C’è una parte del nostro corpo che non ha alcuna vitalità, salvo quella di crescere costantemente. Eppure, ha un valore simbolico fortissimo: la barba. Molti Rabbini hanno la barba e qualche volta… la fanno venire agli altri. Qual è il segreto della barba?
Devarim 31,1: “E andò Moshe e disse queste parole a tutto Israel”. Con questo versetto esordisce la Parashah odierna, Wayèlekh. Dove andò –si interrogano i commentatori-? Il Targum Yonatan, una delle antiche traduzioni aramaiche della Torah, integra il testo e dice: “Andò alla casa di studio” per ammonirli. Da qui impariamo due cose. La prima è l’importanza della Tokhechah, in base al versetto: “Ammonisci il tuo prossimo e non portare trasgressione su di lui (o: per causa sua)” (Wayqrà 19,17). Ciò vale soprattutto nei Dieci Giorni Penitenziali. Le iniziali dell’espressione con cui tutti noi ci facciamo gli auguri: Le-Shanah Tovah Tikkatevu (“siate iscritti in un anno buono”) hanno lo stesso valore numerico della parola Tokhechah. A significare che la bontà dell’anno entrante è direttamente proporzionale alla nostra capacità di risvegliare la Teshuvah nostra e degli altri. La seconda cosa che impariamo è che la Tokhechah, per essere efficace, deve passare attraverso lo studio della Torah. Ciò apre lo spazio ad ulteriori considerazioni.
Qohelet 9,7: “Va’, mangia con gioia il tuo pane e bevi con cuore buono il tuo vino, perché H. ha gradito le tue azioni”. A questo versetto si ispira, come è noto, l’uso piemontese di rompere il digiuno mangiando la bruscadella (pane macerato nel vino) terminato Yom Kippur. Ma esso rimanda a qualcosa di molto profondo. Abbiamo nel nostro corpo due organi che, a differenza di tutti gli altri, non vanno mai a dormire: il cuore e il cervello. Il cuore continua a palpitare anche nel sonno e il cervello ci permette di sognare. Ogni mattino presto essi danno, per così dire, la sveglia agli altri, dicendo: “svegliatevi, che è tempo di servire il Creatore”. Per questa ragione appena alzati noi indossiamo i Tefillin, proprio in corrispondenza del cuore e del cervello. Questi sono rispettivamente preposti a due funzioni fondamentali per recare un buon servizio al Creatore. Non è un caso che la somma del valore numerico di entrambi, Mòach e Lev, dà quello della parola Eloqim, nome di D. Il cervello è sede della Machshavah (“pensiero”), mentre il cuore è preposto alla Kawwanah (“intenzione”). Il cervello è attivo attraverso lo studio, la Chokhmah (“sapienza”), mentre il cuore spinge attraverso il sentimento. Lo Zohar spiega che cervello e cuore ka-chada nafqin we-ka-chada sharayin (“escono insieme e operano insieme”): sono entrambi indispensabili alla nostra vitalità. Per questo è scritto: “Va’, mangia con gioia il tuo pane e bevi con cuore buono il tuo vino, perché H. ha gradito le tue azioni”. Se noi anagrammiamo le lettere che formano la parola be-simchah (“con gioia”) in Machshavah (“pensiero”) il quadro si completa e si chiarisce. La prima parte del versetto si riferisce al cervello, la seconda letteralmente al cuore.
Avòt 3,11: R. Chaninà figlio di Dossà soleva dire: “Colui nel quale il timor del peccato preceda la sapienza, la sua sapienza si mantiene; ma colui nel quale la sapienza precede il timor del peccato, la sua sapienza non si mantiene”. 2,5: (Hillel) soleva dire: “L’incolto non può essere temente del peccato”. La domanda è peraltro la seguente: uno dei due, cuore e cervello, precede l’altro? Se sì, quale? Se giudichiamo dall’ordine in cui indossiamo i Tefillin al mattino, dobbiamo dedurre che il cuore (rappresentato dai Tefillin del braccio) precede il cervello. L’approfondimento razionale, lo studio della Torah, non può che venire un attimo dopo l’ esprit de finesse, rappresentato da un moto del cuore. E’ il cuore a dettare l’intenzione, a indicare la via in prima istanza. Se non ci fosse la spinta nella giusta direzione, lo studio potrebbe persino non avere alcun senso. E questa direzione è data dal cuore. Il cuore ci ispira la gioia di servire H., ma anche il Timore di Lui, inteso non nel senso di timore della punizione (yir’at ha-‘ònesh), ma nel senso di Timore reverenziale della Sua grandezza. (yir’at ha-romemùt). E’ questo il significato delle parole na’asseh we-nishmà’ (“faremo e ascolteremo” – Shemot 24,7) che i nostri Padri pronunciarono alle falde del Monte Sinai. L’impegno di aderire alla Torah e alle Mitzwòt è stato un atto istantaneo, immediato. La disponibilità a studiare e approfondire è stata una mediazione successiva. Per questo i nostri Maestri spiegano nei Pirqè Avòt che solo colui nel quale il Timore di D. precede la sapienza, vedrà la propria sapienza mantenersi e dare i suoi frutti. Ma è anche vero che il cuore non può agire senza l’intervento del cervello. Se il cuore ci guida, il cervello ha il compito di concretizzare la spinta del cuore in una scelta motivata. Per questo troviamo anche l’ammonizione inversa: “L’incolto non può essere temente del peccato”.
