Ran Baratz
La società in Israele non sarebbe solo lacerata, ma soffrirebbe anche di una crisi sociale e di fallimento morale. Come lo sappiamo? Perché ce lo raccontano i giudici israeliani nelle motivazioni della sentenza che respinge il ricorso presentato contro l’incarico dato a Netanyahu per la formazione del governo, dove questi si sono impegnati a darci la loro descrizione della società israeliana. Già nei primi paragrafi il giudice-sociologo Yitzchak Amit scrive che il risultato delle elezioni “riflette le fratture in lungo e in largo della società israeliana”.
E in effetti la teoria delle lacerazioni va molto di moda nel nostro paese. Già studiando educazione civica gli studenti possono ben comprendere che “la società israeliana sarebbe piena di lacerazioni”: nazionali, religiose, classiste, ideologico-politiche ed etniche. “Lacerazioni”, continuano a studiare i ragazzi, sono “linee sociali di demarcazione che attraversano la società e la dividono in fazioni”. Tra le lacerazioni “persiste una tensione”, che a volte sfocia nella violenza. Queste pericolose lacerazioni “mettono in pericolo la società israeliana”.
Questo argomento delle “lacerazioni sociali” ha promosso negli ultimi anni una teoria simile: quella delle “tribù”. Nel suo discorso del 2015, nel quale il presidente Rivlin presentava l’idea delle “tribù”, parlava di “ignoranza reciproca e assenza di un linguaggio comune” tra le “tribù” in Israele, che “non fanno che aumentare la tensione, la paura, l’ostilità e la competizione tra loro”. “Io riconosco una una minaccia reale”, concludeva.
Se le cose stanno così, l’idea delle “lacerazioni sociali” non è ingenua. Verrebbe per metterci in guardia dalla malvagità che è in agguato contro la radice stessa del nostro essere israeliani, che è “lacerata” e “tribale”. Israele sarebbe un barile di esplosivo. Non riusciamo a metterci d’accordo, siamo in conflitto e “lacerati”, a un passo dalla violenza. Attenzione, pericolo!
Chi sente l’odore strano di “individuazione di processi storici”, non è lontano dalla verità. Quando Yair Golan , verso la fine del suo incarico come vice capo di stato maggiore, tenne una conferenza negli Usa sulle “quattro tribù” che esistono in Israele. “Vedere Israele come un crogiolo” – annunciò al pubblico americano – “non è più attuale. Il presidente Rivlin ha riconosciuto che esistono tra noi quattro tribù principali… si tratta di una sfida enorme”. L’anno prima, come ricorderete, Golan tenne una conferenza nel Giorno della Shoah sul “individuazione di terribili processi che ci hanno colpito in Europa in generale e in Germania in particolare, 70-80-90 anni fa”.
Esiste quindi un comune denominatore tra chi riconosce delle cupe lacerazioni e chi individua processi minacciosi. Anche i nostri giudici fanno riferimento al decadimento morale della società israeliana. Dopo il paragrafo iniziale delle “lacerazioni”, il giudice Amit sostiene che “una volta, l’argomento che noi siamo costretti a giudicare oggi, non sarebbe nemmeno arrivata alla nostra porta… ma le norme pubbliche e la cultura politica di una volta non assomigliano a quelle dei nostri giorni. Ne deduciamo la misura del peggioramento che la società israeliana sopporta”.
Dello stesso cambiamento profondo parla anche il giudice Mazuz, che si distingue per i colpi che assesta alla società israeliana: “La situazione nella quale un indagato per gravi reati penali nel campo dell’integrità morale forma un governo e ne è a capo… riflette una crisi sociale e un fallimento morale”. I giudici Barak-Erez e Baron aggiungono che “la formazione del governo da parte di chi ha in sospeso una grave incriminazione, non può trovare posto nei principi fondamentali della democrazia israeliana”. Stiamo vivendo pericolosi processi anti-democratici.
C’è solo un problema: tutti questi argomenti sono pura propaganda.
“Lacerazione sociale” è un termine assolutamente ambiguo con finalità politiche. In ogni società, compresa quella israeliana, esistono dissensi. Questo banale dato di fatto non è indice di “lacerazioni sociali”. La domanda cruciale in questo caso è come noi sappiamo gestire le divergenze al nostro interno: la società israeliana è violenta oppure riusciamo a gestire le divergenze in maniera concordata?
