La storia di Giuseppina, Dirce ed Emanuele – Dagli archivi di Shalom.it
Irene Fornari
Nel lontano 1941 Emanuele Pacifici e Dirce Gusmano, bambini, giocavano insieme nel cortile del Collegio ebraico di Casale Monferrato. Di fronte al pericolo di una retata dei tedeschi, la mamma di Dirce, Giuseppina, che lavorava nell’orfanotrofio, nascose in casa sua Emanuele ed altri 15 bambini suoi compagni. Passato il pericolo, la signora Giuseppina perse le tracce dei suoi piccoli ospiti ma… Complice della storia che Shalom sta per raccontare è Giampaolo Pansa, che nel suo ultimo libro “Il bambino che guardava le donne“, edito da Sperling & Kupfer, ha narrato anche la storia dei ragazzi del Collegio di Casale Monferrato. Leggendo il volume, Dirce ha potuto rintracciare Emanuele Pacifici e, a distanza di più di 50 anni, i due si sono incontrati di nuovo.
SHALOM: Vorremmo che ci raccontasse questa storia dall’inizio..
PACIFICI: Eravamo nel ’41, all’epoca avevo 10 anni; mio padre, che era Rabbino Capo della Comunità di Genova, mi aveva portato nel Collegio ebraico di Torino. Nel 1942 la città fu bombardata in modo terribile. Venne deciso così di spostare l’orfanotrofio a Casale Monferrato, dove i locali della Comunità erano vuoti
SHALOM: Quanti furono i bambini che si trasferirono a Casale Monferrato?
PACIFICI: Partimmo in 20, ma in un secondo tempo diventammo 15, e con noi vi erano la direttrice e gli insegnanti. Sembrava che tutto filasse liscio, ci divertivamo molto, facevamo delle lunghe passeggiate e d’estate andavamo a bagnarci nel Po. Il 25 luglio ’43 cadde il fascismo, sembrava l’inizio di una nuova vita; invece, per noi cominciarono i guai. Nella scuola lavorava una signora che si occupava dei ragazzi, la signora Giuseppina Gusmano; spesso la figlia, Dirce, restava a giocare con noi nel cortile. Io mi ricordavo vagamente di questi episodi e nel mio libro Non ti voltare li avevo solo accennati. Il 29 settembre, vigilia di Rosh Hashanà, la signora Giuseppina arrivò trafelata a scuola e riferì alla direttrice: “I tedeschi sanno del vostro rifugio e vengono a prendervi!“
SHALOM: Tutta la zona era battuta dai tedeschi: cosa successe allora?
PACIFICI: La direttrice non sapeva dove nasconderci, e allora Giuseppina decise che ci avrebbe ospitato tutti a casa sua; fummo divisi in piccoli gruppi di due o tre bambini e, ad un’ora concordata, prendemmo la salita di S. Anna che portava al nostro “nascondiglio”; arrivammo che era già l’imbrunire. Con un carretto alcuni degli insegnanti presero dal collegio i materassi e alcune pentole. Rimanemmo a casa della signora Giuseppina per alcuni giorni. Nel frattempo la direttrice telefonò alle nostre famiglie e, uno dopo l’altro, i ragazzi tornarono dai genitori. Io sono stato l’ultimo a lasciare la casa della signora Giuseppina.
SHALOM: Come avete vissuto quel periodo? La convivenza non doveva essere molto semplice…
PACIFICI: Di giorno dovevamo stare molto tranquilli, perché qualcuno avrebbe potuto raccontare tutto ai tedeschi. La sera mettevamo i materassi l’uno vicino all’altro, ci mancava lo spazio, tanto che i ragazzi più grandi dormivano con i piedi sotto i mobili e per andare al bagno bisognava fare lo slalom. La mattina cercavamo di nascondere ogni possibile traccia della nostra presenza…
SHALOM: La signora Giuseppina ebbe problemi a nascondervi, i vicini reclamarono?
PACIFICI: Sì, parecchi fastidi; i suoi vicini l’accusarono di mettere a repentaglio non solo la vita dei suoi familiari, ma anche quella di tutti coloro che vivevano nel suo stesso palazzo. Giuseppina rispose a chi l’attaccava: “Ogni giorno vado a lavorare nel collegio ebraico, mia figlia gioca con questi bambini, non posso sopportare di vedere la fine di questi ragazzi. Anche mia figlia potrebbe essere con loro!“. E così i vicini capirono le sue intenzioni e l’aiutarono a preparare i pasti per noi.
SHALOM: Finito il pericolo, i bambini dell’orfanotrofio non hanno più rivisto la signora Giuseppina; quali ricordi ha destato in lei l’incontro con la figlia Dirce?
PACIFICI: Dirce mi ha scritto una lettera molto commovente dove spiegava che lei e la madre mi avevano sempre pensato con grande affetto, ma non sapevano come contattarmi. La signora Giuseppina sfortunatamente è morta due anni fa. Quando ci siamo rivisti, io e Dirce siamo scoppiati in lacrime come due bambini…