Questa dualità ci aiuta a rispondere a una domanda. Perché c’è bisogno di due feste di pentimento, Rosh ha-Shanah e Yom Kippur? I due momenti sono legati alle due funzioni di cui si è parlato. Entrambe hanno la loro Teshuvah. A ben vedere, nella Tefillah di Rosh ha-Shanah non si parla di trasgressioni commesse, né si chiede mai direttamente il perdono. Essa è piuttosto incentrata sul riconoscimento della sovranità di H., della Sua Qedushah e del Suo ruolo di Creatore e di Giudice supremo di tutte le Creature. E’ la Teshuvah del cuore. Il cuore non concede spazio all’analisi, ma solo all’infatuazione e all’accettazione fedele. L’analisi, la riflessione e la ponderazione delle colpe sono lasciate a un secondo momento. Yom Kippur è il momento della Teshuvah del cervello. E’ peraltro vero che la Teshuvah del cuore contiene già riferimenti espliciti al suo esimio collega. Se non altro nel nome, Rosh ha-Shanah allude parimenti alla testa. Compito del buon Ebreo è verificare che testa e cuore siano in lui ben collegati prima di pensare, parlare e agire. A questo punto comprendiamo meglio il significato della barba. Spiega lo Zohar che la barba ha la funzione di collegare la testa e il cuore…
Sanhedrin 108a: “Benché la generazione del Diluvio abbia commesso ogni sorta di trasgressioni, la loro punizione è stata decretata per il furto”. Esistono aspetti del comportamento che mettono a dura prova persino quelle persone in cui cuore e cervello sono effettivamente ben collegati. Si tratta di situazioni nelle quali sia il sentimento che il ragionamento concorderebbero nel concederci licenze a prima vista innocue, ma che a cose fatte si rivelano comunque perniciose per noi stessi e la Comunità. I ns. Maestri mettono assai l’accento sullo spirito della Torah oltre alla lettera. Vorrei studiare con Voi alcune Halakhòt sui rapporti interpersonali che il Ben Ish Chay di Baghdad (anno I, P. Ki Tetzè, 7-15) ci insegna e che meritano qualche riflessione:
- E’ proibito rubare qualsiasi cosa, anche minima, sia a ebrei che a non-ebrei, sia a maggiorenni che a minori. Ciò persino nel caso che i non-ebrei ci abbiano fatto soffrire in precedenza. Il furto a danno dei non ebrei è ancora più grave, perché certamente essi non sono disposti a condonare (cfr. Bavà Qammà 113b). Inoltre c’è il rischio di ritorsioni per contrappasso.
- Sebbene un valore infinitesimale non sia considerato moneta e, qualora rubato, non rientri formalmente nell’obbligo di restituzione, vale la regola per cui “anche la metà del minimo sanzionabile è comunque proibita dalla Torah” (Yomà 73b, Chullin 98a). Pertanto, sebbene si sia soliti condonare un furto del genere è buona norma risarcire lo stesso. Colui che entra in casa altrui e sottrae una stecca dalla scopa o dal ventaglio fatto di foglie di palma con cui ci si fa vento durante l’estate, sebbene la stecca abbia di per sé un valore trascurabile, di fatto reca danno alla scopa o al ventaglio e ciò dispiace certamente ai padroni di casa. E se la cosa dovesse succedere al BHK, chi avrebbe l’autorità di condonare? (Incidentalmente, il furto commesso dalla generazione del Diluvio era di questa sorta. Ricevettero una punizione assai peggiore di quella che la Torah prevede per il furto “convenzionale”!)
