Mario Pirani
La questione meritava l´intervento della comunità internazionale, ma senza dimenticare che la barriera è stata all’inizio caldeggiata da pacifisti israeliani. L’Europa rivela la sua pavidità nel contrapporsi all´empito antiebraico che ha ormai inglobato l´antisemitismo nell´anti-americanismo.
Personaggi di levatura internazionale, tutti riconducibili, peraltro, ai valori democratici dell´Occidente, si sono premurati in questi giorni di sottolineare come il voto dell´Assemblea generale dell´Onu sul muro a difesa di Israele non debba minimamente far pensare a un ritorno diffuso di antisemitismo. Una volta ancora è risuonato l´invito a non confondere la critica a Israele col pregiudizio antiebraico, invito, in linea di principio, ragionevole e giusto anche perché non mancano partigiani “senza se e senza ma” di quello Stato intenti quotidianamente a dipingere con furia compulsiva ogni riserva sulle scelte del governo di Gerusalemme come un colpevole contributo a un nuovo genocidio.
Questi oltranzisti avvocati non
hanno, però, previsto che, così facendo, contribuivano ad annebbiare la
percezione oggettiva di un parallelo rovesciamento del teorema che è venuto
via via emergendo, risaltando in piena luce con il voto all´Onu. Così,
eccedendo nel gridare al lupo a ogni piè sospinto, quando la bestia si
manifesta davvero schiumando rabbia aggressiva, molti la scambiano per un
buon cane da guardia che abbaia e non morde. Per cui oggi, metafore a parte,
si può ben dire che molte proclamazioni e drastiche condanne contro Israele
contengano già, senza alcuna avvisaglia e vigilanza democratica, quel
sovraccarico, quel quid plus d´avversione aprioristica, assenza
d´equilibrio, rimozione d´eventi passati e recenti che lascia intravedere in
trasparenza, quasi tra una parola e l´altra, la sottesa ispirazione
antisemita mascherata d´anti-israelismo.
O anche, nel caso delle acquiescenze europee, la pavidità nel contrapporsi
apertamente all´empito antiebraico delle maggioranze islamico-terzomondiste
(che qualche naturale pulsione possono averla) ma altresì il timore
d´alienarsi definitivamente gran parte della confusa opinione no global di
casa propria, senza memoria e ritegno morale, ormai adusa ad allineare la
svastica alla stella di David, a fare tutt´uno di Bush, Sharon ed Hitler e
che da lungo tempo ha inglobato l´antisemitismo nell´antiamericanismo,
orgogliosamente sbandierato. Se così non fosse la spinosa questione del muro
sarebbe stata affrontata in maniera assai diversa e non si sarebbe tramutata
quella barriera in simbolo etico dell´illegittimità israeliana su impulso
d´una Corte dell´Aja e d´una Assemblea generale che non se la son certo
sentita nel passato di condannare sbarramenti ben più consistenti, come il
muro di Berlino e la Cortina di ferro che spaccava l´Europa o, in tempi più
recenti, di mettere sotto accusa Mosca per la repressione in Cecenia.
