Descrizione
Libro di preghiere di rito italiano in uso oggi nelle sinagoghe, con chiare indicazioni dei brani recitati dal solo chazàn (ufficiante) e quelli recitati invece insieme al pubblico, per una partecipazione consapevole alle funzioni.
Cultura ebraica a tutto campo
€15,00
Siddùr per i Quattro digiuni di rito italiano a Roma סידור לארבע תעניות כמנהג בני רומי
2017 – Pagine 186
Copertina | Brossura morbida plastificata |
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Formato | 148×210 mm |
Testo | Testo ebraico e traduzione italiana a fronte |
Libro di preghiere di rito italiano in uso oggi nelle sinagoghe, con chiare indicazioni dei brani recitati dal solo chazàn (ufficiante) e quelli recitati invece insieme al pubblico, per una partecipazione consapevole alle funzioni.
Saluto con piacere questa nuova pubblicazione della serie di siddurìm di Morashà. Questa volta dedicata a quattro digiuni minori, nei quali, in assenza di testi ordinati, il pubblico non riesce a seguire le speciali e rare preghiere disposte per l’occasione, o si perde negli antichi machazorìm.
Il digiuno di Ester, che precede il Purìm, è legato in qualche modo ai tre giorni di digiuno che la regina chiese di fare in preparazione al suo rischioso incontro con Assuero; ma è soprattutto il ricordo di un giorno che doveva segnare la fine del popolo ebraico, il 13 di adàr, e che diventò invece un duro giorno di battaglia per la difesa della vita e il contrasto dei nemici. Per una saggia antica decisione noi non facciamo festa nel giorno della battaglia vinta, ma in quello dopo, nel giorno in cui gli ebrei dell’impero persiano “si riposarono dai loro nemici”.
Se il digiuno di Ester ricorda una battaglia vinta, gli altri tre digiuni ricordano eventi militari di sconfitte e uno, quello di Ghedalià, la follia estremista ebraica che per salvare “il principio” del non collaborare in alcun modo con il nemico procurò danni irreparabili al popolo ebraico. Ottime occasioni per riflettere sulla nostra storia e sulle responsabilità antiche, ma ovviamente anche sulle nostre. C’è un’altra cosa molto importante che accumuna queste tre occasioni; la regola rabbinica che “in tempo di pace saranno giorni di gioia e allegria” e Rashì spiega che per tempi di pace si intende che Israele non sarà sotto a una mano straniera (TB Rosh Hashanà 18b). Anche se da millenni, e di recente anche con lo Stato d’Israele, non siamo ancora arrivati a questa situazione di vera indipendenza la memoria serve a mantenere la speranza.
A questo servono i digiuni, anche quelli minori cui è dedicato questa pubblicazione: a coltivare il ricordo, a sollecitare riflessioni e a insegnare che tutto può cambiare, per il bene, anche in conseguenza del nostro comportamento.
Rav Riccardo Shemuel Di Segni
La traduzione che affianca il testo ebraico ha origine dall’edizione del 1856 del Machazòr di rav Shemuèl Davìd Luzzatto (Shadàl), uno dei più grandi maestri dell’ebraismo italiano dell’era moderna. È su questa prestigiosa versione che Costanza Coen ha iniziato nel 2000 a elaborare un testo che tenesse conto sia delle brillanti intuizioni dell’autore, profondo conoscitore della lingua ebraica, sia della necessità di arrivare oggi a un italiano comprensibile a tutti. Questo lavoro è stato successivamente esteso ed elaborato da altri collaboratori fino all’attuale versione, utilizzando anche testi di allievi del Luzzatto e di maestri a noi più vicini, come l’enciclopedica edizione di rav M.E. Artom z.l.
Dove possibile, la traduzione originale è stata resa più aderente al senso letterale del testo ebraico, uniformando la corrispondenza tra i frequenti sinonimi e la loro trasposizione in italiano.
È chiaro che così operando potremmo aver trasgredito a molti criteri storici e filologici, e agli esperti vanno da subito le nostre scuse. Tuttavia, il progetto dei siddurìm di Morashà, in tutte le loro edizioni, ha avuto soprattutto l’intento di offrire al pubblico italiano strumenti accessibili per poter adempiere a un precetto divino, quello della tefillà, con un’immediatezza che non ponesse ostacoli alla comprensione, perlomeno superficiale, dei brani recitati in ebraico.
La redazione
Benè Romi è il nome con cui vengono chiamati gli ebrei di rito italiano nella letteratura rabbinica talmudica, dove ne vengono descritte le specifiche usanze, sin dai primi secoli dell’era volgare (p.e. TB Pesachìm 53a). Il primo siddùr di preghiere mai stampato al mondo è quello per gli ebrei italiani (Soncino 1485). Una edizione di poco posteriore (Bologna, 1540) è servita da supporto per la presente pubblicazione. Numerose altre edizioni si sono aggiunte nel tempo. Particolarmente degna di nota è quella curata da Shemuèl Davìd Luzzatto (Shadàl: Livorno, 1856), con un’ampia prefazione in cui il rito italiano viene studiato e descritto per la prima volta (rist. D. Goldschmidt, Mavò le-Machzor Benè Roma, Tel Aviv, 1966). Il Novecento ha visto diverse pubblicazioni: ricordiamo quelle di A. Hasdà (Torino, 1905), D. Camerini (Torino, 1916) e nel secondo dopoguerra quelle di D. Prato e D. Panzieri a uso della Comunità di Roma, mentre D. Disegni curava edizioni particolari per le Comunità di Torino e Milano; va ricordata infine quella più recente di M.E. Artom con le varianti di tutte le Comunità.
La collana Siddur Benè Romi si aggiunge a questa antica tradizione dal 1999, data in cui viene pubblicata una prima edizione a uso privato del siddùr per i giorni feriali e shabbàt, fino a coprire quasi tutte le ricorrenze del ricco calendario liturgico ebraico. Caratterizzano la collana la nuova composizione elettronica dei testi (i siddurìm precedenti venivano riprodotti in anastatica con evidente degrado della leggibilità); una costante redazione critica degli stessi, che facendo riferimento a tutte le edizioni precedenti, tenga conto dei minhaghìm in uso oggi nei diversi battè hakkenèset; un’impostazione grafica che ne esalti la leggibilità e chiarisca quali sono i brani di competenza del singolo e quali del solo chazàn; delle brevi note halakhiche che possano essere finalmente di guida a chi riconosce nella tefillà non solo un bisogno del cuore, ma anche una dettagliata mitzvà; una punteggiatura ebraica moderna più comprensibile; l’uso di convenzioni grafiche che facilitano la partecipazione alla tefillà in pubblico (parentesi tonde per i brani sottovoce, parentesi quadre per quelli in coro, triangolini grigi per i punti in cui ci si inchina).
È ferma convinzione dei redattori che non solo la sopravvivenza, ma lo sviluppo e la crescita delle specifiche tradizioni comunitarie debbano essere sostenute, oltre che dalla buona volontà dei singoli, da strumenti culturali costantemente aggiornati. Speriamo che il Siddùr Benè Romi possa essere uno di questi.
La redazione
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