Il ratto di Dinah nell’interpretazione di Sh. R. Hirsch
Al centro della Parashat Wayishlach di questa settimana si colloca l’episodio del ratto di Dinah (Bereshit cap. 34). Ripercorreremo i fatti con l’ausilio del commento di Shimshon Refael Hirsch, che ci sembra particolarmente significativo nel fornirci una ricostruzione utile anche a comprendere l’attualità. La figlia di Ya’aqov, uscita “a vedere le ragazze del paese”, fu notata da Shekhem figlio di Chamor che la rapì e la violentò. Egli era il “principedel paese”, dal quale la città prese il nome e gli abitanti dipendevano interamente da lui. Shekhem si innamorò di Dinah e disse a suo padre, con piglio da dittatore: “Prendi per me questa bambina in moglie”: “in fin dei conti, lei era solo una ragazza ebrea straniera”! Venuto a sapere dell’accaduto, Ya’aqov tacque, in attesa del ritorno dei figli dal pascolo. “Il silenzio di Ya’aqov mostra come egli fosse già fin troppo consapevole quanto sarebbe caduto nel vuoto un appello alla giustizia e ai diritti umani: l’unica soluzione passava attraverso qualche ricorso alla forza che poteva realizzarsi solo per mano dei giovani”.
Questi furono presi da due sentimenti: la tristezza per aver comunque perduto qualcosa, anche se fossero poi riusciti a riavere la sorella e l’indignazione per il fatto che era stata violata, trattata come un oggetto senza valore. Ritroveremo la stessa sequenza di sentimenti molto più avanti ad altro proposito quando Yossef, dopo essersi fatto riconoscere dai fratelli, li ammonisce di non lasciarsi prendere nuovamente dalla tristezza e dall’indignazione per il rimorso di averlo venduto in Egitto (Bereshit 45, 5): egli conosceva bene il loro carattere. I Maestri ne evincono ilprincipio generale che la tristezza è negativa proprio in quanto porta ad adirarsi. Ma ora i fratelli “avrebbero dovuto scoprire che vi sono dei casi in cui, per salvare la morale, diviene giocoforza portar via la spada dalla mano di Esaù”.
“Ya’aqov resta in silenzio: sa che il vecchio viene preso in giro se reagisce. Ma anche l’altro padre, Chamor, è consapevole che nessuna compensazione sarebbe stata accettabile per la perdita di una figlia. Ecco perché si rivolse direttamente ai fratelli della ragazza: la sua proposta di creare un’unica famiglia sarebbe stata forse gradita se prima avesse accettato di restituire Dinah e solo successivamente, una volta che essa fosse stata libera, chiederne la mano. Ma trattare con il padre e i fratelli mentre essa era ancora tenuta in ostaggio significava niente più che tentar di dare una veste legale pro forma al rapimento e allo stupro compiuti”.
“I figli di Ya’aqov risposero prima del padre, sapendo che si sarebbero espressi non proprio in sintonia con i valoritradizionali ebraici di onore e onestà. Se macchia ci fosse stata, sarebbe ricaduta solo su di loro. Non ebbero esitazione: sapevano di avere a che fare con ‘colui che aveva reso impura Dinah’”. Misero come condizione la circoncisione di tutti gli abitanti di Shekhem. “Non avevano alternative: o questi avrebbero rifiutato e ciò appariva assai probabile, oppure, se si fossero sottomessi alla richiesta, la posizione di debolezza in cui si sarebbero trovatiavrebbe reso possibile ai fratelli la liberazione della sorella: pur di salvarla da una situazione così vergognosa, qualsiasi mezzo era legalmente permesso”.
“Appare straordinario che un’intera città di liberi cittadini potesse accettare di sottoporsi alla circoncisione affinché il capo potesse ottenere Dinah!” Per indicare gli abitanti è qui adoperata un’espressione particolare. Invece che essere chiamati “coloro che convengono alla porta della città” (cfr. Bereshit 23, 11 e 48), il versetto adopera quidue volte l’espressione inversa: “coloro che escono dalla porta della sua città”. “Ci vuol far capire che gli abitanti di Shekhem erano per lo più campagnoli, contadini, viventi fuori città. Chamor e suo figlio Shekhem erano proprietari di tutto il distretto e i loro sudditi dipendevano interamente da loro, forse erano loro vassalli in unregime feudale e certamente erano avvezzi a dure misure”.
“Ora comincia la parte più biasimevole del racconto, che non possiamo scusare in alcun modo. Se i fratelli si fossero limitati a uccidere Shekhem e Chamor nessuno avrebbe avuto nulla da dire. Ma essi se la presero con tutta la popolazione, costringendola a pagare per il crimine del feudatario. La ragione è racchiusa nella risposta che essi fornirono: ‘Forse che costui ha il diritto di trattare nostra sorella come una prostituta?’ Mai l’avrebbe fatto se non si fosse trattato di una ragazza ebrea straniera! “Vi sono tempi in cui la famiglia di Ya’aqov deve afferrare la spada per difendere l’onore delle sue donne. Lo scopo dei fratelli era rendersi temibili affinché nessuno osasse più ripetere un simile atto criminale. In ogni caso si spinsero troppo lontano, vendicando su gente innocente il male che i potenti avevano commesso”.
Brandendo talvolta la spada di Esaù serve a dimostrare che “se siamo divenuti la più misericordiosa delle nazioni non è per debolezza, paura o codardia da parte nostra… La nostra umanità e mitezza sono frutto dell’educazione che D. ci ha impartito attraverso la nostra storia e dandoci la Sua Torah. Sono solo i mezzi di cui i fratelli si sono serviti a renderli degni di biasimo, essendosi spinti troppo in là… D’altro lato il loro spirito temerario, costantemente conscio del proprio valore e dell’alto destino di Israele, deve comunicare all’intera nazione il proprio effetto di vitalità, sostegno e salvezza… Non perché noi siamo i più piagnoni fra le nazioni, al contrario, proprio perché siamo i meno arrendevoli, i più ostinati D. ci ha prescelto come Suo strumento e ci ha forgiato affinché divenissimo l’acciaio più duro, più durevole. E dopo averci sottomesso al Suo volere fossimo in grado di dimostrare a tutti la potenza meravigliosa del Suo dominio e della Sua Torah”.