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’Amidà – La preghiera delle 18 benedizioni

8,00

La preghiera cardine da recitare 3 volte al giorno
2007 – Pagine 64

Informazioni aggiuntive

Autore

Roberto Colombo

Copertina

Brossura morbida plastificata

Formato

150×240 mm

Testo

Testo ebraico e traduzione italiana a fronte

COD: 031 Categorie: , , Product ID: 264

Descrizione

Da secoli recitata con grande solennità e concentrazione, la ’Amidà (dal verbo ’amòd –stare in piedi), è la parte principale della tefillà – la preghiera ebraica, che infatti è un altro dei nomi di questo insieme di brani liturgici. Venne istituita dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 e.v., con lo scopo di mantenere saldo il rapporto tra l’uomo e Dio.

L’edizione offre una descrizione esaustiva del significato di questa importante preghiera, delle regole precise che ne concernono la recitazione alla sua struttura, costituita da 19 benedizioni totali, qui con la loro traduzione e il loro significato minuziosamente spiegato: le prime tre di lode, quelle intermedie di richiesta, e quelle finali di ringraziamento verso Dio. 

 

Dall'introduzione

I nomi della ’Amidà

Secondo la tradizione (TB Berakhòt 26b), le preghiere giornaliere sono tre: quella del mattino, istituita dal patriarca Avrahàm, quella del pomeriggio, istituita da Yitzchàk, e quella della sera, istituita da Ya’akòv. Furono poi i Maestri della Grande Assemblea che composero la ’Amidà o Shemonè ’Esrè nella forma attuale (con alcune varianti dovute all’influenza dei diversi riti) dopo la distruzione del Tempio di Yerushalàyim nel 70 e.v., con lo scopo di sostituire con la preghiera il culto dei sacrifici. Da quel momento la parte principale della tefillà divenne la ’Amidà che da secoli viene recitata con grande solennità e concentrazione.

La ’Amidà ha quattro nomi, ognuno dei quali definisce un diverso aspetto di questa preghiera. Il primo è appunto ’Amidà, dal verbo ’amòd (stare in piedi) poiché ogni ebreo deve recitare la ’Amidà stando in piedi e rivolto verso il Tempio di Yerushalàyim. Il secondo nome è Tefillà (preghiera, in senso generale) poiché la ’Amidà, come abbiamo visto, è la parte più importante della preghiera che l’ebreo rivolge giornalmente a Dio. Il terzo nome è Shemonè ’Esrè (diciotto) poiché la ’Amidà era composta in origine da diciotto benedizioni e solo successivamente ve ne fu aggiunta una diciannovesima, per chiedere la salvezza per il popolo ebraico dai nemici e dai calunniatori. Il quarto e ultimo nome è ’avodà shebalèv (il culto che è nel cuore) poiché la recitazione della ’Amidà non richiede una particolare intelligenza, ma un grande amore verso Dio e verso l’uomo. 

Composizione della ’Amidà

La ’Amidà è composta oggi da diciannove benedizioni, le prime tre sono di lode a Dio, le ultime tre sono di ringraziamento e le tredici centrali di richiesta. La ’Amidà può essere recitata in qualsiasi lingua che si comprende (TB Sotà 33a) ma alcuni importanti legislatori (Mishnà Berurà, ’Arùch Hashulchàn 62, 101) permettono di recitare la ’Amidà solo in ebraico, sebbene non si capisca il significato di ciò che si sta recitando (Be’ùr Halakhà, Orach Chayìm 62). La lingua ebraica ha sempre avuto nella nostra tradizione un significato particolare rispetto alle altre lingue. Il Rambàn, in Esodo (30, 13), sottolinea come l’ebraico sia la lingua che Dio ha utilizzato nel creare l’universo e per comunicare con i profeti e ciò chiarisce per quale motivo è chiamata “la lingua santa”. Altri commentatori fanno notare come nessuna traduzione possa essere in grado di riprodurre tutte le sfumature della preghiera originale, le parole profetiche di Dio o le composizioni sacre degli uomini della “Grande Assemblea” e dei loro successori attraverso i secoli. Anche i Maestri della mistica hanno dato un grande valore all’alfabeto ebraico. Il rabbino Chayìm Davìd Azulày, per esempio, spiega che la combinazione di lettere così come formulata dai Maestri ha il potere di risvegliare energie che sono oltre la nostra immaginazione e che producono una forza creativa in grado di trasformare le cose.