Parashà di Vayiggàsh
I salmi consentono letture e interpretazioni diverse che sembrano contrastanti o addirittura prive di fondamento. L’idea di fondo è che, nonostante essa sia costituita da tanti libri, in un certo senso la Bibbia è un libro unico con un’ispirazione unitaria. Non è un caso che i salmi siano stati divisi in 5 libri ed ecco perché vengono spesso collegati a passi o episodi della Torà. Non ci deve meravigliare quindi la lettura che fanno i Maestri del il Salmo 48, dedicato a Gerusalemme.
Salmo 48.
1) Canto, salmo dei figli di Qòrach
2) L’Eterno è grande e molto celebrato nella città del nostro Dio, nel suo sacro monte
3) Bella altura, gioia di tutta la terra è la montagna di Sion, all’estremo settentrione, città del grande Re.
4) Dio nei suoi palazzi è noto quale fortezza
5) Poiché ecco i re si sono radunati, sono passati (‘averù) insieme,
6) Hanno veduto e sono rimasti stupiti, si sono impressionati e sono fuggiti a precipizio.
7) Là li ha colti lo spavento, la doglia come a una partoriente.
Ma’asè avoth siman lebanim: primo round
I Maestri (Bereshit Rabbà 93B) si chiedono cosa c’entrano i re in questo contesto? Prima il salmista dice che “si sono radunati” e poi aggiunge “sono passati assieme?” Applicando una delle 32 regole ermeneutiche di Rabbi Eli’ezer, figlio di Rabbi Yosè Hagalilì, il midrash risponde che l’incontro tra Giuda e Giuseppe può essere paragonato allo scontro tra due re: Giuda è il capo dei fratelli e Giuseppe è come un re per gli egiziani. Il midrash inoltre gioca anche sul significato della parola ‘averù עברו (sono passati) e la collega con la parola ‘evrà עברה ira. In effetti, Yehudà e Yosef hanno un confronto piuttosto violento, come si può rilevare dal verbo Vajiggàsh che viene usato per gli scontri violenti. A questo punto i Maestri aggiungono che i fratelli (versi 6 e 7), vista la situazione, fuggono perché impressionati e spaventati e non partecipano allo scontro.
Questa interpretazione, va inserita nell’idea generale che i racconti della Torà sono un’espressione dell’idea Ma’asè avoth siman lebanim (le azioni dei padri sono un simbolo per i figli) e legge questo racconto, oltre che riferentesi alla situazione del contesto, anche in una prospettiva più ampia: le tribù che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia ebraica successiva sono Giuseppe, (attraverso il figlio Efraim), e Giuda. Giuda costituirà il regno del Sud, con capitale Gerusalemme, ed Efraim creerà il Regno del Nord con capitale Samaria: i due regni saranno spesso in contrasto e in competizione tra loro. Il Regno del sud comprenderà anche la tribù di Beniamino e questo perché, proprio in questa parashà, Giuda unisce il suo destino a quello di Beniamino, dichiarando di essere pronto a divenire schiavo al posto del fratello: il Beth Ha-Mikdash sarà costruito proprio nella zona di confine tra le due tribù, segno della fratellanza dimostrata da Giuda nei confronti di Beniamino: il Santuario è il luogo in cui si manifesta l’unità e la fratellanza di Israel.
Ma’asè avoth siman lebanim: tappe successive
Secondo i Maestri Giuda e Giuseppe sono gli archetipi di due strade della redenzione del mondo oppure, con il linguaggio dei Maestri, due approcci diversi al Messianismo: “Messia figlio di Giuseppe” e “Messia figlio di Giuda”. Giuseppe assume su se stesso il compito di far penetrare i valori ebraici nella civiltà egiziana e in tal modo di consacrarli: a tal fine fece tutto ciò che poteva fare per modificare la cultura di quel posto ed è quindi pronto ad arruolarsi al servizio dell’Egitto. Lui non nasconde la sua identità ebraica, il coppiere dice espressamente che c’era in carcere con lui un giovane ebreo, si vestirà poi da egiziano e si arruolerà al servizio della civiltà egiziana per innalzarla. L’intenzione di Giuseppe è di salvare il mondo, in accordo con la visione della redenzione ebraica, ma per mezzo dell’Egitto. Questa fase del Messianismo ebraico è chiamata “Messia figlio di Giuseppe”.