- Nella nostra città vi è l’uso che le donne che portano lo yogurt da vendere al mercato permettano ai clienti di assaggiarlo prima di comperarlo. Ci sono peraltro persone che pur non avendo nessuna intenzione di acquistarlo si fingono clienti e pretendono di assaggiare tutti i recipienti dicendo, dopo ogni assaggio, che il prodotto non è di qualità. Costoro non solo compiono un furto materiale nell’assaggiare lo yogurt, ma commettono Ghenevat Da’at (“circonvenzione”, lett. “furto della mente”) ai danni delle venditrici. Sebbene infatti il quantitativo di yogurt sottratto sia trascurabile, le venditrici lo condonano solo a chi poi lo acquista.
- Se avviene uno scambio di soprabito al BHK o in altro luogo pubblico la regola è la seguente. Se è stato lasciato uno vecchio al posto del nuovo chi trova il vecchio può adoperarlo anche se non gli appartiene. Ma se è stato lasciato uno nuovo (o comunque migliore) al posto del vecchio o se i due soprabiti hanno lo stesso valore si deve senz’altro supporre che si sia trattato di un errore. Pertanto chi trova il soprabito non suo in questo caso non potrà adoperarlo. Dovrà invece tenerlo con sé finché avrà rintracciato il proprietario.
- E’ proibito mescolare di proposito frutta marcia, sia pure in piccole dosi in modo che non sia più riconoscibile, in un grande quantitativo di frutta buona allo scopo di venderla tutta per buona. Se però nella frutta è già frammischiato dello scarto o del terriccio per vie naturali non c’è l’obbligo di eliminarlo per forza.
- Non si possono ingannare gli altri neppure in quelle situazioni che non comportano perdita economica, al solo scopo di ricevere un ringraziamento per favori che in realtà non sono mai stati compiuti. Pertanto, non è lecito insistere nell’invitare a pranzo qualcuno di cui si sa in partenza che non ha alcuna intenzione di accettare l’invito.
- Come c’è Onaah (“torto”) nelle compravendite, così c’è Onaah nelle parole (cfr. Wayqrà 25, 14 e 17). Anzi, quest’ultima è più grave, perché non si presta ad alcuna compensazione. Colui che apostrofa l’altro con un nomignolo allo scopo di fargli provare vergogna, sebbene quest’ultimo sia abituato a sentirlo, trasgredisce il divieto di Onaah nelle parole.
- Qualsiasi cosa sia ritenuta ributtante in casa propria non deve essere consentita sulla pubblica via. Il titolare di un cantiere, anche se è autorizzato a lasciare i materiali da costruzione su suolo pubblico, deve sgomberare al più presto quelli che non gli servono più. Nel Talmud (Bavà Qammà 50b) si racconta di un uomo che sgomberava pietre dal suo cortile e le gettava sulla strada. Un pio che passava gli disse: “Perché sgomberi da una proprietà non tua alla proprietà tua?” L’uomo gli rispose con scherno: “Al contrario: il cortile da cui sgombero è mio, mentre la strada no”. Non passò molto tempo che l’uomo fu costretto a vendere il cortile. Gli capitò di passare per quella strada, inciampò in una delle pietre che aveva lasciato e cadde. Disse: “Quel pio aveva detto giusto”.
- Scrive R. Eli’ezer Papo, Pele Yoètz s.v. Rosh ha-Shanah: “Rosh ha-Shanah è il grande Giorno del Giudizio, nel quale il Re regge tutta quanta la terra mediante la giustizia e tutti gli uomini passano davanti a Lui come i capi di un gregge. “E per quanto riguarda le nazioni in esso verrà deciso quale sia destinata alla guerra e quale alla pace, quale alla fame e quale all’abbondanza, mentre gli individui vengono esaminati per essere a loro volta destinati chi alla vita e chi alla morte”, come si dice proprio nel Mussaf di Rosh ha-Shanah. E anche chi non si cura di temere D. tutti gli altri giorni, chi non ne avrà Timore oggi? Come diceva il Profeta Amos (3,6): “Forse che suonerà lo Shofàr in città senza che la gente tremi?” Dal momento che l’uomo è avvolto nella materia, assomiglia a chi tiene gli occhi chiusi e siede in una stanza buia (il mondo che è scuro per lui). Costui ha bisogno di due cose: che apra gli occhi e gli si rechi un lume, perché una sola delle due non basta. Ma una volta che gli si rechi il lume, sebbene abbia ancora gli occhi chiusi un po’ di luce la avverte comunque. E sarà tanto più intensa la luce da lui avvertita quanto più avrà aperto gli occhi… Che cosa ha fatto il S.B. per rendere meritevole il popolo d’Israele? Gli ha dato i Mo’adim, attraverso i quali Egli irradia su di noi la Sua luce”. Questi sono squarci di luce in un mondo buio: sta a noi, a questo punto, aprire gli occhi!