“Shelach lekhà anashim ve jaturu et eretz chena’an – Manda per tuo conto degli uomini che visitino la terra di Cana’an“
Gran parte della nostra parashà narra l’episodio dei “dodici esploratori” inviati a visitare la futura terra di Israele.
In un certo qual modo, leggiamo nel testo una sorta di riconoscimento da parte divina a che vengano mandati dei visitatori in Israele, anche se il testo ci dice “lekhà – per tuo conto”.
Ci si chiede: se è così, c’era anche da aspettarsi che avessero parlato male della Terra stessa.
Nella parashà viene scambiato il verbo “la-tur” che significa “visitare” con “le-raghel” che vuole invece esprimere il senso di spiare.
I dodici meraghelim dovevano invece essere tajarim; approfittando però dell’incarico affidatogli da Moshè, vanno ad addentrarsi nelle parti più deboli e intime del Paese e per questo ne parlano male.
Tutta la parashà gira attorno all’equivoco, tra l’incarico ricevuto di visitare la terra e quello di approfittare del ruolo, per poi criticarla, infondere paura e incertezza in mezzo al popolo che, perdendo la fiducia in D-o inizia a vacillare e a rimpiangere l’Egitto. Si dice che la paura è originata dalla non conoscenza; nel nostro caso invece, se il popolo non avesse saputo troppo avrebbe sicuramente avuto più fiducia in D-o e, forse, sarebbe entrato prima nella Terra di Israele, senza attendere quaranta anni. Forse; ma forse era proprio nella volontà divina di attendere un cambio generazionale per far entrare in Israele, uomini che certe remore e fobie non le avevano conosciute: quelle paure che avevano conosciuto i loro padri, da schiavi in Egitto.
Shabbat Shalom