato, gli incontri con gli amici ecc. In questo periodo di pandemia questi ultimi sono stati un po’ sacrificati, ma torneremo a vederci e a stare assieme a trascorrere insieme lo shabbat. Non dimentichiamo che i pasti sabbatici, oltre ad essere migliori degli altri giorni, devono essere accompagnati dallo studio della Torà e dai canti che rendono la tavola ebraica diversa dalle altre. Molto spesso anche ebrei osservanti dimenticano che i pasti sabbatici non costituiscono soltanto un’occasione alimentare….. ma devono appunto essere dedicati al dialogo e allo studio della parashà settimanale, al canto delle zemiròt del sabato ecc.
In questo, come in altri aspetti dell’osservanza del sabato, sabato. ognuno deve creare un equilibrio tra questi due aspetti, in modo da assaporare quello che è chiamato ‘onegh shabbat, il piacere dello shabbath.
Scialom Bahbout
Rav Elia Samuele Artom (1887 – 1965)
Rav Elia Samuele Artom, הרטום, אליה שמואל בן מנחם עמנואל יהושע, nasce a Torino il 15.6.1887. Consegue i titoli rabbinici “Semikhà” presso il Collegio Rabbinico Italiano di Firenze, il titolo di Maskil nel 1908 e quello di Chakham ha-shalem nel 1912. E’ prima Vice- Rabbino di Ferrara, e poi Rabbino presso le comunità di Torino, Tripoli (Libia, dal luglio 1920 – 1923), Alessandria (1924-1926) e di Firenze (dicembre 1926 – settembre 1934).
Dall’ottobre 1933 al giugno 1934 insegnò a Tel Aviv. E’ stato Insegnante del Collegio Rabbinico Italiano di Firenze tra il 1924 e il settembre 1933 e direttore del Collegio Rabbinico Italiano di Roma dal dicembre 1935 fino al novembre del 1937 e di nuovo dal dicembre 1938 al settembre 1939.
Nel settembre 1939 si trasferì in Eretz Israel. Insegnò successivamente alla Scuola Margulies di Torino dal 1953 al 1955 ed al Collegio Rabbinico Italiano di Roma fal 1963 al 1965.
Tra i suoi scritti: un commento in ebraico alla Bibbia, un commento ai libri apocrifi, non inclusi nel canone biblico. Muore a Roma il 25.2.1965 ed è stato sepolto a Gerusalemme.
Shabbat Hachòdesh: I mesi e l’anno nel calendario ebraico: l’anima lunare del popolo ebraico
Shabbath hachòdesh è caratterizzato dalla lettura del cap. 12 dell’Esodo, in cui Dio dice “Questo mese sarà per voi il primo mese dei mesi dell’anno”. Che bisogno c’era di cambiare calendario? Il calendario egiziano era basato sul Sole che era la principale divinità egiziana, mentre il nuovo calendario ebraico sarebbe stato basato anche sulla luna. E’ improprio parlare di un “anno lunare” fatto di 12 mesi lunari che non costituiscono un anno, ma il testo parla del mese in cui gli ebrei uscirono dall’Egitto come il primo mese dei mesi dell’anno: se si voleva veramente uscire dall’Egitto bisognava proprio cambiare calendario. Perché?
Un calendario basato solo sul Sole implica l’idea che la realtà sia immutabile e le leggi della natura regolano la vita dell’uomo senza che possano essere prodotti cambiamenti: l’anno solare è un anno circolare in cui gli eventi agricoli avvengono ciclicamente e le stagioni si seguono regolarmente.
E’ interessante notare che i verbi zakhor e shamor – ricorda e osserva – vengono applicati sia allo shabbat che all’ “anno lunare”:
ricorda questo giorno in cui siete usciti dall’Egitto, osserverai questa legge al tempo stabilito di anno in anno (“זכור את היום הזה אשר יצאתם ממצרים”, ו”ושמרת את החוקה הזאת למועדה מימים ימימה”.)
Così come il sabato libera l’uomo dalla schiavitù del lavoro, stabilendo delle norme per cui non si può creare nulla di nuovo di sabato, così l’anno basato sulla Luna, capace di rinnovarsi ogni mese, di cambiare continuamente, ci insegna che nella vita dell’uomo esiste il miracolo del cambiamento, cosa impossibile nel mondo regolamentato solo secondo l’idea del Sole.
Continuare a mantenere l’anno lunare è essenziale per difendere l’identità culturale del popolo ebraico: l’anno basato sulla settimana in cui ci sia lo shabbath e i mesi siano lunari sono parte di un anno luni – solare, che deve avere un riferimento solare, ma un’anima lunare.
Il popolo ebraico ha dimostrato nella sua storia che i miracoli esistono.