Giuda, al contrario, si rifiuta di comportarsi secondo le modalità di Giuseppe, dato che lui ne ha già sperimentato le conseguenze distruttive durante la permanenza della famiglia di Giacobbe presso Labano. Tutto ciò che era possibile fare per migliorare la cultura di Labano l’ha fatto per migliorare e modificare una situazione che ha costretto Giacobbe e la sua famiglia a fuggire per timore della vita: Giacobbe rivolge questa richiesta Lasciami andare via e io andrò al mio luogo e alla mia terra (30, 25). Giuseppe non era ancora nato quando erano accaduti tutti gli eventi accaduti presso Labano, ma Giuda e gli altri fratelli l’avevano sperimentato in pieno e per questo, ancora prima che le cose possano accadere, rifiutano la strada di Giuseppe. Alla fine dell’esperienza egiziana, svolta la sua missione, lo stesso Giuseppe chiede che le sue ossa siano riportate nella terra dei padri.
Mito greco e midrash
Un’interpretazione più ampia, sempre nella linea di Ma’asè avoth siman lebanim, propone Rav Leon Ashkenazi, soprannominato Manitou, in “Il mito greco e il midrash ebraico” (Midrash besod haafakhim, pag 156 e ) in cui delinea quale sia la concezione dei Maestri che caratterizza il pensiero ebraico rispetto a quella greco – ellenista.
Tutte le “prove” che possono essere associate all’archetipo Giuseppe, quelle cioè in cui il popolo ebraico ha partecipato allo sviluppo della società in cui è vissuto, hanno spesso portato al tentativo di eliminare l’identità ebraica, anche con massacri e antisemitismo.
Se analizziamo il processo con cui nasce il Cristianesimo vediamo che fin dall’inizio v’è un chiaro tentativo di sostituire Giuda con Giuseppe.
La genealogia che appare su Matteo (I, 1- 16) segue quella biblica delle svolte che accadono ogni 14 generazioni: da Abramo a David, 14 generazioni; da David fino all’esilio Babilonese 14 generazioni; dall’esilio a Gesù 14 generazioni; le ultime parole della genealogia sono: Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, uomo di Miriam, dalla quale è nato Gesù, chiamato Mashiach.
Armand Abecassis (Professore di filosofia e discepolo di Manitou) rileva l’acronimo seguente: Abramo a Davide, Davide a Gesù che è chiamato Mashiah…. A… D… M…. il sotto testo propone di vedere in Gesù il nuovo Adamo, quindi una nuova creazione dell’uomo che apre una nuova storia… . anche qui, viene evidenziato l’idea di qualcosa di nuovo ( una nuova relazione della rivelazione nel mondo) che “irrompe” nella storia e cancella la vecchia narrazione, cioè quella ebraica ….L’autore (gli autori) dei vangeli, riprendono le categorie del pensiero ebraico e ne fanno qualcosa altro… di diverso che sarà il cristianesimo. Il tutto e di capire bene e non confondere le categorie di ognuno.
La storia d’Israele: fedeltà alla figura di Giuda
Gesù “figlio di Giuseppe”, nome del padre terrestre, ma anche figlio di David: c’è qui la volontà di riunire in una solo figura Giuseppe e Giuda? Le cose non stanno così: oltre a questo “dettaglio”, non deve sfuggire che il nemico di Gesù è una persona chiamata Giuda (iscariota)… Lo scopo del narratore è quello di mettere in contrapposizione la strada di Giuseppe con quella di Giuda per delegittimare la via di Giuda .
Questa contrapposizione attraversa tutta la storia di Israele: per gli ebrei questo è un racconto storico e l’identità ebraica è composta sia da Giuseppe che da Giuda, ma non è questa la posizione cristiana.
Il mito cristiano – intendiamo la parola mito come la possibilità del pensiero ellenistico-cristiano di divinizzare una persona dopo la sua morte come facevano alla stessa epoca i Romani con l’apoteosi di certi personaggi come Giulio-Cesare, Ottaviano Augusto – ha generato un’altra fede, che nella Torà è rappresentata da Giuseppe e l’ha trasformato in un idolo.
