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Haggadà di Morashà
€24,00
Il testo guida per la cena pasquale ebraica con commenti in forma di domanda e risposta
2015 – Pagine 160
Informazioni aggiuntive
David Piazza
Brossura morbida plastificata
150×240 mm
Testo ebraico e traduzione italiana a fronte
Descrizione
La Haggadà è il testo che guida la cerimonia chiamata Sèder di Pèsach, durante la quale le prime due sere della relativa festa, si racconta attorno al tavolo familiare della miracolosa uscita del popolo ebraico dall’Egitto ad opera dell’Eterno e degli episodi immediatamente successivi. Nel corso di questa cena vengono compiute, secondo un rituale prestabilito, delle piccole azioni che servono a suscitare la curiosità dei partecipanti più piccoli, in maniera che possano poi intervenire gli adulti con le loro spiegazioni. La Haggadà è infatti da secoli uno degli strumenti più efficaci nella trasmissione identitaria, perché riesce a legare esperienze diverse tra loro, creando un ponte generazionale.
Quest’edizione riporta una serie di commenti ai vari brani elaborati da autori antichi e moderni, e compilati già in forma di domanda e risposta, rendendone più facile lo studio e l’utilizzo nelle sere del Sèder. La prima edizione di questo testo, nell’ormai lontano 1994, è stata inoltre la prima pubblicata dal gruppo di genitori che diede inizio al progetto Morashà.
Commenti scelti e adattati da David Piazza – Halakhòt del sèder di rav Roberto Colombo
Prefazione
David Piazza
Tutto è cominciato per competizione. Per prima alle medie “Vittorio Polacco” di Roma. Il grande rito che coinvolgeva (e coinvolge tuttora) trasversalmente gli studenti più dotati per una o più particine nel grande sèder scolastico collettivo. Rivalità, invidie, stonature, i sospetti di favoritismo, anche i pianti per un’esclusione. Tutto quello che ci si poteva aspettare parlando di Haggadà di Pèsach per un ragazzo ebreo romano negli anni settanta.
Poi, grazie a uno zio che ha sempre fatto finta di non tenerci, la competizione sui canti si è spostata in famiglia. Cugini, fratelli, amici, zii veri ed acquisiti. Ci si poteva rifare delle delusioni del sèder scolastico, tentare gli acuti che solo altri avevano osato. La haggadà come competizione canora. Null’altro. Ma era un modo intero.
Le haggadòt dell’infanzia e dell’adolescenza sono tutte piene di nomi e date vicino a ogni brano, anche di due righe. I più fortunati “vayotziènu”. Quelli meno anche un semplice “tam”. Fino al mito finale: “betzèt Israèl”, “hallelù”, “anà”.
A dir la verità, ogni tanto qualche coraggioso azzardava la lettura di una traduzione, nel tentativo di imprimere quella sera qualcosa di più di qualche nota melodiosa. Ma era sempre una scocciatura nella gara a chi iniziava prima il brano successivo e soprattutto con la nota più alta. Fatica sprecata quando sei in competizione con cugine femmine e la voce è cambiata da tempo.
C’è voluto un anno in Israele per trovare un testo diverso. Una piccola edizione dell’Art Scroll molto strana. Il testo era sì quello conosciuto del sèder, ma sotto questo, del testo in caratteri molto più piccoli, con commenti mai sentiti prima. Anzi a dir la verità, mai sentito prima che potessero esistere commenti alla haggadà.
Dal sèder successivo non fu più la stessa competizione. I canti li sapevamo ormai tutti e chi non li aveva imparati, non aveva più speranza di farlo. Ma da quell’anno le haggadòt si sono moltiplicate, sovrapposte, perché probabilmente ogni ebreo è anche le haggadòt che possiede.
Improvvisamente frasi sconnesse e azioni meccaniche trovavano una loro logica. Le storie dei derelitti degli scampati alla schiavitù egiziana diventavano il paradigma dell’esistenza ebraica nel corso dei secoli. Quanti Lavàn, quanti faraoni. Eppure la haggadà non è diventata né un testo di autocommiserazione, né di odio verso i persecutori.
Il sèder è un momento magico. Metà psicodramma collettivo perché dobbiamo immedesimarci nei parenti di 3000 anni fa, metà terapia familiare perché sei seduto con una media di tre generazioni dei parenti di oggi e anche con chi non è più seduto lì con te, ma ti ha lasciato i canti che ti aveva insegnato. Celebrazione sacra che molto ebraicamente è spezzata da una cena festiva, disquisizioni filosofiche tra un pianto di un bambino e lo sbuffo di chi si annoia.
I commenti che seguono sono stati raccolti come preparazione a molti sedarìm, non per un libro, ogni anno un po’. Sono stati elaborati in forma di domanda e risposta per poterli proporre a chi non si vuole fermare solo ai canti ma è poco esperto di esegesi biblica. Nessuno pensava che sarebbero finiti stampati in una haggadà “vera”. Morashà non esisteva perché Morashà è nata nel 1994 proprio con la prima edizione di questa haggadà. Questa seconda edizione, dieci anni dopo, non solo ha una veste grafica nuova, ma riporta anche dei nuovi commenti.
La raccolta non è sistematica e alcuni brani risultano più commentati di altri, forse più fondamentali, perché il percorso non è accademico, ma familiare. Del resto la stessa haggadà può essere letta come il confronto etico tra una famiglia che finisce, punita nel futuro dei suoi primogeniti e una famiglia che continua, primogenito dell’Eterno. Capire le ragioni della sorte della prima e quelle della seconda vuol dire penetrare il testo del sèder.
Marzo 2004 – Nissàn 5764
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