LA STRANA COPPIA
Aldo Torchiaro
La sinistra e’ per vocazione democratica e progressista. Lo e’ per antonomasia e per definizione. E’ l’istanza della partecipazione diffusa, della presa di posizione come lotta contro le ingiustizie. “Vivere”, ha insegnato Gramsci, “e’ essere partigiano” : prendere le parti dei soggetti deboli, il cui rafforzamento dei diritti e’ condizione imprescindibile di affrancamento e di progresso sociale. Alla realizzazione di questo sogno, l”utopia possibile”, alcune tra le migliori menti del XX secolo hanno dedicato l’esistenza. Il portato ideologico del passato doveva trasmettere alle nuove generazioni quella volonta’ di progresso, di solidarieta’, quel bisogno di uguaglianza sul piano dei diritti ed insieme l’ estensione dell’idea di liberta’ individuale e collettiva, che oggi sarebbe lecito aspettarsi da un moderno impianto socialdemocratico.
Le battaglie, su scala mondiale, non mancherebbero: la difesa del lavoro, l’accesso ad uguali opportunita’ per tutti, quella della liberta’ di espressione, le legittime aspirazioni delle minoranze, quelle delle donne, dei gay, l’idea che il consesso civile non sia regolabile solo con lo strumento finanziario del capitale ma anche con l’interagire solidale che rende prezioso ogni individuo, ogni soggetto nell’insieme. Si ha invece l’impressione che la sinistra abbia nel complesso un atteggiamento assente e preferisca un basso profilo identitario, piegato ad un pietismo peloso e grossolano, un insieme raffazzonato di buone intenzioni e referenti imbarazzanti. Cosi’ nel caso del diffuso fascino che l’Islam tutto esercita su coloro che amerei poter definire “progressisti”, cosi’ nella curiosa vicinanza che lega le sinistre europee ai piu’ violenti ed arroganti rais del mondo arabo, cosi’ nel conflitto israelo-palestinese, dove la propensione per il fronte della Sharia –e degli islamikazi- e’ sconcertante, contro un’isolata democrazia israeliana.
Viene spontaneo domandarsi “Come mai ?”. E’ come se la sinistra europea delegasse ad una sfera transnazionale di istanze pseudo-libertarie, variamente assortite e non prive di una qualche carica neo-romantica, il proprio stesso affrancamento da un certo grigiore. La zona d’ombra dell’aridita’ intellettuale e della sterilita’ di iniziativa in cui i funzionari di una corporazione politica autoreferenziale l’hanno cacciata.
E’ come se ad un vuoto di idee si tentasse di rispondere con l’importazione di un vissuto altrui, la cui complessita’ e’ tradotta e riadattata, quale affascinante realta’ di un mondo altro dal nostro, di cui invaghirsi piu’ per compensare l’horror vacui che per il valore di quelle realta’ stesse.
Ecco che la sinistra europea si innamora dell’Islam. Lo fa per lo piu’ in modo indiscriminato, diffuso. Ci si mette dalla parte dell’Islam senza se e senza ma. Viene sancita una fraternita’ senza discussioni. Si sposano cause di “popoli oppressi” (giusto!) ma il volto dell’oppressore non assume in nessun caso i connotati dei despoti del luogo: a produrre ingiustizia, a causare sperequazioni, e’ sempre e soltanto il mondo occidentale. In questa logica manichea, in una analisi che scansa qualunque idea di real-politk, quanto piu’ si e’ radicali tantopiu’ si ha la possibilita’ di apparire vincenti.
Questo dissennato amalgama ha i suoi campioni. Garaudy, vicesegretario del Partito Comunista Francese, si converte all’Islam e, perdendosi nell’ antisemitismo, finisce col sostenere che la Shoah non ha mai avuto luogo. L’apoteosi della circolarita’ viziosa di un percorso inquietante, senza essere un caso isolato. Il terzomondismo, il solidarismo tout-court della vecchia Internazionale torna a vivere quando abbranca intorno a se’ tutte le istanze dei paesi islamici, soi-disant miserrime terre sfruttate, scorticate nell’anima dal neo-colonialismo capitalista, imperialista, occidentale.