La fedeltà a Giuda è rappresentata dalla storia degli Ebrei,
I giudei del tempo sanno bene come interpretare la genealogia di Matteo e questa potrebbe essere ancora legittima se il cristianesimo non fosse poi approdato all’idea – certamente lontana dalla tradizione ebraica – di Gesù figlio di Dio, quindi con attributi divini. Ogni uomo è figlio di Dio e non ci sono esseri privilegiati. Qui l’influenza del pensiero greco è fondamentale e qui troviamo lo spartiacque tra l’Ebraismo e la religione cristiana.
Il dialogo con la Chiesa potrà veramente esserci se si è pronti a confrontarsi con coraggio con tutte le conseguenze che possono scaturire da un dialogo vero dopo circa duemila anni di non dialogo (questo non-dialogo è consistito nel tentare di ridurre l’identità ebraica a quella cristiana).
Gli ebrei e l’ebraismo non appartengono alla storia delle religioni, ma alla storia dell’umanità.
L’identità ebraica è innanzi tutto una identità storica, ma non religiosa di fede.
Gli ebrei sono un popolo e una società con la loro storia.
Un dialogo tra ebrei e cristiani potrebbe avvenire solo nel caso in cui cristiani siano in grado di rinunciare al mito del Dio fatto uomo e di dare ai testi un’interpretazione ancora più ampia, sempre nella linea di Ma’asè avoth siman lebanim, proponerav Leon Ashkenazi, soprannominato Manitou in “Il mito greco e il midrash ebraico” (Midrash besod haafakhim, pag 156 e ) in cui delinea quale sia l’idea dei Maestri che caratterizza il pensiero ebraico rispetto a quello greco – ellenista. Per essere più chiaro Leon Ashkenazi sostiene che un dialogo giudeo-cristiano potrebbe esistere – cosa difficile ma non impossibile – ma i cristiani per capire gli ebrei dovrebberoin effetti rinunciare all’idea del mito per avvicinarsi alla metodologia del midrash cioè alle categorie del pensiero ebraico…
Nell’establishment cristiano potrebbe sorgere allora una teologia positiva verso gli ebrei non come concessione negativa: il cristianesimo crede che la dimensione Giuseppe comporti anche l’eliminazione della dimensione Giuda, l’Israele storico. Giuda rifiuta di suicidarsi, dato che sa che il percorso di Giuseppe è temporaneo, così come già aveva previsto Giuseppe stesso nel racconto della Genesi 50,25: “Dio vi ricorderà e farete salire le mie ossa da qui” e lo Zohar precisa “affinché lui non venisse trasformato in un Divinità per gli idolatri” (Beshallach 46, A).
In sintesi: Il Messia figlio di Giuseppe è solo un’esperienza temporanea, di passaggio. Giuseppe in fondo è stato salvato proprio da Giuda, al contrario di quanto viene raccontato nei Vangeli per cui Giuda tradisce Gesù. L’aver trasformato la storia del figlio di Giuseppe in un mito è ciò che pone agli antipodi la storia ebraica con quella del cristianesimo. Ebrei e cristiani possono essere amici, ma questa condivisione non è possibile tra Cristianesimo ed Ebraismo.
I Maestri avrebbero avuto più di un’occasione per trasformare la storia di un personaggio (Isacco, Giuseppe, Mosè) come divinità, ma si sono ben guardati dal farlo. Israele ha la consapevolezza di essere “figlio di Dio” che ha lottato con Dio. E combatterà affinché questa consapevolezza sia dell’umanità intera, senza fare alcuna violenza sia fisica che morale.
Scialom Bahbout
Leon Ashkenazi – Manitou
Nato in Algeria (21 giugno1922), chiamato Manitou (secondo il suo totem quando era giovane madrich) e vissuto in Francia fino al 1967, quando si trasferì a Gerusalemme. Muore il 21 ottobre 1996. Rabbino e filosofo, assieme a Emmanuel Levina e André Neher, è la persona che ha più influito nella rinascita del pensiero ebraico in Francia dopo la Shoah.
La sua capacità di interpretare i testi tradizionali dalla Bibbia alla Kabbalà, ne ha fatto uno dei grandi maestri del pensiero ebraico francese del 20° secolo (“scuola francese”)
Ringrazio l’amico Giuseppe Balzano per aver messo a mia disposizione i testi di rav Ashkenazi .