I nostri Maestri si sono ripetuti questa domanda molte volte da quando è stata messa per iscritto alla fine del trattato Horayyot del Talmud Babilonese. E’ preferibile come leader comunitario un grande studioso in grado di padroneggiare le fonti del sapere per esteso (e perciò soprannominato “Monte Sinai”, perché la sua preparazione abbraccia tutta quanta la Torah per intero) o un fine dialettico, capace piuttosto di analizzare i testi in profondità e di“scardinare montagne” (’oqèr harim) con il suo ragionamento?
La risposta è contenuta negli scritti del Rabbino Josef Colon Trabotto, tuttora studiati nelle accademie talmudiche di ogni parte del mondo[1]. Detto con il suo acronimo Mahariq, visse fra il 1420 ed il 1480 circa. Nato a Chambery in Savoia fu poi Rabbino in Italia, prima a Savigliano[2], successivamente in altri centri (Piove di Sacco, Mestre, Bologna, Mantova) e infine a Pavia.
Creò un centro di studi di rinomanza internazionale: personalità rabbiniche di spicco dalla Germania, dalla Turchia e dalla stessa Italia venivano a consultarlo. I suoiResponsa rituali e giuridici, raccolti dopo la sua morte e più volte ripubblicati[3], sono caratterizzati dal fatto che non solo forniscono una risposta molto precisa sui casi in questione, ma anche si soffermano sui principi generali sui quali il Maestro ha basato la sua decisione. Mahariq sostiene che il Rabbino di Comunità e il capo di una Yeshivah rispondono a ruoli differenti e giunge alla conclusione che quello di “scardinatore di montagne” si addice piuttosto al Rosh Yeshivah, mentre il leader comunitario deve conoscere a menadito le regole e le sentenze da applicare.
“Il pilpul (disquisizione casuistica) è un traguardo molto importante da raggiungere – scrive –, ma la conoscenza estensiva del diritto lo è ancor di più. Ed è fin troppo evidente che per il Rabbino di Comunità la conoscenza per esteso è assai più essenziale di quella in profondità” (n. 169).
Da: Shulamit Furstenberg Levi (cur.), “Il contributo culturale dell’ebraismo italiano”, in onore di Rav Joseph Levi, Pontecorboli, Firenze, 2018, p. 10-11.
[1] Cfr. J.R. Woolf, Rabbinic Culture in 15th Century Piedmont, in “Ebrei Piemontesi: The Jews of Piedmont”, Yeshiva University Museum, New York, 2008, p. 41-47; A. Somekh in“La Rassegna Mensile d’Israel” 60 (1993), p. 177-186.
[2] Cfr. Resp. n. 69 e n. 149. Secondo R. Segre la sua presenza può essere data per certa in Piemonte negli anni successivi al 1450 (The Jews in Piedmont, The Israel Academy of Sciences and Humanities, Jerusalem, 1986, vol. I, p. XLIII, n. 86).
[3] La prima edizione è di D. Bomberg, Venezia, 1519, seguita da quella di V. Conti, Cremona, 1557. Si veda in particolare la più recente edizione Shu”t Mahariq ha-Shalem a cura dei Rabb. S.B. Deutsch e E. Schlesinger, Oraysoh ed., Jerusalem, 5748.