Ciò detto, i problemi sollevati dal muro meritavano l´intervento critico
della comunità internazionale, senza però dimenticare le vicende che hanno
portato alla sua costruzione, all´inizio caldeggiata da esponenti illustri
del pacifismo israeliano, in primo luogo lo scrittore Abraham B. Yehoshua
che, dopo il crollo del processo di pace, di fronte al risorgere del
terrorismo e delle ritorsioni, suggerirono la creazione d´una interposizione
materiale lungo la frontiera del 1967. Sharon tardò molto a recepire la
proposta e, quando lo fece, la interpretò a modo suo, spostando
l´impressionante manufatto in avanti per proteggere anche quegli
insediamenti dei coloni che andrebbero viceversa smantellati, infliggendo
restrizioni, disagi ulteriori, lesive umiliazioni alla popolazione
palestinese coinvolta. Chiunque la osservi con animo sgombro da pregiudizi
non può che biasimare questa estensione ultra petita della costruzione del
vallo, così come ha fatto la Corte suprema israeliana ordinando prime
rettifiche, correzioni e indennizzi. Se l´Onu si fosse attenuta alla stessa
linea, magari precisando ancor più le specifiche indicazioni, non ci sarebbe
che da plaudire. Così non è stato. Ma soprattutto non s´è valutato il
contesto e i precedenti che hanno portato alla decisione del governo
israeliano, confortata dalla drastica diminuzione degli attentati già dopo
la messa in opera dei primi tratti di barriera. Solo una idiosincrasia
somatizzata per le ragioni d´Israele (variante aggiornata
dell´antisemitismo) può, infatti, spiegare un giudizio di condanna che
rimuove, come se non fossero state, le tappe precedenti alla costruzione.
Non è invece lecito – moralmente e storicamente – dimenticare che il muro è
il tragico punto d´arrivo a cui s´è giunti dopo il dissennato rifiuto di
Arafat di firmare gli accordi di Camp David (luglio 2000) e, soprattutto, le
offerte successive, definite negli incontri di Taba, con la presenza
dell´Unione europea (gennaio 2001), che sancivano la disponibilità
israeliana alla creazione dello Stato palestinese con la restituzione del
98% dei territori occupati, la spartizione di Gerusalemme, il ritiro da gran
parte degli insediamenti, uno scambio di zone di confine così da permettere
un riassorbimento parziale dei profughi (25mila inoltre sarebbero rientrati
in Israele a titolo di ricongiungimento familiare). Arafat rigettò tutto
questo opponendo il diritto al rientro dei 5 milioni di discendenti degli
800 milioni di profughi del 1948, una pretesa che equivale alla distruzione
demografica dello Stato ebraico. Così facendo dimostrò di non voler
concludere in modo definitivo il conflitto, tanto è vero che scatenò subito
la seconda Intifada, non più delle pietre ma della dinamite e presto dei
kamikaze. Così facendo, inoltre, come ha ricordato recentemente Clinton,
ribadendo la validità della sua mediazione a Camp David, “Arafat ha eletto
Sharon” e tolto ogni credibilità al processo di pace impostato da Rabin e da
Peres. La risposta non poteva essere che quella del Likud che riponeva ormai
nella forza delle armi la sopravvivenza di Israele. Una politica alla lunga
suicida che, peraltro, appare ancora oggi alla popolazione israeliana, pur
assetata di pace, come l´unica che in qualche modo la garantisce. Il
successivo insabbiamento della road map, imputabile sia alla incapacità di
Sharon di pensare a lungo termine e di rilanciare, malgrado tutto, una
politica di pacificazione, affrontando radicalmente la questione degli
insediamenti, sia all´estendersi del terrorismo kamikaze, tollerato se non
incoraggiato da Arafat, ha alla fine condotto alla decisione d´erigere una
muraglia dietro cui chiudersi.
Nel frattempo Onu e Ue ben poco o nulla hanno fatto per costringere Arafat a
cogliere i frutti della pace quando erano a portata di mano, hanno
continuato a finanziarlo, coltivando la corruzione dell´Autorità
palestinese, non lo hanno mai posto davanti all´obbligo di contenere il
terrorismo dilagante. Per contro Nazioni Unite e Unione europea si sono
prestate a inscenare una grande campagna mass-mediatica di criminalizzazione
d´un muro di difesa estrema – e per tanti versi, ripeto, giustamente
criticabile – elevandolo a simbolo assoluto della perfidia ebraica. Se così
non fosse perché, pur sapendo che l´unico effetto pratico, nella certezza
del veto Usa nel Consiglio di sicurezza, sarebbe consistito in un ulteriore
inasprimento degli animi, s´è messo in piedi questo processo allo Stato
ebraico? Che di questo si tratti lo comprova la studiata tempistica che
scandisce come un timer terroristico virtuale le tappe dell´iniziativa: a
dicembre l´Assemblea chiede alla Corte dell´Aja di pronunciarsi sul muro; il
9 luglio la Corte emette la sua advisory opinion, e cioè un parere
consultivo; il 20 luglio, con impressionante rapidità, quasi si trattasse
d´eseguire una sentenza passibile di prescrizione, si riunisce l´Assemblea
straordinaria Onu ed emette il suo verdetto. Ma non è finita: in un
paragrafo della risoluzione si intima alla Svizzera di convocare al più
presto, come depositaria dei testi della Convenzione di Ginevra, una
conferenza internazionale per verificare se Israele abbia violato la
Convenzione sui Diritti dell´uomo. La conclusione è già scritta.
