Un proverbio particolarmente vicino alla nostra epoca, ma assai antico suona con le parole: “l’abito non fa il monaco”, usato per indicare che molte volte una persona ci appare in modo opposto a come realmente è.
La Torà però, con la parashà che leggeremo questo shabbat, testimonia esattamente l’opposto di ciò che abbiamo detto nel commentare il proverbio; potremmo dire quindi che l’abito fa il Cohen e addirittura fa il Cohen gadol.
I cohanim semplici indossavano, durante il servizio al Tempio quattro abiti, mentre il cohen gadol ne indossava otto.
Addirittura la Torà, descrive con una accuratezza, quasi maniacale i vari tipi di abiti sacerdotali.
I vestiti sacerdotali, rendevano costoro distinti dal resto del popolo, dando loro una diversa sacralità, onore e regalità.
La grandezza della Torà fa sì che, essendo questa una parashà dedicata esclusivamente ai cohanim ed ai loro abiti, non viene mai, nemmeno una sola volta menzionato il nome di Mosè, il quale non ha questo incarico, bensì suo fratello Aharon.
Da molti secoli, vi era l’uso che, con il comparire delle sinagoghe che sostituisrono il Tempio di Gerusalemme , anche se le mansioni erano diverse, coloro che avevano incarichi nel suo ambito, indossavano degli abiti particolari.
Mi riferisco ai rabbini, agli ufficianti-chazanim e agli inservienti-shammashim, che, grazie ai loro abiti di “servizio” venivano distinti per le loro mansioni e quindi facilmente riconoscibili.
I rabbini e i chazanim venivano riconosciuti in mezzo al pubblico ed era a loro che costoro si rivolgevano, per spiegazioni o assistenza “religiosa” durante il servizio sinagogale; mentre agli inservienti-shammashim, per assistenza tecnica.
Entrando quindi in una sinagoga era facilmente riconoscibile chi e quale funzione svolgeva all’interno di essa, in modo da facilitarne lo svolgimento delle tefillot.
Oggi purtroppo, con l’abbattimento di ogni segno di riconoscimento, non vi è più ordine e distinzione tra i ruoli; uno dei commenti che si ascoltavano quando si vedeva un rabbino o un chazan che indossava gli abiti di servizio era: “sembra un prete” e molte volte si cadeva nell’errore di paragonare i rabbini ai preti.
Tutt’altro; in quanto gli abiti sinagogali sono o erano più paragonabili a quelli dei giudici e dei magistrati, in quanto la funzione del Rav in tevà era esattamente quella di un giudice.
Come avviene per ogni tipo di disciplina o di incarichi, anche quello dei cohanim richiedeva la “divisa” di lavoro “bighdè kodesh-abiti distinti” “le chavod ultifaret – per l’onore e la regalità”.
Shabbat shalom