Questa parashà è famosa per la sua parte centrale, in cui sono elencate le “berakhot – benedizioni” e le “kelalot – maledizioni”.
Nel testo troviamo scritto: “Essi staranno a benedire il popolo sul monte Gherizim e essi staranno per la maledizione sul monte Eval”.
Poi specifica che sei tribù staranno su un monte e sei sull’altro e i Sacerdoti staranno in mezzo a rispondere amén, prima alle prime, poi alle altre.
Nel trattato talmudico di Sotà, si spiega che le sei tribù saliranno in cima al monte – sia sull’uno che sull’altro e i Sacerdoti in basso si porranno fra i due monti e a seconda di chi parlerà, si volgeranno da una parte o dall’altra e risponderanno “amén”.
È interessante porre attenzione a come il testo si esprime; la prima volta, riguardo le benedizioni è detto “essi staranno a benedire il popolo” mentre la seconda, riguardo le maledizioni, la Torà non dice “a maledire il popolo” ma “staranno presenti alla maledizione”. Quindi nessuno maledirà nessun altro, ma è come se fossero testimoni ad un ammonimento, formulato dal Signore. A questo risponderanno i Sacerdoti amén.
Nel brano successivo, troviamo parole molto più dure delle maledizioni stesse. C’è l’uso che il korè – colui che legge la Torà in pubblico – abbassi moltissimo la voce. Sono parole assai forti e crude, che la Torà rivolge a chi non osserva o, per meglio dire, a chi “non ha servito il Signore con gioia e cuore buono”. I chakhamim insegnano che chi legge la Torà non deve far troppa attenzione a ciò che è scritto (anche per questo vengono lette a bassa voce), perché non si possa pensare che siano dirette a qualcuno in particolare. Il contenuto delle kelalot – maledizioni, è simile a quello che si trova nella parashà di Bechuccotai, nel libro di Vaikrà.
A questo ci si chiede il perché siano state ripetute due volte, dato che c’è l’esortazione a non fare troppa attenzione ad esse.
Ramban – Rabbì Moshè figlio di Nachman – grande Maestro spagnolo, di tradizioni mistiche – sostiene che, quelle elencate nel libro di Vaikrà riguardano ciò che è accaduto durante e dopo la distruzione del primo Tempio, mentre le seconde – quelle di cui stiamo trattando – riguardano ciò che è accaduto dalla distruzione del secondo Tempio, in avanti. Non c’è dubbio che parole così dure, addirittura peggiori di quelle che troviamo nella parashà di Bechuccotai, debbano farci riflettere, perché avveratesi quasi minuziosamente; d’altra parte, ciò che segue non è altri che una sorta di consolazione e ricompensa, per aver saputo accettare, nel corso dei secoli, ciò che ci è capitato, senza mai allontanarci dalla fiducia nei Suoi confronti.
Per poter spiegare in modo più chiaro, potremmo riprendere il primo verso del capitolo 40 del libro di Isaia (haftarà che leggiamo il sabato dopo il digiuno del 9 di Av) che dice:
“Consolate Consolate il mio popolo dice l’Eterno. Parlate al cuore di Gerusalemme e ditele chi si è completata la sua colpa, ricevendo dalla mano del Signore (una punizione) doppia rispetto alla sua colpa. Per questo motivo, anche la consolazione (il premio) sarà doppio.
Shabbat shalom