E in effetti sotto questo profilo la società israeliana ha un successo trionfante. In Israele esiste poca violenza violenza politica: possiamo confrontare la situazione in Israele ai disordini scoppiati negli ultimi anni in tutto il mondo occidentale, compresi gli Usa odierni. In Israele non esistono fenomeni corrispondenti e nemmeno simili. Noi riusciamo a incanalare le divergenze verso le urne elettorali, ci rispettiamo e proteggiamo con successo la sicurezza della sfera pubblica più di altri paesi occidentali.
Anche l’idea delle “tribù” fa acqua da tutte le parti. Non esistono in Israele delle “tribù”, che in ogni caso è un concetto inadeguato alla realtà odierna. Tra gli ebrei esistono solo due “settori”, cioè gruppi di minoranza, che vogliono distinguersi da quelle di maggioranza: sono i charedìm e i sionisti-religiosi. Ma anche in questo caso, i fatti contraddicono la teoria delle lacerazioni. I charedìm, che crescono in maniera significativa, accettano oggi lo stato d’Israele e i sionisti come mai prima. E il settore sionista-religiosa è in ogni caso diviso al suo interno in proporzione alla sua distinzione, dal momento che è sia sionista che religioso. Forse è per questo che ha difficoltà in pratica a distinguersi in grandi numeri.
Nella realtà israeliana non esiste in effetti “paura” o “minaccia reale” tra persone con idee e comportamenti diversi tra loro. Chi “individua dei processi” non fa che riecheggiare con ignoranza della vuota propaganda. E ancora, anche le altre “lacerazioni” che vengono presentate come solida verità: quelle “etniche”, quelle “di classe”, quelle “politiche” stanno scomparendo. Gli studi demografici mostrano che la etnicità si sta dissolvendo nelle generazioni più giovani. Israele è diventata una società opulenta con un’alta mobilità economica. E così la “lacerazione” di classe scompare. Anche la nostra politica si sta indirizzando sempre più verso il centro, è diversificata e con una maggiore rappresentatività di quella di periodi storici dei quali parte dei giudici hanno forte nostalgia, periodi nei quali venivano emarginati e oppressi tutti quelli che non si riconoscevano con il partito al governo.
Lo stesso è vero anche riguardo il “degrado” morale. Israele è oggi più aperta e libera. I cittadini hanno molti più diritti e libertà civili che in passato. In generale identificare la discussione e la diversità di opinioni come un problema riflette un atteggiamento molto fastidioso. Una società dove tutti sono simili è il prodotto di dittatura, di un regime opprimente che nega la libertà di scelta e di pensiero.
Ma allora perché le élite ci rimproverano dall’alto delle loro torri d’avorio? Difficile fuggire dalla sensazione che, dal loro punto di vista, il degrado morale sia legata al successo della destra. “Le persone votano chi non la pensa come noi, che tragedia!” Per salvarsi da questo baratro morale, tribale e pericoloso, bisognerebbe votare in maniera “illuminata”.
In pratica, queste tesi negative su Israele sono avulse dalla realtà. La società israeliana, anche di fronte a sfide difficili, ha dato prova invece di solidità e unità. È vero, queste teorie, nate a sinistra, servono anche alla politica di destra, ma contrariamente alla propaganda, in Israele abbiamo una società variegata ma unita, sionista e morale e, non è meno importante, anche felice.
Per questo l’indice che più caratterizza Israele in ambito internazionale è che gli israeliani sono tra i più felici al mondo. È forse questa una caratteristica di una realtà in “degrado”, di “crisi sociale”, di “lacerazioni”, di “tribù”che si minacciano l’un l’altro? Certo che no. Ma non provate a disturbare le teorie con la realtà.
Israele ha di fronte molte sfide, ma queste sono principalmente a livello politico-istituzionale, dove affrontiamo problemi difficili. A livello sociale, se osserviamo Israele dall’alto, da un punto di vista comparativo e attento, si tratta di una storia di unità e corresponsabilità, che supera e vince ogni tentativo politico di seminare tra noi la divisione.
Traduzione D. Piazza
Makòr Rishòn 5.6.2020 – Titolo originale: “Requiem lashesa’ìm”
Ran Baràtz (1973) è un giornalista pubblicista e docente di filosofia. In passato si è occupato attivamente di hasbarà nel team di Binyamin Netanyahu. Ha fondato il sito conservatore liberale Mida https://mida.org.il.