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Selichòt – Rito Benè Romi

15,00

Selichòt di rito italiano a Roma סליחות כמנהג בני רומי
2017 – Pagine 136

Informazioni aggiuntive

Copertina

Brossura morbida plastificata

Formato

148×210 mm

Testo

Testo ebraico e traduzione italiana a fronte

COD: 124 Categorie: , Product ID: 140

Descrizione

Libro di preghiere di rito italiano in uso oggi nelle sinagoghe, con chiare indicazioni dei brani recitati dal solo chazàn (ufficiante) e quelli recitati invece insieme al pubblico, per una partecipazione consapevole alle funzioni.

Introduzione

Nella Roma ebraica, depositaria e orgogliosa custode dell’antico rito romano-italiano, convivono da secoli altre tradizioni, che in alcuni casi hanno praticamente soppiantato l’originario rito romano. È il caso delle selichòt, le preghiere che si recitano nell’imminenza del Rosh Hashanà fino a Kippùr. Dal punto di vista della regola, i sefarditi cominciano a leggerle all’indomani del capo mese di elùl; gli ashkenaziti dalla notte dell’uscita del sabato che precede Rosh Hashanà e gli italiani una settimana prima di Rosh Hashanà. Ma non solo la regola è differente, anche i testi lo sono. A Roma è successo che regola e testi sefarditi abbiano preso totalmente il posto dell’uso romano. Questa nuova edizione delle selichòt è in sostanza un piccolo siddùr sefardita, anche se qualche particolarità italiana c’è, come la recitazione della moda’à. E una componente importante, non visibile in questo testo stampato, è quella delle melodie di origine molto antica, talora presenti solo a Roma e talora reperibili anche in posti lontani dell’universo sefardita. E un’altra cosa, non meno importante e non trasferibile in un testo stampato, è la partecipazione popolare e corale a questo rito, che si mantiene malgrado l’impegno e il sacrificio che richiede, con alzatacce nel cuore della notte e lunghe permanenze nella Sinagoga.

La pubblicazione presente offre in veste elegante e fruibile un testo ricercato, destinato a sostituire le precedenti edizioni che hanno fatto storia. E accanto alla gratitudine per tutti coloro che hanno affrontato questa nuova impresa editoriale, sostenendola finanziariamente o lavorandoci con impegno dalla composizione alla grafica alla correzione, vorrei ricordare i coniugi Pietro e Malvina Blayer, autorevoli personalità dell’ebraismo italiano dei decenni passati, grazie ai quali il testo delle selichòt non è mai mancato nelle nostre Sinagoghe.

Le selichòt sono un lento e progressivo accompagnamento ai “giorni terribili” dell’inizio del nuovo anno, in cui siamo chiamati a rivedere il nostro comportamento. Questa pubblicazione, con gli infiniti spunti alla riflessione che offre, è benvenuta e utile per richiamarci alle nostre responsabilità. 

Rav Riccardo Shemuel Di Segni

La traduzione

La traduzione che affianca il testo ebraico ha origine dall’edizione del 1856 del Machazòr di rav Shemuèl Davìd Luzzatto (Shadàl), uno dei più grandi maestri dell’ebraismo italiano dell’era moderna. È su questa prestigiosa versione che Costanza Coen ha iniziato nel 2000 a elaborare un testo che tenesse conto sia delle brillanti intuizioni dell’autore, profondo conoscitore della lingua ebraica, sia della necessità di arrivare oggi a un italiano comprensibile a tutti. Questo lavoro è stato successivamente esteso ed elaborato da altri collaboratori fino all’attuale versione, utilizzando anche testi di allievi del Luzzatto e di maestri a noi più vicini, come l’enciclopedica edizione di rav M.E. Artom z.l.

Dove possibile, la traduzione originale è stata resa più aderente al senso letterale del testo ebraico, uniformando la corrispondenza tra i frequenti sinonimi e la loro trasposizione in italiano.

È chiaro che così operando potremmo aver trasgredito a molti criteri storici e filologici, e agli esperti vanno da subito le nostre scuse. Tuttavia, il progetto dei siddurìm di Morashà, in tutte le loro edizioni, ha avuto soprattutto l’intento di offrire al pubblico italiano strumenti accessibili per poter adempiere a un precetto divino, quello della tefillà, con un’immediatezza che non ponesse ostacoli alla comprensione, perlomeno superficiale, dei brani recitati in ebraico.

La redazione

Siddùr Benè Romi

Benè Romi è il nome con cui vengono chiamati gli ebrei di rito italiano nella letteratura rabbinica talmudica, dove ne vengono descritte le specifiche usanze, sin dai primi secoli dell’era volgare (p.e. TB Pesachìm 53a). Il primo siddùr di preghiere mai stampato al mondo è quello per gli ebrei italiani (Soncino 1485). Una edizione di poco posteriore (Bologna, 1540) è servita da supporto per la presente pubblicazione. Numerose altre edizioni si sono aggiunte nel tempo. Particolarmente degna di nota è quella curata da Shemuèl Davìd Luzzatto (Shadàl: Livorno, 1856), con un’ampia prefazione in cui il rito italiano viene studiato e descritto per la prima volta (rist. D. Goldschmidt, Mavò le-Machzor Benè Roma, Tel Aviv, 1966).  Il Novecento ha visto diverse pubblicazioni: ricordiamo quelle di A. Hasdà (Torino, 1905), D. Camerini (Torino, 1916) e nel secondo dopoguerra quelle di D. Prato e D. Panzieri a uso della Comunità di Roma, mentre D. Disegni curava edizioni particolari per le Comunità di Torino e Milano; va ricordata infine quella più recente di M.E. Artom con le varianti di tutte le Comunità.

La collana Siddur Benè Romi si aggiunge a questa antica tradizione dal 1999, data in cui viene pubblicata una prima edizione a uso privato del siddùr per i giorni feriali e shabbàt, fino a coprire quasi tutte le ricorrenze del ricco calendario liturgico ebraico. Caratterizzano la collana la nuova composizione elettronica dei testi (i siddurìm precedenti venivano riprodotti in anastatica con evidente degrado della leggibilità); una costante redazione critica degli stessi, che facendo riferimento a tutte le edizioni precedenti, tenga conto dei minhaghìm in uso oggi nei diversi battè hakkenèset; un’impostazione grafica che ne esalti la leggibilità e chiarisca quali sono i brani di competenza del singolo e quali del solo chazàn; delle brevi note halakhiche che possano essere finalmente di guida a chi riconosce nella tefillà non solo un bisogno del cuore, ma anche una dettagliata mitzvà; una punteggiatura ebraica moderna più comprensibile; l’uso di convenzioni grafiche che facilitano la partecipazione alla tefillà in pubblico (parentesi tonde per i brani sottovoce, parentesi quadre per quelli in coro, triangolini grigi per i punti in cui ci si inchina).

È ferma convinzione dei redattori che non solo la sopravvivenza, ma lo sviluppo e la crescita delle specifiche tradizioni comunitarie debbano essere sostenute, oltre che dalla buona volontà dei singoli, da strumenti culturali costantemente aggiornati. Speriamo che il Siddùr Benè Romi possa essere uno di questi.

La redazione