In questi paesi, paradossalmente, una persona di sinistra non potrebbe neanche esprimere pubblicamente il proprio pensiero. Nella realta’, Islam e progressismo sono un ossimoro: due concezioni opposte, antitetiche e incompatibili. La negazione pressoche’ totale dei diritti umani in larga parte del mondo arabo dovrebbe portare la sinistra ad alzare barricate. Al contrario, negando se’ stessa, questa nouvelle gauche dimentica alcune cose, e ne esalta altre. Rinnegando la propria natura, la sinistra prende a braccetto i piu’ efferati dittatori del pianeta. Ayatollah ed Imam, gerarchi militari, colonnelli golpisti, tutti ferventi applicatori, con la Sharia, della pena di morte, della censura, della discriminazione razziale, del piu’ becero maschilismo, dell’omofobia… Gli esecutori di dettami liberticidi, di precetti ultraortodossi, di pratiche disumane come le torture, la lapidazione, la mutilazione degli arti, l’infibulazione. Guide spirituali che accentrano ogni potere, incluso quello di vita e di morte sul popolo loro sottomesso. Petrolieri dalle ricchezze infinite e incalcolabili, sceicchi dalle inimmaginabili fortune che pure lasciano divorare la propria gente dalla miseria, generando risentimento e indignazione pronti da indirizzare a occidente. Questi sono gli amici della sinistra europea. Nomi sui quali dovrebbero indagare tribunali internazionali, e sulle cui biografie piene di ombre si preferisce invece soprassedere. Nel mondo islamico l’arretratezza volontaria, l’incuria sanitaria, il divieto di circolazione delle informazioni e delle idee (in molti paesi e’ esplicitamente vietata la connessione ad internet) sono precise scelte di una classe dirigente da consegnare senza rimpianti alla spazzatura della storia. Di questi personaggi, misteriosamente, la sinistra europea si e’ infatuata, in una crescente “liaison dangereuse” che porta dall’omerta’ alla connivenza, dalla mera compiacenza ad una piu’ colpevole complicita’.
Come persona di sinistra, come laico, come rispettoso del diritto alla diversita’, vivo molto male l’indecorosa commistione di questo ensemble. L’incompatibilita’ culturale e’ stridente. Non posso sostenere una battaglia ideale ed insieme la sua completa negazione: chi lo fa dimostra una disinvoltura che tradisce la disonesta’ intellettuale piu’ assoluta.
Proprio perche’ continuo a sostenere che “vivere vuol dire essere partigiano”, manifesto un disappunto che e’ un grido al tradimento, verso la sinistra alla deriva. Nel mare magnum della fragilita’ politica del nostro tempo, il naufragio identitario della sinistra e’ eclatante.
Non dobbiamo sottoscrivere ciecamente la lista dei paesi che gli americani hanno stilato sotto la voce Asse del male. Dobbiamo dire la nostra, affermare principi, parlare di diritti umani, di difesa della liberta’. Al contrario, stiamo assecondando il nuovo oscurantismo del terzo millennio.
Difendiamo, con quei regimi, i nostri potenziali killer. I nemici giurati dell’idea stessa di democrazia, come partecipazione tra uguali al governo di tutti. Gli affossatori delle istanze egalitarie, cui non voglio rinunciare; i Savonarola del deserto, propugnatori di un fideismo teistico arrogante e impositivo, cui mi relaziono con difficolta’, come per ogni radicalismo religioso e non. L’applicazione della legge coranica, per chi sente intimamente una identita’ laica e democratica, e’ una summa di avversita’ illiberali quali neanche il nazifascismo ha saputo esprimere.