Di fronte a tutto questo ci si deve chiedere se analoghe procedure di
condanna, empiti d´indignazione, ipocriti contorcimenti diplomatici siano
immaginabili nei confronti d´un altro paese dell´universo mondo che non sia
lo Stato ebraico. Nella risposta che ognuno può darsi è contenuta anche la
misura di quel di più che travalica il confine tra la critica politica a
Israele e l´antisemitismo, accompagnato e facilitato dalla viltà, il
conformismo o il puro calcolo d´interesse di quanti non ne sono
personalmente affetti ma vi si adeguano e rifiutano di riconoscerlo e di
combatterlo. Parlo soprattutto dell´Unione, di paesi come la Germania, gli
Stati baltici, la stessa Francia, già dimentichi a poco più di mezzo secolo
delle loro storiche responsabilità nel Genocidio. Parlo dell´Italia che, per
le leggi razziali quelle responsabilità in parte condivide e del suo attuale
governo che solo in quest´occasione ha ritrovato il vincolo della
solidarietà diplomatica con i partner europei, in tante altre occasioni
messo sotto i piedi.
Personalmente sono aduso a non meravigliarmi e indignarmi soverchiamente di
fronte al manifestarsi dell´antisemitismo. Penso sia da sempre una patologia
cronica che accompagna la storia dell´uomo: nell´era pagana nasceva per
avversione e paura del monoteismo giudaico, con l´avvento dell´era volgare
segnò l´odio cristiano per il popolo deicida, con l´epoca dei Lumi suggerì
il disprezzo della specificità religiosa e culturale israelitica come
retriva superstizione, con il secolo XIX e con il nazifascismo nutrì fino
all´estremo le insorgenti dottrine razzistiche, con il comunismo si tradusse
nei processi staliniani contro il “cosmopolitismo”, con il ritorno del
fondamentalismo islamico, che giura sulla distruzione della patria
ritrovata, alimenta il terrorismo e il rifiuto d´ogni prospettiva di pace.
Il ritegno nei confronti d´ogni retorica e inutile indignazione non implica,
però, la rinuncia a riconoscere il male e a combatterlo. Senza grandi
illusioni. In un aureo libricino, “Antisemitismo e sionismo” (ed. Einaudi),
Yehoshua ricorda un brano delle Sacre Scritture, contenuto nel Libro di
Ester, che recita: “Poi Aman andò a parlare con il re e gli disse: ?C´è un
popolo, disperso tra gli altri popoli in ogni provincia del tuo impero, che
vive separato dagli altri, a modo suo. Ha leggi diverse e, per di più, non
osserva la tua. Non ti conviene lasciarlo vivere in pace. Se sei del mio
parere, dà ordine scritto che sia sterminato… il re allora si sfilò dal
dito l´anello col sigillo e lo consegnò ad Aman… e disse a questo
persecutore di ebrei:….. quel popolo è in tuo potere: fanne quel che
vuoi”. Queste righe vennero scritte tra il IV e il II secolo a. C.
Contengono già la storia dei millenni successivi, compreso il Genocidio.