Un saggio spagnolo contesta i meriti del salvatore di ebrei La contestazione Perlasca non sapeva parlare l’ungherese né il tedesco: per salvare i perseguitati avrebbe avuto bisogno di un interprete, che non cita mai
Andrea Nicastro
«Vorrei che emergessero chiare due cose», dice il giornalista d’inchiesta Arcadi Espada. «La prima è che non sono un nazionalista, il mio libro non vuole essere una sfida tra Italia e Spagna. La seconda è che non ho niente di personale contro l’italiano Giorgio Perlasca. Solo vorrei che anche altri ricevessero il riconoscimento a cui hanno diritto». Buona l’intenzione. I libri, però, una volta pubblicati smettono di appartenere a chi li ha scritti e, lo voglia o meno lo stesso Espada, la sua indagine va a smontare un mito italiano che vive attorno a una Fondazione, a un film Rai e a un buon numero di biografie.
Per l’autore spagnolo di En nombre de Franco, «Nel nome di Franco», appena pubblicato a Madrid per i tipi di Espasa, non è mai esistito uno Schindler italiano. Nella Budapest impazzita della violenza nazista il vero Schindler era spagnolo. Giorgio Perlasca, l’uomo che compare tra i Giusti di Gerusalemme al Museo dello Yad Vashem, fu sostanzialmente un millantatore, un eroe postumo, costruito a tavolino cinquant’anni dopo i fatti, sfruttando la scomparsa di ogni altro protagonista. Uno che si appropriò di meriti altrui per costruire il proprio monumento. Monumento che Espada smonta pezzo a pezzo, ingaggiando per oltre metà libro un confronto diretto con l’italiano e la sua versione dei fatti.Il film Rai, Perlasca, un eroe italiano, andò in onda in due serate una decina di anni fa, nel 2002, con ascolti record. L’interpretazione di Luca Zingaretti e la sceneggiatura tratta dalla biografia dell’italiano scritta da Enrico Deaglio ne fecero un successo. Racconta la versione della storia fino ad oggi conosciuta, di un Perlasca fascista, ex volontario nella guerra civile spagnola dalla parte dei franchisti, un uomo che, di fronte al dramma della deportazione e dello sterminio sistematico organizzato dai nazisti, decide di cambiare campo. In poche decisive settimane, si spaccia per console spagnolo, compila liste di veri o falsi ebrei sefarditi, salvando così migliaia di ebrei destinati ad Auschwitz. Si è calcolato fossero almeno 5.200.
È la stessa figura esemplare che emerge anche dal libro più recente su Perlasca: Un italiano scomodo di Dalbert Hallenstein e Carlotta Zavattiero, edito da Chiarelettere tre anni fa. Un’opera, secondo Espada, vergognosamente apologetica.La storia che ricostruisce l’autore spagnolo è invece molto diversa. Per lui, anche volendo, Perlasca non avrebbe potuto avere quel ruolo di punta che si attribuì. Non parlava ungherese né tedesco e per convincere gli aguzzini a rilasciare gli ebrei prigionieri avrebbe comunque avuto bisogno di un interprete, che invece non cita mai. Secondo Espada, l’uomo chiave per le trattative era nei fatti Zoltán Farkas, avvocato ungherese dell’ambasciata spagnola, padrone sia delle lingue necessarie sia delle conoscenze legali per scavalcare gli ostacoli burocratici e formali che sorgevano ad ogni retata, perquisizione, arresto.
Ma soprattutto la mente del salvataggio dalla deportazione fu Ángel Sanz Briz, ambasciatore spagnolo in Ungheria, già tra i Giusti delle Nazioni dagli anni Sessanta proprio per questo suo ruolo.«Il diplomatico spagnolo ? sostiene Espada ? fu colui che permise all’ambasciata in Ungheria di lavorare a favore degli ebrei, di fornire passaporti e lasciapassare. Perlasca, da solo, non avrebbe potuto fare nulla. Chiariamoci: l’italiano resta un eroe, perché decise di restare a Budapest in giorni pericolosissimi. Di certo aiutò gli altri funzionari. Magari anche solo procurando il cibo necessario. Però non fu l’eroe solitario che volle far credere. Per quanto si spacciasse per un Zelig superdotato, che tiene testa a politici e miliziani assieme, non ne aveva le capacità». Anche quando l’ambasciatore lasciò la sede, erano i suoi funzionari a trattare con le autorità filotedesche, racconta Espada, documenti alla mano. Anzi, siccome da buon diplomatico Sanz Briz obbedì agli ordini del suo governo, è corretto affermare che è stato il dittatore Francisco Franco a salvare gli ebrei.
Tesi ardita? Macché, fu soltanto una scelta di fredda Realpolitik. «È ormai storia ? spiega Espada ? il telegramma che José Félix de Lequerica, il ministro degli Esteri del Caudillo, inviò all’ambasciatore in Ungheria. Fu Madrid a ordinare di proteggere il maggior numero possibile di ebrei. Franco sapeva che la sconfitta di Hitler era vicina e voleva ottenere il favore dell’opinione pubblica americana attraverso l’aiuto del Congresso mondiale ebraico. Di fatto ci riuscì: le colonne di tank americani non scavalcarono i Pirenei. L’anomalia di un governo fascista nell’Europa democratica venne accettata anche grazie all’aiuto fornito dalla diplomazia spagnola agli ebrei condannati ai campi di sterminio». In fondo Perlasca fu più fedele alla sua biografia di quanto, dopo, volle far credere e aiutò il franchismo come aveva fatto nella guerra civile.
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Andrea Nicastro
Pagina 41
(10 aprile 2013) – Corriere della Sera