C’e’ un episodio rappresentativo ed esemplare. A Roma, durante l’imponente manifestazione per la pace di febbraio, ho visto sfilare un allegro carro delle associazioni omosessuali, festoso pot-pourri di colori –era la giornata del Rainbow!- che chiedeva nonviolenza e rispetto per ciascun individuo. A seguire, cinquanta metri dietro, uno spezzone del corteo composto da associazioni islamiche dalle sigle poco note, “manifestanti in nome di Allah”, che con tanto di megafono inneggiavano in arabo alla grandezza dell’unico, incontestabile elemento cui dedicano la vita, questo Dio onnipresente, il profeta Maometto, la santita’ dell’Islam. Ho sorriso amaramente pensando all’improbabilita’ di questo strano coacervo, a come incredibilmente decine di gay si stringessero festanti intorno ai loro virtuali killer. Avrei voluto ricordare loro che secondo la legge islamica l’omosessualita’ e’ la peggiore abiezione, e come tale va punita con la messa a morte. Avrei voluto ricordare loro che in paesi moderati e moderni –per l’Islam- come l’Egitto, l’omosessualita’ viene considerata soltanto un reato punibile con il carcere. E che -secondo Amnesty International- non si riesce a sapere quanti gay vengono torturati nelle prigioni di tutto il Maghreb…
Associazioni laiche, pacifiste, nonviolente, femministe, una intera galassia di persone animate dalle idee piu’ ammirevoli e speranzose, finiscono ingenuamente per sostenere sempre piu’ spesso le cause dei loro aguzzini. E’ una gigantesca sindrome di Stoccolma applicata alla politica. Difendiamo la diversita’ di popoli svantaggiati, ma dimentichiamo troppo facilmente che ci sono responsabilita’ precise di chi tiranneggia, furbescamente coperto dal Corano, i propri stessi correligionari.
Tenere a distanza la democrazia e’ l’obiettivo malcelato della quasi totalita’ del mondo islamico. Statistiche recenti, in Francia, hanno emblematicamente dimostrato che la comunita’ algerina in quel Paese, pur sollecitata, non riesce a superare il tabu’ della partecipazione politica, vive con alienazione l’idea di essere chiamata ad esprimersi, a dare un voto, o addirittura ad essere elegibile. Il rogo dei libri di Alessandria, rito rinnovato in questi anni dai Talebani, e’ metaforico di come lo stesso assunto di fondo di questo crescente modus pensandi rifiuti in toto lo scambio delle idee, la dialettica, la pluralita’ culturale.
La sopraffazione dell’uomo sull’uomo, da Platone a Ralf Dahrendorf passando per Marx, non ha mai trovato simpatie dalle nostre parti. Eppure oggi qualcuno stravede per dittatori islamici non proprio imbelli, i cui nomi eppure ricorrono infinite volte nei rapporti delle ong, apolitiche, impegnate per i diritti umani. Si confonde il rispetto per l’alterita’ etnica con l’impunita’ per odiosi tiranni. In certi casi, si fa finta di non vedere quanto sia agguerrito un fondamentalismo diffuso. Si tace troppo spesso quando questo radicalismo sfuma in formule dittatoriali compiute. L’Islam dei nostri tempi e’ in parte affetto dalla malattia dell’estremismo. Nella storia, ci sono state pagine di segno opposto: la storiografia araba ed ebraica ha probabilmente ragione, quando narra la crudelta’ delle Crociate in Terra Santa. Ad oggi la pericolosita’ democratica, il calpestio di diritti inalienabili dell’uomo, e’ pero’ ascrivibile ad una parte del mondo islamico, va detto.
Non e’ possibile dichiararsi estranei dal diritto alla critica di questi nostri vicini di casa. Il mondo e’ uno, ed e’ sempre piu’ piccolo. La bomba demografica e’ una realta’ con cui fare i conti, dal momento che oltre cento milioni di nuovi mussulmani abiteranno in Europa nei prossimi quindici anni. La sinistra dovrebbe ritrovare se’ stessa, il coraggio delle proprie idee, recuperare quel che di buono le lascia in eredita’ il secolo scorso, ricominciare ad esprimersi dicendo con chiarezza che cosa ritiene inaccettabile, nel nuovo mondo, nel nuovo millennio, e su cosa invece pensa di tenere ancora gli occhi chiusi. La base per l’integrazione, per la collateralita’ delle culture, passa necessariamente per la via del confronto.
Roma, 12 marzo 2003