Selichòt – Rito sefardita orientale
€12,00
Selichòt di rito sefardita orientale סליחות כמנהג הספרדים ועדות המזרח
2019 – Pagine 128
Informazioni aggiuntive
Autore | Henri Maknouz |
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Copertina | Brossura morbida plastificata |
Formato | 148×210 mm |
Testo | Testo ebraico e traduzione italiana a fronte |
Rinàt Aharòn
Una nuova collana
L’associazione Morashà è impegnata già da molti anni nella pubblicazione di siddurìm di rito italiano, chiamato nel Talmùd “Benè Romi”. Per questo rito hanno visto la luce siddurìm per tutte le occasioni e anche un’edizione speciale per avvicinare i ragazzi alla tefillà ebraica, subito adottato dalle scuole ebraiche in Italia.
Questa edizione invece presenta al pubblico italiano le Selichòt per le comunità sefardite orientali con una traduzione italiana a fianco, che pur ispirandosi a testi del passato, è stata pazientemente elaborata in un linguaggio che speriamo possa essere più comprensibile e contemporaneo, in maniera di poter avvicinare ai contenuti di questa importante ricorrenza anche chi ha poca dimestichezza con la lingua ebraica.
L’impostazione grafica, anche nella versione sefardita, è la stessa che contraddistingue i siddurìm di Morashà: una nuova composizione elettronica dei testi; una costante redazione critica degli stessi, che facendo riferimento a tutte le edizioni precedenti, tenga conto dei minhaghìm effettivamente in uso oggi nei battè hakkenèset; un’impostazione grafica che ne esalti la leggibilità e chiarisca quali sono i brani di competenza del singolo e quali del solo chazàn; delle brevi e concise istruzioni halakhiche; una punteggiatura ebraica moderna più comprensibile; l’uso di convenzioni grafiche che facilitano la partecipazione alla tefillà in pubblico (parentesi tonde per i brani sottovoce, parentesi quadre per quelli in coro, triangolini grigi per i punti in cui ci si inchina).
Responsabile editoriale di questa nuova e attesa collana è il chazàn sefardita Henri Maknouz di Milano che nella tefillà ha sempre saputo conciliare “cuore” e “mente”.
Il “cuore” sono i minhaghìm particolari che ha respirato sin da quando officiava a Beirut. Sono proprio i minhaghìm che rendono la tefillà più vicina a ogni singolo ebreo che si sente così erede di contenuti particolari da trasmettere alle generazioni successive.
La “mente” sono invece le halakhòt della tefillà tramandate dai nostri Maestri che riconducono questa mitzvà a una dimensione collettiva, quello del popolo ebraico e del suo unico Dio, e che permette a ogni ebreo di sentirsi a casa quando entra in un qualsiasi bet hakkenèset, anche se distante migliaia di chilometri dal proprio.
Ma “cuore” e “mente” sono anche voce e testo scritto. Senza la voce, il canto, il niggùn, nessun testo potrebbe arrivare a toccare l’anima. Ma senza l’esattezza grammaticale e della pronuncia del testo scritto, nessuna tefillà adempie all’obbligo fondamentale per ogni ebreo.
Per quanto possibile abbiamo tenuto conto delle varianti in uso nella straordinariamente ricca e variegata galassia sefardita orientale consultando molti testi diversi. Ci scusiamo fin d’ora qualora particolari tradizioni non trovassero riscontro nel presente testo.
La traduzione
La traduzione che affianca il testo ebraico ha origine dall’edizione del 1856 del Machazòr di rav Shemuèl Davìd Luzzatto (Shadàl), uno dei più grandi maestri dell’ebraismo italiano dell’era moderna. È su questa prestigiosa versione che Costanza Coen ha iniziato nel 2000 a elaborare un testo che tenesse conto sia delle brillanti intuizioni dell’autore, profondo conoscitore della lingua ebraica, sia della necessità di arrivare oggi a un italiano comprensibile a tutti. Questo lavoro è stato successivamente esteso ed elaborato da altri collaboratori fino all’attuale versione, utilizzando anche testi di allievi del Luzzatto e di maestri a noi più vicini, come l’enciclopedica edizione di rav M.E. Artom z.l.
Dove possibile, la traduzione originale è stata resa più aderente al senso letterale del testo ebraico, uniformando la corrispondenza tra i frequenti sinonimi e la loro trasposizione in italiano.
È chiaro che così operando potremmo aver trasgredito a molti criteri storici e filologici, e agli esperti vanno da subito le nostre scuse. Tuttavia, il progetto dei siddurìm di Morashà, in tutte le loro edizioni, ha avuto soprattutto l’intento di offrire al pubblico italiano strumenti accessibili per poter adempiere a un precetto divino, quello della tefillà, con un’immediatezza che non ponesse ostacoli alla comprensione, perlomeno superficiale, dei brani recitati in ebraico.
La redazione