Ivrea
Ieri sera ci siamo concentrati sulle figure di Noach ed Avraham. Oggi vorrei studiare con voi un altro confronto che il Midrash propone, quello fra Noach e Moshèh (Bereshit Rabbà 36,3). La Toràh presenta Noach come un “Ish tzadiq”, un uomo giusto, e per questo viene scelto per inaugurare un nuovo mondo, ma alla fine della storia, quando pianta una vigna e si ubriaca, la Toràh lo chiama nuovamente Ish, ma ish ha-adamàh, uomo della terra. Anche Moshèh viene chiamato Ish varie volte, ma non si può non notare lo scarto enorme fra la prima volta, quando viene chiamato dalle figlie di Ytrò Ish mitzrì, un uomo egiziano, ed i Maestri non esitano a dire che all’inizio della sua esperienza le capacità profetiche di Moshèh fossero limitate, e l’ultima, quando in punto di morte viene chiamato Ish ha-Eloqim, uomo del Signore.
Ci saremmo aspettati che il diluvio rendesse Noach ancora più giusto, ed invece non fu così. D’altra parte ci saremmo potuti attendere che il carattere di Moshèh, sempre portato ad aiutare il prossimo, rischiando la vita per salvare un suo fratello ebreo da un egiziano, mettendosi in contrasto con i pastori che infastidivano le figlie di Ytrò, pregando per il popolo ebraico quando H. voleva distruggerlo, pronto a pagare in prima persona, ostacolassero la sua crescita spirituale. Ed invece Moshèh supera tutti i profeti prima di lui, e tutti quelli che ci saranno successivamente. Questo superamento dei limiti umani certamente è in gran parte dovuto a questi suoi atteggiamenti, e se così non fosse stato, tali raggiungimenti sarebbero stati preclusi a Moshèh. Gli sforzi investiti nell’aiuto degli altri, pur sottraendo tempo alla contemplazione, portano ad una crescita spirituale maggiore. Se ci ragioniamo, non è un caso se Avraham ritiene che l’ospitalità abbia un valore maggiore dello stesso incontro con H., quando lo fa, per così dire aspettare, subito dopo che aveva fatto la Milàh, per dare ospitalità ai viandanti, che poi si sarebbero rivelati degli angeli.
Anche Moshèh ha fatto proprie queste caratteristiche, ma in punto di morte esisteva il pericolo concreto di assistere ad un’involuzione. Siamo tutti fatti di carne ed ossa! Ci saremmo aspettati che Moshèh mostrasse risentimento nei confronti dei figli di Israele, perché in fondo il suo mancato ingresso in terra d’Israele, cosa che desiderava con tutto se stesso, era attribuibile principalmente a loro. Al contrario Moshèh in punto di morte benedice il popolo ebraico, e questo estremo gesto di amore nei confronti del prossimo gli vale l’appellativo di Ish ha-Eloqim. Il Meshekh Chokhmàh scrive che, al contrario di quanto si possa pensare, una vita al servizio del prossimo vale molto di più di una vita di solitudine volta alla contemplazione.
Noach ha subito un’enorme involuzione quando ritenne opportuno non riprendere i propri contemporanei per le nefandezze che commettevano, tanto che i Maestri nel trattato di Sanhedrin ritengono che lo stesso Noach avrebbe meritato di perire nel diluvio, che poi difatti è ricordato a suo nome (mè Noach). Questo Midrash però ci da anche un altro messaggio, che tutto dipende dai nostri sforzi. Quello che è di fondamentale importanza è non fermarsi mai, crescere spiritualmente gradino dopo gradino.