Ricordo una volta tanti anni fa in un’altra città passavo a bordo di un autobus davanti a una scuola l’ultimo giorno dell’anno scolastico. Dal finestrino vidi un gruppo di ragazzi bruciare sul marciapiede i loro libri di testo. Non giudico il gesto. Mi limito a osservare: cosa pensate sarebbe successo se quel giorno fossi sceso dall’autobus e mi fossi rivolto loro dicendo: “Ragazzi, sapete qual è il modo migliore per festeggiare la fine della scuola? Prendere i libri e ricominciare immediatamente… a ristudiarli daccapo!”
Le parole iniziali del Qiddush da Waykhullù a La’assot con cui si è conclusa la lettura del Chatan Bereshit sono 35, come gli anni che sono trascorsi dalla tragica morte di Mikhael Stefano Tachè z.l. Esistono tante forme di Qiddush (santficazione). Pochi come lui hanno avuto il merito di arrivare alla forma più alta, il Qiddush ha-Shem, sacrificando la propria vita.
Esiste una forma intermedia di Qiddush ed è quello che compiamo studiando la Torah. Tornando al Qiddush di Shabbat c’è una regola che dice: eyn Qiddush ellà bi-mqom Se’udah. Il Qiddush può essere recitato solo nel luogo e nel momento in cui si mangia. Non entro ora nei numerosi dettagli pratici. Ma se dopo aver fatto Qiddush decido per qualsiasi motivo di non mangiare subito, o di mangiare da un’altra parte, ecco che sarò tenuto a ripetere il Qiddush un’altra volta. C’è di questa frase un’interpretazione simbolica molto efficace. Il S.B. ha voluto che il Qiddush compiuto attraverso lo studio della Torah venisse da noi eseguito bi-mqom Se’udah, con la stessa parte del corpo con cui mangiamo: la bocca. Come ogni giorno siamo pronti a nutrirci materialmente e a godere del buon cibo attraverso la bocca (e a Roma si mangia molto bene!), sempre attraverso la bocca dobbiamo impegnarci quotidianamente nelle cose spirituali: non solo nella Tefillah, ma anche nello studio della Torah.
Di ciò ci dà due testimonianze l’ultima Parashah della Torah, We-zot ha-Berakhah, in cui Moshe si congeda da questo mondo benedicendo le varie tribù. Parlando dei Leviti dice fra l’altro: “hanno mantenuto il Tuo Patto. Insegnano le Tue leggi a Israele”. Il Midrash spiega che i Leviti furono gli unici a osservare il Patto della Milah sui loro figli durante le peregrinazioni nel deserto, sfidando i pericoli del viaggio. Contemporaneamente ebbero il compito di insegnare la Torah al popolo d’Israele. Il messaggio è chiaro. Oggi che il Bet ha-Miqdash è stato distrutto ciascuno di noi è un po’ Levita e Maestro di se stesso e dei propri figli. Come penso siamo tutti d’accordo sull’obbligo di sottoporre i nostri figli al Berit Milah, così dobbiamo essere altrettanto impegnati nel far sì che i nostri figli ricevano un’adeguata istruzione di Torah.
Gli ultimi versetti della Torah che il Chatan Torah ha letto descrivono la morte di Moshe Rabbenu. Dopo aver parlato del lutto dei Figli d’Israele il racconto si interrompe. Prima di soffermarsi sul ricordo del grande Maestro e sui suoi meriti, il testo fa comparire all’improvviso un altro personaggio: Yehoshua’, il grande Discepolo. Cosa c’entra? Un commentatore spiega che in questo modo la Torah ci vuole insegnare che chi ha lasciato allievi non muore. La sua vita acquisisce un significato eterno.
C’è una sola eccezione alla regola per cui eyn Qiddush ellà bi-mqom Se’udah ed è il caso di colui che recita il Qiddush a beneficio di altri. Egli è autorizzato a farlo anche se non intende partecipare lui stesso al pasto in quel luogo e in quel momento. Fuor di metafora siamo autorizzati a mettere da parte il nostro nutrimento spirituale, lo studio della Torah che intraprendiamo per noi stessi solo se si tratta di dedicarci ad avvicinare gli altri al medesimo studio. L’esempio che il Chatan Torah e suo figlio ci hanno dato questa mattina alternandosi nella lettura della Torah ci fa bene sperare. Che sia un nuovo anno proficuo di studi!