Il Devar Shemuel (sheelàh 84) descrive il caso di una comunità che ha solamente un ramoscello di mirto kasher per fare la mitzwàh del lulav il primo giorno di Sukkoth. La domanda è se in questo caso si mette in pratica la mitzwàh del lulav o meno. In realtà la penuria di specie in certi momenti non doveva essere rara: il Ramà (Orakh chayim 649, 6) riporta varie halakhot in merito. Lo Shulkhan ‘Arukh parlando di questi casi si riferisce allo sha’at ha-dechaq, e scrive che si usano specie non kesherot senza recitare berakhàh.
Come intendere lo sha’at ha-dechaq? Quando non ci sono 4 specie adatte in tutta la città, ma se qualcuno le ha non è considerato sha’at ha-dechaq, e deve cercare di fare la mitzwàh con le specie del suo compagno se è disposto a dargliele, altrimenti compie i ni’nu’im con le specie che ha se non gli è possibile fare la mitzwàh con quelle del suo compagno. L’unico aspetto di invalidità sul quale i poseqim si mostrano concordi è la secchezza della palma, mentre altri, senza entrare nel dettaglio, sono dibattuti. Il Ramà permette persino di recitare la berakhàh in questo caso, anche se ce ne sono di freschi. Sulla misura della secchezza discutono lo Shulkhan ‘Arukh ed il Ramà: per il primo è sufficiente che la palma abbia perso la sua verdezza (645,5), mentre per il secondo deve frantumarsi con le unghie. Per il mirto invece il criterio è quello della perdita della verdezza. Un caso non chiarito nello Shulchan ‘Arukh è quello in cui in cui si hanno delle specie non kesherot ed il suo compagno, che le ha, ha garantito che gli darà il lulav dopo l’hallel. La domanda riguarda la possibilità di usare il lulav non kasher senza recitare la berakhàh durante l’Hallel in attesa di riceverlo dal compagno; dopo si potrà recitare la berakhàh per il lulav del suo compagno, o attraverso i primi ni’nu’im non si potrà più recitare la berakhàh? La Mishnàh Beruràh (649, 59) propende per la seconda ipotesi.
Tornando alla nostra domanda sul mirto, il Devar Shemuel scrive che questa regola è dibattuta, e per spiegarla riporta il Maghid Mishnèh al settimo capitolo della Hilkhot Lulav del Rambam. Su questo punto infatti nella mishnàh (Sukkàh 34b)discutono R. Yshma’el e R. ‘Aqivà, e la ghemarà riporta un’affermazione di Shemuel secondo cui la halakhàh segue l’opinione di R. Tarfon, che vedremo fra poco. Per R. Yshma’el sono necessari tre ramoscelli di mirto, mentre per R. ‘Aqivà ne è sufficiente uno. La maggior parte dei Rishonim fra cui i gheonim, il Tur ed il Rambam sostengono l’opinione di R. Yshma’el, mentre il Ramban e altri acharonim la pensano come R. ‘Aqivà. Rispetto ad un’altra discussione, sul ramo di mirto qatum (si intende che il ramo si è spezzato in cima, e non si intende che manca la foglia in cima – Ramà 646,10) il Ramban è facilitante e sostiene l’idea di R. Tarfon. Il Maghid Mishnèh nota che dall’espressione di R. Tarfon, che ritiene che anche se tutti e tre i rami fossero qetumim si esce d’obbligo, possiamo ritenere che anche secondo R. Tarfon siano necessari tre rami. Il Ramban ritiene invece che R. Tarfon non entri nella discussione sul numero dei rami, ma voglia solamente contestare R. Yshma’el sulla regola del qatum, e utilizza pertanto le categorie concettuali di R. Yshma’el. Ne consegue che secondo il Ramban con un solo di ramo di mirto qatum a posteriori si è compiuta la mitzwàh del lulav, anche se non si è compiuta nel modo migliore. Lo stesso, che è sufficiente un ramoscello di mirto, emerge dal commento di Ramban a Vaiqrà e dal Targum Onqelos. Del medesimo parere numerosi altri rishonim, fra cui il Raavan, il Rahaviàh, l’Or Zarua’, il Mordechayed il Ritvà (riportati in Yabia’ Omer Orach Chayim 8,52). Il Ritvà in particolare accetta le facilitazioni di R. ‘Aqivà e R. Tarfon, quindi se non si trova di meglio anche un ramo di mirto qatum.
Il Devar Shemuel, citato anche nello Sha’arè Teshuwàh (651,1), conclude che nel nostro caso la cosa migliore è quella di prendere il ramo di mirto assieme alle altre tre specie del lulav, per mettere in pratica la mitzwàh misafeq. In ogni modo nel nostro caso specifico è bene non recitare la berakhà per due motivi: a) perché la mancata recitazione della berakhàh non inficia l’esecuzione della mitzwàh; b) quando c’è un dubbio sulle berakhot si è facilitanti, e pertanto non si recita la berakhàh. Rispetto al medesimo caso Yeshu’ot Ya’aqov (651,1) ed il Perì Megadim sostengono che se si ha un ramo di mirto non qatum, si recita berakhàh, se è qatum no. Rav Ovadià Yosef nella teshuwàh citata sostiene che in caso di dubbio se recitare o meno una berakhàh si è facilitanti. Altri poseqim riportati nel Perot ha-ilan ritengono che secondo il Ramà si debba recitare berakhàh in questo caso: infatti se manca del tutto una specie si fanno i ni’nu’im senza recitare la berakhàh, e non sarebbe comprensibile perché riportare il caso di una persona che ha solamente un ramoscello di mirto, se non per dire che in questo caso al contrario del precedente si recita la berakhàh, come emerge dall’opinione del Ramban.