“Vaidom Aharon”…Ed Aharon rimase in silenzio (Vaikra 10,3). La parashà di Shemini ci descrive un momento sconvolgente ma carico di significato: Immersi nella grandissima gioia dell’inaugurazione del Mishkan, le anime dei figli di Aharon salgono in cielo. La reazione di Aharon è disarmante: “Vaidom Aharon”, Aharon rimase in silenzio, Il Gran Sacerdote Tace. Non piange, non urla, non protesta. Un silenzio che risuona più forte di qualsiasi grido. Aharon ci insegna il potere del silenzio dimostrando che talvolta è necessario parlare ma a volte le parole non possono esprimere la profondità dell’anima, mentre il silenzio può. La Torà ci descrive una situazione quasi paradossale: Quando ci si trova nel centro del deserto, chiamato in ebraico Midbar , la cui diversa vocalizzazione può far leggere la parola come Medaber , il parlante, è come se ci si trovasse in un contesto di parole che circonda totalmente il popolo, in questa situazione c’è chi ancora riesce a tacere.
Nella nostra era, un coro incessante di voci riempie ogni istante, ognuno brama di parlare, di gridare la propria opinione al vento, spesso senza prima informarsi né riflettere davvero. Le parole scorrono copiose, pronunciate con leggerezza, troppo spesso prive di sostanza o di vera conoscenza.
L’iniziale uso della Parola nella Torà servì per dare ordine al caos-Tohu Vavohu: “E disse D.o”. Oggi sembra più l’era di una Babele moderna, ognuno parla nella “propria lingua” non riuscendo veramente ad ascoltare e soprattutto a capire l’altro, il rumore sovrasta il significato e la voce saggia rischia di smarrirsi. Chi ancora tenta di ascoltare e di trovare un senso, viene sommerso da un mare di opinioni vuote. Quante volte, di fronte a questo chiasso, ci giunge il desiderio di un momento di silenzio, di una pausa che restituisca peso e dignità ad ogni parola?
Fortunatamente i Chachamim hanno riempito i testi sul valore del Silenzio. “C’è un tempo per parlare ed un tempo per tacere” (Kohelet 3,7), ci insegna Re Shelomò; “L’argine per la saggezza è il silenzio” (Avot 3,13); o come affermava un altro maestro che compare sempre nel Pirkè Avot, Shimon Ben Gamliel, il quale affermava: “Per tutta la vita sono cresciuto tra i Saggi, e non ho trovato nulla di meglio per la persona del silenzio” (Avot 1,17); e continua lo stesso passo affermando: “Chi moltiplica le parole, moltiplica il peccato. Il midrash racconta che al momento del Matan Torah (Dono della Torà) “nessun uccello cinguettava, nessun bue muggiva, e un silenzio assoluto avvolgeva il mondo”: Il deserto, apparentemente vuoto e sterile, si trasformò in un luogo di parola viva perché gli uomini erano pronti ad ascoltare. Anche il profeta Eliyahu scoprì Dio non nel vento impetuoso né nel fuoco fragoroso, ma in una “voce di silenzio sottile” (kol demamah dakah). Questo ossimoro – il suono del silenzio – insegna che Hashem parla nel silenzio del cuore (concetto scritto più volte in Likutè Moharan). In un simile contesto, risuona attuale e urgente l’antica sapienza che ci insegna Aharon, la quale esalta il pregio del silenzio e il valore di ogni parola ben ponderata. Mai come ora abbiamo bisogno di riscoprire quella saggezza secondo cui una parola pensata vale più di mille pronunciate a vuoto dove il silenzio è custode di verità profonde.
Shabbat Shalom