La tolleranza del «puer Apuliae»
Cesare Colafemmina
Della tolleranza di Federico II si discute ormai da tempo. E di tanto in tanto l’argomento torna in auge. Nei confronti degli ebrei, in quanto minoranza religiosa, il sovrano svevo si espresse, in due fasi: di allineamento dapprima con la legislazione della Chiesa – e quindi con provvedimenti vessatori -, di distacco e di superamento poi da tale legislazione. La particolare condizione religiosa degli ebrei offrì all’inizio a Federico il destro di utilizzarli per la realizzazione del suo disegno di potere. Parecchie sue disposizioni nei loro confronti, infatti, furono dettate da motivi di ordine politico, mirando egli a fondare e gestire l’Imperium di concerto con il Sacerdotium (papato, vescovi, ordini religiosi) che voleva perciò ingraziarsi.
Così nel parlamento generale di Messina del 1221 – in attuazione del deliberato del IV Concilio Lateranense (1215) che, seguendo un costume introdotto dai musulmani per i loro sudditi ebrei e cristiani, aveva imposto agli ebrei e ai saraceni di distinguersi nel vestito dai cristiani – Federico ordinò che gli ebrei indossassero sugli abiti un camiciotto di colore celeste e che portassero la barba, se ne avevano l’età. Ai contravventori comminò la confisca dei beni e, per i non abbienti, la marchiatura a fuoco sulla fronte. Nelle stesse assise gli ebrei furono messi insieme, e quindi idealmente accomunati, con i giocatori di dadi, i bestemmiatori, le prostitute e i giullari. Quando, con il pontificato di Gregorio IX (1224-1241), Federico si convinse dell’inutilità dei suoi sforzi per trovare comprensione e sostegno nella Chiesa, si affrettò a diminuire la pressione dei cristiani sui giudei, eliminando l’obbligo del contrassegno e riducendo i redditi che vescovi e cattedrali percepivano dalle giudecche: a tale scopo mirò, probabilmente, nel decretare nel 1231 che i tributi delle tintorie del regno – gestite in buon parte dai giudei -, fossero pagati esclusivamente al regio fisco.
Ciò gli attirò nel 1236 l’accusa da parte di Gregorio IX di aver sottratto ad alcune chiese i loro giudei. L’allineamento iniziale di Federico all’ideologia e alla prassi ecclesiastica nei confronti dei giudei fu dunque strumentale, non reale ostilità, o faziosità teologica. Nelle Costituzioni Melfitane (1231) i reali sentimenti di Federico nei confronti degli ebrei appaiono meglio definiti. Si riconobbe loro una precisa personalità giuridica, garantita dalla legge: benché fossero ancora considerati inferiori di fronte ai cristiani, a questi erano però parificati nel diritto di difesa e di protezione. Anzi Federico, riconoscendo che la diversità di fede li rendeva odiosi ai cristiani e, privi com’erano di appoggi, maggiormente soggetti alle loro persecuzioni, li prese insieme con i saraceni sotto la sua protezione, vietando che contro di essi s’insolentisse a motivo solo della diversità di fede. Federico volle che questo diritto di protezione fosse garantito con una pena pecuniaria di cinquanta augustali. Non si può tuttavia dimenticare che se la vittima fosse stata cristiana, la pena ammontava a cento augustali. Il vero animo di Federico verso gli ebrei emerge da due episodi importanti: la sua sentenza nel 1236 sull’accusa di omicidio rituale e il decreto che egli emise nel 1238 a favore dei giudei di Vienna. Qui, dopo aver proclamato di prendere sotto la diretta imperiale protezione i giudei della città, Federico proibì di battezzare i loro figli contro la loro volontà sia che fossero condotti al battesimo con la violenza, sia attirati furtivamente o adescati con mezzi. Il trasgressore sarebbe stato condannato alla multa di quindici libre d’oro.
Per converso, se qualche giudeo di sua volontà avesse chiesto il battesimo, avrebbe dovuto aspettare tre giorni prima di sottoporsi al rito, per dare la possibilità di indagare sulla vera ragione che lo spingeva ad abbandonare la sua religione. Egli aggiunse, inoltre, che nello stesso modo che il convertito rinunziava alla legge dei suoi padri, doveva anche rinunziare ai loro beni. In caso di liti fra giudei e cristiani, anche per i giudei era ammesso di poter sostenere le proprie ragioni secondo la loro legge. Per provare la verità delle loro affermazioni non potevano essere sottoposti alla prova del ferro arroventato, dell’acqua bollente o gelata o di altra tortura, né essere tenuti in carcere per costringerli a confessare. Durante la stessa sua permanenza in Germania, un fatto tragico accaduto a Fulda aveva permesso all’imperatore di rivelare la sua assenza di pregiudizi e la sua equanimità nei confronti dei giudei. A Fulda nel 1235 erano stati arsi vivi 35 ebrei con l’accusa di aver ucciso cinque bambini cristiani per servirsi del loro sangue nella composizione di rimedi medicinali. Era questo un motivo nuovo nell’accusa – che dalla metà del XII secolo aveva preso a circolare in Europa – secondo la quale gli ebrei torturavano e uccidevano bambini cristiani, di solito nella Settimana Santa, per rinnovare il martirio di Gesù o per impastare con il loro sangue il pane azzimo da consumare nella cena pasquale. L’incriminazione, una volta che avesse contagiato l’immaginario collettivo – e la via era soprattutto la predicazione infuocata dei religiosi – avrebbe portato alla distruzione violenta di tutte le comunità giudaiche.
Federico, al cui giudizio era stato presentato il caso di Fulda, volle che si andasse a fondo nell’accusa e se ne chiarisse una volta per sempre la verità o la falsità. Formò quindi una giuria di nobili laici ed ecclesiastici, che però non furono capaci di liberarsi dal pregiudizio e dal dubbio e perciò non erano riusciti ad emettere la sentenza. Egli ebbe allora l’idea originale di convocare un concilio di giudei battezzati, esperti della legge e dei costumi del loro popolo. I convocati, in quanto apostati, avrebbero avuto tutti i motivi per rivelare le eventuali nefandezze da cui essi si erano voluti liberare con la conversione al cristianesimo. Federico rimarcò l’inettitudine dei notabili laici ed ecclesiastici a dare una risposta chiara e decisa al suo quesito, ed esaltò la propria lungimiranza, dovuta anche alla conoscenza che possedeva a motivo dei molti libri che aveva letto. «Benché la nostra sapienza – egli scrisse – tenesse per ragionevolmente provata, grazie ai molti libri che la Maestà nostra conosce, l’innocenza dei suddetti ebrei, pure, a soddisfazione non meno del popolo colto che del diritto, per nostra previdente e salutare decisione e in accordo con prìncipi, grandi, nobili, abati e uomini di chiesa, inviammo messi particolari, su tale caso, a tutti i re delle zone occidentali, onde citare al nostro cospetto, dai loro regni, il numero più grande possibile di neobattezzati esperti della legge ebraica».
L’inchiesta dimostrò che non solo le Scritture ebraiche considerano un abominio ogni forma di sacrificio umano, ma vietano in modo assoluto di cibarsi del sangue degli stessi animali che la loro legge permette di mangiare. Federico emanò allora un privilegio in favore degli ebrei (luglio 1236) in cui, dopo aver analizzato gli atti procedurali, condannò la false accuse e vietò severamente per l’avvenire in tutto l’impero qualsiasi incriminazione del genere a loro danno. Solo alcuni anni più tardi, nel 1247, anche il papa, Innocenzo IV scagionò gli ebrei dall’accusa di omicidio rituale e proibì che venisse mai sollevata una simile imputazione.
La Gazzetta del Mezzogiorno, 21/05/2006